Oggi la Gran Bretagna è il 4 sbocco mondiale dell’export italiano di “food and beverage” dopo Germania, Usa e Francia”. Parliamo di oltre che vale quasi 3,4 miliardi di euro e che potrebbero essere messi a repentaglio dalla Brexit. Nel giorno in cui il Regno Unito lascia ufficialmente l'Unione europea, abbiamo chiesto a Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, quali scenari si prospettano per l'agroalimnetare italiano oltremanica
La Brexit apre molte incognite, quali sono le certezze?
L’unica è che a partire da febbraio l’Unione europea e il Regno Unito avvieranno formali negoziazioni per definire lo scenario che si andrà a delineare a partire dal 1 gennaio 2021. Certo il tempo per negoziare a regole invariate non è tanto; l’auspicio è che si utilizzi la possibile proroga di ulteriori due anni di negoziazione che dovrà essere decisa entro metà dell’anno in corso. La decisione da prendere è troppo importante per essere assunta frettolosamente
Qual è lo scenario che si sta delineando?
Count-down partito, tempo fino a fine anno per scongiurare scelte che potrebbero rivelarsi masochistiche prima di tutto per il Regno Unito stesso. La Gran Bretagna produce poco più del 50% dei prodotti alimentari che consuma, una Brexit no-deal porterebbe un aumento dei prezzi per i generi alimentari anche del 20% costringendo il Paese d’Oltremanica a far fronte a una profonda inflazione, fra i prodotti in cima alle importazioni UK, infatti, figurano frutta, verdura, carne, cereali, prodotti freschi e uova, olio e zucchero. Senza tener conto che il Regno Unito è il Paese con il più alto tasso di obesità in Europa e che la mancata importazione di prodotti di maggiore qualità provocherebbe un aggravamento di tale fenomeno
Quindi a rischio anche le esportazioni italiane?
Certo, appare chiara in caso di un’hard brexit ad oggi non del tutto esclusa, la penalizzazione del nostro Paese per un possibile crollo dell’export legato all’imposizione di dazi pesanti.
Di quale giro d’affari stiamo parlando?
Oggi il Regno Unito è il 4 sbocco mondiale dell’export italiano di “food and beverage” dopo Germania, Usa e Francia. Dati alla mano parliamo di oltre che vale quasi 3,4 miliardi di euro, trainato da vini e liquori per quasi un miliardo di euro, trasformazione ortaggi per 350 milioni, formaggi per 261 milioni (settore che nei primi 7 mesi del 2019 è cresciuto del +11,7%), dolci per 315 milioni ( che, sempre nello stesso periodo, è cresciuto del 7,5%), pasta per 318 milioni.
Cosa dobbiamo augurarci?
Che prevalga il buon senso e che si arrivi a regime a un accordo commerciale di libero scambio Se così non fosse l’opzione alternativa potrebbe essere un accordo commerciale minimale con trattamento differenziato e quote per specifici prodotti, è evidente come anche questa ultima soluzione prospettata non metta totalmente al riparto il nostro Paese da rischi commerciali
Quali esiti per il consumatore europeo?
Al centro della contesa anche la tutela del consumatore. Sarebbe necessario ristabilire subito un confine fisico nel caso in cui la Gran Bretagna facesse accordi bilaterali con Paesi come ad esempio gli Usa che non rispettano gli stessi standard europei.