La moneta di Zuckerberg è quasi pronta: il white paper, cioè il documento che ne illustra le caratteristiche, dovrebbe essere pubblicato il 18 giugno. Nel 2020 ci sarebbe il lancio, probabilmente dopo aver sciolto (o quantomeno allentato) i nodi che riguardano la regolamentazione. La criptovaluta dovrebbe chiamarsi Libra ed essere governata da un gruppo di grandi società.
Come funziona la criptovaluta
A lungo si è pensato che la criptovaluta si sarebbe chiamata GlobalCoin. Le notizie sul nome sono ancora contrastanti, ma secondo il Wall Street Journal e The Information, sarebbe “Libra”, come la società registratata da Facebook in Svizzera lo scorso maggio (Libra Networks). Sarà, questo è certo, una “stablecoin”, cioè non una criptovaluta “pura”, il cui valore è determinato dagli scambi e influenzato dal protocollo, ma una moneta ancorata a una valuta fiat, cioè “di carta”.
Secondo il giornale tedesco WirtschaftsWoche, che cita Laura McCracken, capo dei servizi finanziari e pagamenti di Facebook per l'Europa, Libra sarebbe ancorata a un paniere di valute e non solo al dollaro. In questo modo non ci sarebbe una dipendenza dalla moneta americana, ma si confermerebbe il vantaggio di una stablecoin: avere meno volatilità. Che vuol dire, almeno in teoria, un incentivo all'uso come moneta vera e propria, per comprare beni e servizi.
Leggi anche il blog di Riccardo Luna: La moneta di Facebook sta arrivando
Cosa è davvero Libra
La stabilità ha però bisogno di garanzie. Cioè di valute tradizionali, che devono essere custodite da un'ente terzo. È quello che fanno le banche centrali. La cifra deve essere imponente, perché dovrebbe assicurare la liquidazione da parte degli utenti che, anziché spendere le loro Libra su Facebook, decidessero di convertirle in dollari o euro. Questo meccanismo impone quindi una centralizzazione ed è una delle ragioni che rendono la criptovaluta di Facebook molto lontana da Bitcoin.
In un incontro con i banchieri centrali dello scorso maggio, Tobias Adrian (capo della divisione mercati del Fondo monetario internazionale), ha sottolineato proprio questo punto: non cita Menlo Park, ma il riferimento al “social network” è chiaro. Secondo Adrian, Libra sarebbe una “eMoney”: un gettone virtuale totalmente (o per gran parte) assicurato da depositi in monete tradizionali. Quindi una versione digitale di qualcosa che esiste fisicamente. Qualcosa di più simile a WeChat Pay e AliPay (in Cina) ed M-Pesa (in Kenya) che al bitcoin.
Il peso della stabilità
I casi cinesi e kenyano dimostrano che il modello può avere una larghissima platea. Funziona. La “digitalizzazione” di una moneta ha dei chiari vantaggi. Adrian ne individua quattro: viaggia su dispositivi che abbiamo nelle nostre mani e sono diffusi anche in Paesi con infrastrutture bancarie meno solide; ha costi di transazione minimi; in molti casi (anche se questo per Facebook sarà un punto cruciale) social media e tlc hanno una reputazione migliore delle banche; le grandi piattaforme non partono da zero ma da una base di utenti enorme, che renderebbe l'adozione più rapida. Allo stesso tempo, però, l'estensione globale di Libra potrebbe essere un problema. Facebook non dovrà solo garantire riserve importanti, ma anche in diverse valute.
A cosa serve un consorzio “indipendente”
Per reperire le garanzie necessarie e, allo stesso tempo, spingere il progetto, Facebook avrebbe scelto di costituire un consorzio indipendente, almeno nella forma. Alcune grandi società dovrebbero pagare Zuckerberg per comprare un “nodo” della blockchain (una delle “stanze digitali” in cui la transazione viene validata) e lo gestistirebbero in cambio di un non ancora precisato incentivo economico.
Secondo il Wall Street Journal, tra questi gestori ci sarebbero Visa, Mastercard, PayPal e Uber. E potrebbero aggiungersi anche Stripe, Booking.com e l'e-commerce argentino MercadoLibre. I nodi costerebbero 10 milioni di dollari. Sarebbero un centinaio, assicurando così a Menlo Park un miliardo di dollari. Chi paga otiene inoltre una poltrona nel consorzio incaricato di guidare Libra. In attesa di conoscere i dettagli, ci sono motivi più che sensati che avrebbero spinto Zuckerberg a questa mossa. Il miliardo incassato sarebbe la garanzia con cui far partire Libra.
Avere una sorta di “consiglio di amministrazione” della criptovaluta assicurerebbe una gestione molto più reattiva rispetto a quella distribuita di bitcoin. Allo stesso tempo, e questo è chiaro, il funzionamento resterebbe fortemente centralizzato. Niente a che vedere con l'idea iniziale di blockchain e criptovalute, che avevano come obiettivo proprio quello di rendere più democratica la gestione del denaro. Anzi, per certi aspetti è il suo esatto contrario. Facebook non vuole evitare che le transazioni passino da un'autorità forte. Vuole diventare l'autorità forte.
Facebook fa un passo di lato
Facebook, spiega il Wall Street Journal, non farà parte del consorzio. Delegherà così la sua gestione. Poco male: darà una parvenza di decentralizzazione (molto parziale) ma deterrà ancora la tecnologia di base e rimarrà la piattaforma su cui spendere. Senza i social di Zuckerberg, il valore di Libra sarebbe nullo, così come inutili sarebbero le decisioni del consorzio. Facebook sarebbe per la criptovaluta, i suoi gestori e i suoi possessori un po' quello che Android è per sviluppatori di app e utenti.
Non ti dico che app creare o scaricare, ma per farlo devi passare da qui. Allo stesso tempo, Zuckerberg manterrebbe intatte le opportunità di guadagno: trasformare i suoi social in giganteschi e-commerce potrebbe portare in cassa, secondo Barclays, fino a 19 miliardi di dollari entro il 2021. Con un doppio vantaggio: guadagnare di più e farlo in modo alternativo alla pubblicità. Una soluzione necessaria viste le possibili strette antitrust e il percorso tracciato verso un social più “privato”.
Il grande dubbio: le regole
Distinguere social e Libra, almeno formalmente, sarebbe poi un vantaggio a livello regolatorio. La criptovaluta è, per ora in potenza, un nuovo, enorme potere. Che sarà osservato molto da vicino dalle autorità finanziarie. Zuckerberg lo sa bene e – da tempo - si sta attrezzando. Secondo il Financial Times, il ceo di Facebook ha assunto Ed Bowles, capo degli affari pubblici in Europa della società finanziaria Standard Chartered.
In pratica un lobbista, incaricato di seguire da vicino le mosse dell'Europa. “Facebook ha il diritto, come chiunque altro, di entrare nel mercato, ma il problema è il legame con le sue altre attività e con la raccolta di dati”, ha affermato Olivier Guersent, direttore generale del dipartimento per la stabilità finanziaria della Commissione Ue. L'assunzione di Bowles è coerente con altre recenti mosse: Zuckerberg ha incontrato diversi rappresentati di istituzioni finanziarie, tra i quali il governatore della Bank of England Mark Carney.
E a gennaio ha arruolato nel team per gli affari globali e la comunicazione Nick Clegg, ex vice primo ministro britannico. Senza dimenticare che la guida del progetto è stata affidata a David Marcus: fedelissimo di Zuckerberg, prima di fare grande Messenger e passare alla blockchain, era stato presidente di PayPal.