È un accordo che per ora spegne il conflitto giudiziario quello firmato oggi a Milano, nello studio del notaio Marchetti, da ArcelorMittal Italia e da Ilva in amministrazione straordinaria, ma non stabilizza definitivamente la situazione del gruppo siderurgico ex Ilva con 10.700 dipendenti, di cui 8.200 solo a Taranto. Nel senso che l’accordo toglie dal campo i ricorsi e le cause che le due società avevano aperto davanti al Tribunale di Milano già da novembre (la prossima udienza, che ora non si terrà più, era in calendario per il 6 marzo) ma non rende certa la situazione del gruppo siderurgico per due motivi fondamentali. Il primo riguarda l’occupazione.
L’accordo odierno fa riferimento ai 10.700 addetti, ma dice pure chiaramente che questa è l’occupazione a regime, cioè nel 2025, quando sarà completato il nuovo piano industriale che decorre da quest’anno. Prima del 2025, e quindi già a partire dal 2020, ci saranno meno occupati. Ci sarà il ricorso alla cassa integrazione straordinaria, ma su quanti saranno i cassintegrati e su come saranno gestiti gli ammortizzatori sociali, il discorso è ancora tutto da fare. L’accordo odierno indica una data per questa specifica intesa: fine maggio 2020. Ma non sarà facile arrivarci anche perché i sindacati, sia confederali che metalmeccanici, non solo non vogliono sentir parlare di esuberi, ma hanno criticato l’accordo di Milano parlando di “indeterminatezza”.
Il secondo motivo che porta a dire che la questione non è conclusa, è la definizione del contratto di investimento, ovvero come lo Stato, e con chi - non è ancora chiaro se Invitalia o Cassa Depositi e Prestiti - entrerà nell’operazione affiancando il privato Mittal. L’accordo, che modifica il precedente contratto, firmato oggi dice infatti che i “i termini e il contenuto del nuovo contratto di investimento dovranno essere negoziati tra gli investitori da un lato e AmIvestco”. Quest’ultima è la società veicolo con cui ArcelorMittal ha effettuato l’operazione Ilva a metà 2017. In sostanza, quindi, le partite più complesse, occupazione e ingresso dello Stato, devono ancora giocarsi e le date sono, rispettivamente, maggio e novembre prossimi.
Non è da poco l’ingresso dello Stato nell’investimento. L’accordo specifica che se il contratto non si sottoscrive entro il 30 novembre, ArcelorMittal potrà svincolarsi col recesso, con comunicazione da inviare entro il 31 dicembre, versando quella che viene chiamata “caparra penitenziale” di 500 milioni. Certo, l’accordo fa riferimento alla decarbonizzazione per ridurre le emissioni inquinanti e al rifacimento dell’altoforno 5 (il più grande d’Europa, spento dal 2015). Parla poi della costruzione di un forno elettrico ( impianto che Taranto non ha mai avuto) e dell’anticipo dell’acquisto dei rami di azienda da parte di ArcelorMittal (che ora è in fitto e il canone gli verrà temporaneamente dimezzato) al 31 maggio 2022 anziché al 23 agosto 2023 (e per allora non dovranno più esserci i sequestri penali sugli impianti).
Si stabilisce, inoltre, una produzione a regime di 8 milioni di tonnellate di acciaio. Ma traslare nella realtà tutto questo non sarà proprio facile. ArcelorMittal, commentando dal sito della corporate, che ha sede a Londra, l’accordo, parla di “base per un'importante nuova partnership tra ArcelorMittal e il Governo italiano”. Mentre Alessandro Danovi, uno dei tre commissari straordinari Ilva, sostiene che “molto lavoro è stato fatto e ce ne è molto da fare dopo”.
Il clima di fiducia espresso da ArcelorMittal e da Ilva non è però per niente condiviso dal sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che sino a ieri sera ha tentato di stoppare l’accordo, perché - osserva - non offre garanzie sulla tutela della salute di lavoratori e cittadini, oltre al fatto che il Comune di Taranto non è stato minimamente coinvolto, e, soprattutto, dai sindacati Cgil, Cisl e Uil e Fim, Fiom e Uilm. Dura la loro presa di posizione. Per i sindacati, infatti, esiste “una totale incognita sulla volontà dei soggetti investitori, a partire da ArcelorMittal, riguardo il loro impegno finanziario nella nuova compagine societaria che costituirà la nuova AMinvestco".
"Nei fatti - rilevano i sindacati - il pre-accordo prevede una fase di stallo da qui alla fine del 2020 per quanto riguarda le prospettive e l’esecuzione del piano industriale. Tutto questo - si aggiunge - arriva dopo due anni di ulteriore incertezza, particolarmente rischiosa per una realtà industriale che necessita invece di una gestione attenta e determinata”.