Nella guerra commerciale tra Usa e Cina, Pechino adesso colpisce il presidente Usa, Donald Trump, dove più gli fa male: le imprese cinesi hanno interrotto l'acquisto di prodotti agricoli statunitensi. Lo ha annunciato lunedi' il ministero del Commercio che oggi, sul suo sito web, ha reso noto che non solo gli acquisti di prodotti agricoli statunitensi da parte di società cinesi sono stati sospesi, ma non è escluso che vengano applicati dazi all'importazione di beni di questo tipo già acquistati. Ed è un brutto colpo per gli agricoltori americani di quegli Stati rurali che hanno trascinato Trump alla vittoria nelle elezioni 2016.
Quanto vale l'import cinese?
La Cina è tra i più importanti acquirenti mondiali di prodotti agricoli statunitensi: nel 2018 quarto Paese, con 5,9 miliardi di dollari di acquisti, dopo Messico (8,1 miliardi di dollari), Canada (7,7 miliardi di dollari) e Giappone (5,9 miliardi di dollari). Tra coloro dunque che rischiano di rimanere intrappolati nello scontro commerciale, ci sono innanzitutto gli agricoltori americani, che già nel fine settimane avevano lamentato una riduzione degli affari.
Dopo l'annuncio da Pechino, il presidente dell'American Farm Bureau Federation, Zippy Duvall, ha parlato di "duro colpo alle migliaia di agricoltori e allevatori che già faticano ad andare avanti". L'amministrazione Trump ha già aiutato gli agricoltori con 28 miliardi di dollari in due anni. Secondo l'American Farm Bureau, la Cina ha importato 9,1 miliardi di dollari di prodotti agricoli statunitensi nel 2018 (soprattutto soia Sc1, latticini, sorgo e maiale LHc1), decisamente meno che nel 2017, 19,5 miliardi di dollari.
Secondo gli economisti di Farm Bureau, le esportazioni in Cina sono diminuite di un ulteriore 1,3 miliardi di dollari durante la prima metà dell'anno; e ora si azzereranno del tutto (da notare che tra il 2000 al 2017, le esportazioni agricole statunitensi in Cina erano aumentate del 700%; e nel 2014, le esportazioni agricole statunitensi in Cina avevano superato i 24 miliardi di dollari).
Se la febbre suina diventa un vantaggio
La Cina è il principale acquirente al mondo di semi di soia e ha acquistato circa il 60% delle esportazioni di soia statunitensi lo scorso anno. Tra settembre 2017 e maggio 2018, le esportazioni di soia in Cina sono ammontate a 27,7 milioni di tonnellate; una cifra crollata di oltre il 70% a 7 milioni di tonnellate negli stessi nove mesi nel 2018 e nel 2019, secondo un'analisi dell'Università del Missouri.
Con una domanda inferiore da parte della Cina, si calcola che i prezzi della soia siano già scesi del 9% da quando è iniziata la guerra commerciale lo scorso luglio; e con una minore domanda di semi di soia, gli agricoltori finiscono per piantare di più altre colture, come il mais, il che si traduce in prezzi più bassi del mais perché c'è molta piu' offerta.
Nel frattempo la febbre suina ha ucciso milioni di maiali in Cina e gli esportatori di carne americani speravano di rifarsi esportando maiale, ma i dazi cinesi hanno limitato le vendite dagli Stati Uniti. Secondo gli agricoltori americani, la Cina potrebbe non farcela a soddisfare la sua domanda di soia senza gli Stati Uniti.
"Gli Stati Uniti sono il più grande produttore di soia al mondo e il secondo maggiore esportatore, dopo il Brasile. Il mondo ha bisogno dei prodotti agricoli statunitensi", ha affermato lunedì Owen Wagner, ceo della North Carolina Soybean Association a Yahoo Finance. Ma lo scoppio della febbre suina potrebbe dare al gigante asiatico la flessibilità necessaria per reagire in modo aggressivo alla stangata di Trump: in Cina c'è la più grande mandria di maiali al mondo, la farina di soia viene utilizzata per nutrirli e si stima che l'epidemia decimerà la mandria del 50% entro la fine del 2019.