"I mercati digitali tendono naturalmente al monopolio e non vedo come indagini antitrust o multe possano impensierire le aziende che si sono affermate in questi anni o indurle a cambiare la loro strategia di business. Il loro modo di fare soldi è la natura stessa della Internet economy". Paolo Cellini, docente di Economia digitale all'Università Luiss Guido Carli di Roma, commenta all'AGI la decisione delle autorità americane di avviare un'indagine antitrust sulle grandi aziende tecnologiche e il patteggiamento di Facebook, che pagherà alla Federal Trade Commission 5 miliardi di dollari per chiudere la disputa sulle violazioni della privacy emerse dopo lo scandalo Cambridge Analytica.
"È una tendenziale disposizione delle aziende digitali di aggregare mercato e diventare uniche nel loro settore. O fanno così oppure qualcuno lo farà al posto loro. Il meccanismo è piuttosto semplice: offrono servizi digitali gratuiti e molto apprezzati in cambio dell'accesso ai dati degli utenti. Social, app, email e mappe sono beni che hanno un grande valore percepito, ma non si pagano. L'unica cosa che queste società chiedono in cambio sono i dati degli utenti. Più dati arrivano a queste società, più diventa efficace la loro capacità di vendere pubblicità mirate". Un processo di crescita continuo, che non puo' che portare queste aziende a "rafforzarsi sempre di più nel loro monopolio, perché possono offrire agli inserzionisti servizi che nessun altro è in grado di offrire".
Per questo, continua Cellini, nessuna multa puo' metterle davvero in difficoltà: "Facebook è stata multata per cinque miliardi, ma tre li aveva già accantonati nell'ultima trimestrale (i ricavi furono di 16 miliardi, ndr). I ricavi di queste società le mettono largamente al riparo da qualsiasi tipo di multa. Google, per esempio, ha in cassa oltre 100 miliardi: quale effetto potrebbe avere una multa, anche miliardaria, se quei soldi li potrebbe recuperare in due mesi?".
Nessuno in realtà intenzione di danneggiare davvero queste società
Che le multe siano inutili ne è convinto anche l’avvocato Giovanni Maria Riccio, docente di diritto di internet a Salerno e socio dello studio legale E-Lex: “Quando l’antitrust si rivolge a società come Facebook o Google si rivolge a enti che hanno il potere pari a quello di uno Stato. Le multe se le aspettano, e fanno accantanomenti per questo. Ma i soldi guadagnati saranno sempre molti di più”.
Ma se è inutile parlare di multe, lo è anche parlare di possibili società concorrenti: “Quando queste società individuano servizi che in qualche maniera possono ostacolare il loro business, semplicemente se le comprano. Facebook per questo ha comprato sia WhatsApp che Instagram. La loro forza è nei dati, e il potere che può generare l’incrocio tra i tre poli della galassia Zuckerberg è enorme”.
Inoltre, c'è da considerare che nessuno a davvero intenzione di danneggiare i colossi del web. Spiega di nuovo Cellini: "Che interesse avrebbe il governo americano? E poi l'unico modo per fermarle è staccare loro la spina, come fanno i governi autoritari, o come ha fatto la Cina, dove Google non si puo' usare, Facebook nemmeno e hanno Alibaba al posto di Amazon". Una scelta impensabile in Occidente. "Forse gli Usa vogliono solo far vedere che non sono da meno dell'Unione Europea sul tema della privacy e della concorrenza", in riferimento alle indagini svolte in questi anni dalla commisaria alla concorrenza Margrethe Vestager che è arrivata a multare Google per complessivi 7 miliardi accusandola di ostacolare la concorrenza, "ma mi sembra più una mossa politica che di reale controllo delle dinamiche di mercato".
"E comunque in questa fase dell'Internet consumer non vedo come possa essere ostacolata la crescita del business di queste società". Oggi Facebook ha circa 3 miliardi di utenti. Google ha il 90% del mercato dei motori di ricerca e, con Android, ha l'80% del mercato dei cellulari. "Numeri che rendono praticamente impossibile che lo scenario possa cambiare nel prossimo futuro", conclude.