La Silicon Valley è sempre meno americana. Le aziende tecnologiche della baia di San Francisco, secondo uno studio della testata online Vox, sarebbero sempre più in mano a Cina e Arabia Saudita. Dall'analisi dei flussi di denaro che attraversano la Silicon Valley emergono crescenti investimenti cinesi e sauditi, e il dato sta cominciando a spaventare gli americani.
I sauditi hanno investito nelle start-up della mobilità urbana Lyft, Uber e Magic Leap, mentre 45 miliardi di dollari sono stati versati in un fondo della SoftBank, una delle più grandi banche d'affari al mondo, che ha fatto almeno 26 investimenti in Usa, dalla compagnia tech legata ai giochi online Slack a WeWork e a GM Cruise, che lavora nel campo delle auto del futuro senza guidatore.
Gli investimenti diretti di Riad ammontano a 6,2 miliardi di dollari
Secondo Quid, una piattaforma di analisi finanziarie, i sauditi hanno preso parte a investimenti diretti per un ammontare di 6,2 miliardi di dollari. L'analisi degli ultimi dieci anni mostra un trasferimento di risorse dal settore manifatturiero a quello tecnologico, di cui la Silicon Valley è il cuore. Se storicamente Wall Street ha sempre ben accolto l'arrivo di capitale straniero, crescono i dubbi su queste tendenze attuali.
Uno dei personaggi su cui si è concentrata l'attenzione è Mohammed bin Salman, 32 anni, potente principe ereditario saudita: un anno fa ha riunito quattro dei maggiori investitori della Silicon Valley, per discutere di progetti insieme. Poi ha incontrato Tim Cook, di Apple, e stretto amicizia con Sergey Brin, fondatore di Google, e Bill Gates, guru di Microsoft.
Pochi mesi dopo l'incontro, il commentatore del Washington Post, Jamal Khashoggi, sarebbe stato brutalmente ucciso nel consolato saudita di Istanbul, generando imbarazzi e dubbi sull'opportunità che la petromonarchia continui a svolgere un ruolo guida nella baia di San Francisco.
Nel caso della Cina, invece, sono le stesse start-up ad aver avviato una strategia di reazione per uscire da questo accerchiamento. Come Grindr, la app per gli appuntamenti online riservata ai gay, che attraverso gli amministratori americani ha chiesto alla proprietà cinese di uscire per paura che il governo di Pechino possa usare i dati personali per ricattare gli utenti.