Fino a non molti anni fa l'operaio polacco era lo stereotipo del migrante economico comunitario. L'incredibile boom conosciuto dalla Polonia, un'economia che è stata in grado di triplicare le proprie dimensioni in meno di vent'anni (nel 2001 il Pil nominale valeva 190 miliardi di dollari, oggi è a quota 589 miliardi), ha cambiato il quadro in maniera radicale. Con un tasso di disoccupazione calato al 3,3%, grossomodo la soglia ritenuta strutturale, è ora Varsavia ad attrarre risorse umane da altre nazioni europee, non solo i partner dell'Est più poveri ma anche economie occidentali che esportano disoccupati altamente qualificati, come Spagna, Grecia e Italia.
Le ragioni di un boom
Numerose le ragioni di questa storia di successo: da un programma di privatizzazioni condotto con trasparenza e rigore, che non ha creato oligarchi come altrove, a forti investimenti nell'educazione; dalla ristrutturazione del debito a una politica fiscale molto favorevole alle imprese, con una tassa sugli utili pari al 19%, una delle più basse d'Europa, che ha portato molte multinazionali a delocalizzare divisioni in Polonia.
E il vantaggio dello stare fuori dall'unione monetaria è più in una valuta relativamente debole, che favorisce l'export e gli investimenti stranieri, che nello spazio di manovra fiscale consentito dall'assenza di parametri da rispettare. Tutt'altro: con un debito pubblico inferiore alla metà del Pil, Varsavia ha conti pubblici assai più virtuosi della maggior parte dei Paesi dell'Eurozona, il che contribuisce a sua volta alla stabilità dell'economia.
Cosa può rovinare un'ascesa che appare così inarrestabile? Una domanda di manodopera che ha ormai superato l'offerta in maniera preoccupante. "Negli ultimi tre anni non siamo riusciti ad assumere un singolo polacco", racconta, ad esempio, a Bloomberg Aleksandra Rucinska, direttore delle risorse umane di Tawo, azienda tessile che conta su committenti del peso di Ikea.
Emergenza demografica
La ragione principale è una crescita demografica molto bassa, problema condiviso dalla vicina Ungheria e, più in generale, da tutta l'area ex comunista, dove il Fondo Monetario Internazionale paventa entro il 2050 un calo della forza lavoro pari a un quarto. Nel 2019, si contano al momento 9,7 nuovi nati ogni mille abitanti, in calo dell'1,46% rispetto al 2018, e le politiche per rilanciare la natalità del governo conservatore di Libertà e Giustizia non hanno sortito al momento gli effetti sperati.
A rendere tali politiche inefficaci è in parte lo scotto delle migrazioni degli anni passati, quando centinaia di migliaia di cittadini in età fertile lasciarono il Paese per mettere su famiglia all'estero, lasciando alle spalle una patria dove l'età media è sempre più elevata. Puntare il dito sui rigidi paletti posti dal governo all'immigrazione extracomunitaria sarebbe però sbrigativo.
In tempi recenti è stato soprattutto l'arrivo di lavoratori da Ucraina e Bielorussia a tamponare parte della richiesta di manodopera ma è un flusso che ha iniziato a esaurirsi, tanto da costringere alcuni comparti in cerca di personale poco qualificato, come il settore della ristorazione, a cercare risorse in Nepal o nelle Filippine, come racconta, ancora a Bloomberg, Magdalena Derlacz-Poplawska, titolare della società di reclutamento Ontos.
Il problema è (anche) la burocrazia
Il vero problema, sembrerebbe, è la burocrazia, che lascia gli stranieri in attesa per mesi prima di ottenere un permesso di lavoro. Mesi durante i quali ci si può imbattere in alternative fornite da economie altrettanto fiorenti ma con macchine amministrative molto più efficienti e retribuzioni ben più elevate, in particolare la Germania, la cui domanda di manodopera, in particolare nel manifatturiero, è spesso sovrapponibile a quella polacca.
"Gli imprenditori hanno iniziato a tagliare la produzione e gli ordini perché non sanno quanto tempo ci vorrà loro per ottenere lavoratori", spiega ancora Derlacz-Poplawska, "alla fine ciò avrà un duro impatto sull'economia". Filip Dabrowski, proprietario di un servizio di consegne a domicilio, racconta invece di aver offerto dieci posti di lavoro e di essersi ritrovato davanti un solo candidato. "Dobbiamo trovare una soluzione", afferma, "prima che sia troppo tardi".