Nei prossimi tre giorni il governo cercherà esperti in grado di suggerire le migliori soluzioni tecnologiche da mettere in campo per monitorare l'epidemia da coronavirus. Qualche ipotesi è già emersa, ma si tratta di un dibattito ancora aperto perché ogni soluzione che si andrà ad adottare dovrà essere in grado di garantire efficacia, applicabilità tecnica e rispettare quanto più possibile la privacy dei cittadini. Ecco le principali discusse al momento.
Un'app per tracciare gli spostamenti
Una delle prime idee circolate è quella di creare un'applicazione che i cittadini dovranno scaricare sul proprio smartphone. è uno dei pilastri su cui si è basata ad esempio la strategia della Corea del Sud, che già aveva lanciato l'app nel 2015 durante l'epidemia da Mers.
Il governo di Seul attraverso l'applicazione 'Corona 100m' invia messaggi alla popolazione sul comportamento da adottare contro l'epidemia in corso, ma soprattutto traccia gli spostamenti in maniera tale da poter suggerire dove si sono mosse le persone contagiate, con chi sono entrate in contatto, che attività svolgeva il contagiato.
Un'attività di 'contact tracing' (tracciamento dei contatti) che molti ritengono la misura vincente per arginare la diffusione del contagio perché in grado di tracciare i movimenti degli asintomatici. E sembrerebbe proprio questa l'ipotesi che al momento sta allettando di più il governo italiano. Ma rispetto alla Corea del Sud, in Italia quest'app al momento non esiste ancora. E i tempi potrebbero per alcuni non essere sufficienti, perché prima che i dati raccolti possano bastare bisognerebbe aspettare che una buona parte della popolazione scarichi l'applicazione e la metta in funzione. E sperare che lo facciano se non tutti, o almeno una buona parte.
Il modello israeliano
Più difficile invece applicare in Italia quanto è stato fatto in Israele, dove il governo ad interim di Netanyahu ha temporaneamente consentito di applicare una massiccia sorveglianza digitale, solitamente limitata all'antiterrorismo, che permetto all'agenzia per la sicurezza israeliana, lo Shin Bet, di tracciare i telefoni per individuare gli spostamenti dei contagiati e far rispettare la quarantena. Decisione che ha scatenato grandi polemiche nel Paese, preoccupato per le conseguenze sulla privacy.
Chiedere i dati alle grandi società tecnologiche
Una 'digitalizzazione' delle interviste che normalmente vengono fatte ai positivi al coronavirus attraverso l'uso dei big data. Oggi un paziente positivo al test è sottoposto a una serie di domande per capire quali spostamenti ha fatto nei 10 giorni precedenti al test, chi ha incontrato, in quali posti si è intrattenuto.
Spesso però ricordare tutti i propri spostamenti e tutte le persone incrociate non è facile. E poi bisognerebbe fidarsi dei soli spostamenti che il paziente vuole comunicare. Ma c'è chi sa perfettamente dove siamo stati e chi abbiamo incontrato: le grandi società tecnologiche.
"Se un dato può salvare una vita, deve essere usato". All'AGI parla Massimo Canducci, Chief innovation officer di Engineering, una delle principali ICT italiane. "Google, Facebook e le altre grandi società tecnologiche quei dati li hanno già. Se chiediamo a un contagiato il consenso per interrogare queste società sui suoi spostamenti, potremmo sapere esattamente dove si è recato e avvertire le persone con cui è entrato in contatto", spiega.
Queste digital company hanno già ampia memoria dei nostri spostamenti. E ripercorrerli di 10 giorni per loro non dovrebbe essere complicato. "A quel punto sarebbe possibile per le autorità sanitarie avvisare le persone entrate in contatto con il contagiato, senza dir loro il nome della persona in questione", continua Canducci. "Una volta fatto questo, lo Stato deve garantire però la distruzione di quei dati, perché altrimenti certo che si verrebbe a creare un problema di privacy", conclude. Se questa soluzione aggirerebbe il problema di far scaricare e istallare un'app a tutti gli italiani, in realtà pone un altro problema: Google, Facebook e le altre big tech potrebbero non voler condividere con un governo questi dati. E una dichiarazione dell'utente potrebbe non bastare a risolvere il problema.
Una deroga alle leggi sulla privacy
Ma al di là della soluzione che verrà adottata, rimane la questione della privacy. C'è da dire che una deroga alle leggi in vigore sembra oramai scontata. Il Comitato europeo per la protezione sui dati ha aperto alla possibilità che alcune delle norme possano subire delle deroghe se si tratta di salvaguardare la salute pubblica. Ma, avverte, devono essere rispettati i principi di 'proporzionalità e reversibilità.
Dello stesso avviso il garante Antonello Soro che in un'intervista al Corriere ha chiarito che non esistono "preclusioni assolute nei confronti di determinate misure in quanto tali", specificando però che "vanno studiate molto attentamente le modalità più opportune", valutando attentamente "benefici attesi e 'costi' anche in termini di sacrifici delle nostre libertà".
La Gdpr consente l'utilizzo di questi dati
E la Gdpr? "Per il regolamento europeo l'uso di questi dati è ammesso. Le norme già prevedono l'utilizzo di dati particolari se c'è di mezzo l'interesse pubblico nel settore della sanità", dice all'AGI l'avvocato esperto di digitale Ernesto Belisario. "Il Gdpr già prevede la possibilità di tenere sotto controllo la diffusione delle epidemie attraverso l'uso di dati, nella misura in cui è necessario un monitoraggio fatto sempre nella cornice della protezione dei dati personali".
Ma c'è un rischio che questo stato di eccezione apra alla possibilità che ce ne siano altri, in futuro, magari per il controllo sociale, o di dissidenti politici? "No perché nella Gdpr è fatto esplicito riferimento alle questioni sanitarie. E poi tutto sta a come verrà scritta questa legge, bisognerà prestare molta attenzione. E già immagino che ci sarà molta attenzione dell'opinione pubblica su questa norma. Ma in Italia abbiamo tutto ciò che serve per fare un buon lavoro".