Su YouTube gira il video di un certo Luca Arietti che scaglia a terra il proprio telefono, poi, non contento, lo prende a martellate, finché non è completamente distrutto. Il video risale al 2014 ed è solo uno dei tanti che va sotto lo slogan ‘smash the past’ (si potrebbe tradurre in “fa’ a pezzi il passato”) una specie di rituale religioso – vedremo poi chi lo ha definito così – necessario per entrare in una sorta di setta di smanettoni.
Solo dando questa prova di fedeltà assoluta era possibile entrare nel novero degli eletti che avrebbe provato un nuovo smartphone. Gratis? No, pagandolo. Come qualunque altro telefono. Una roba da matti, quindi, alla quale però non aderì un pugno sparuto di fomentati, ma 140 mila persone che speravano di entrare tra i primi cento privilegiati che avrebbero dovuto distruggere il proprio smartphone per conquistarne uno realizzato da una azienda di cui nessuno sapeva niente.
Solo loro, i primi cento, avrebbero potuto invitare qualcuno ad acquistarne uno, in una catena di Sant’Antonio che nessuno avrebbe cestinato. Tanto che su eBay cominciarono a spuntare ‘inviti’ ad acquistare il telefono venduti a 400 dollari.
In sostanza c’era gente disposta a pagare 400 dollari per garantirsi il diritto a comprare un telefono che ne costava 300. Buffo, vero? Non tanto, visto che il modello si rivelò talmente vincente che la società decise di monetizzare anche gli inviti e così, in occasione del lancio del modello successivo, questi furono messi in vendita, e il ricavato destinato all’Unicef.
Marketing virale geniale
Una cosa che sembra poter funzionare solo sulla carta di un progetto di marketing virale talmente visionario da apparire sconclusionato. E invece ha avuto così tanto successo che oggi presentarsi a un summit di geek con un OnePlus è come andare a una festa accompagnati da quella che forse non è la ragazza più desiderata della scuola, ma sicuramente la più intrigante.
Abbiamo detto di chi stiamo parlando eppure molti tra voi avranno storto la bocca perché, anche se è giunto al nono modello, OnePlus non è certo uno dei marchi più conosciuti. La ragione è semplice: non fa pubblicità o almeno non ne fa tanta. Ma altrettanto semplice è la ragione per cui dovreste conoscerlo: produce smartphone che non hanno nulla da invidiare a modelli di punta di colossi più blasonati, ma costano la metà.
Quanto costa uno OnePlus 6T e cosa fa
Un device per chi si accontenta, potreste pensare, ma non è così. E’ un device per chi non ha tempo da perdere in dettagli spesso inutili. Se volete uno smartphone con una fotocamera imbattibile perché vi sentite Helmut Newton, compratevi uno Huawei. Se volete un telefono che può usare anche un bradipo sotto hashish prendetevi un iPhone. Se volete una serie di ammennicoli la cui utilità è oscura a tutti tranne a chi li ha progettati ma vi fa sentire molto cool prendetevi un Samsung. Ma in tutti e tre i casi preparatevi a spendere una cifra intorno (o oltre) i mille euro.
Se invece volete una macchina velocissima, affidabile, senza troppi fronzoli e che faccia bene il proprio lavoro allora OnePlus fa per voi. E il 6T, il modello uscito da poche settimane, lo trovate a meno di 600 euro.
Dove si trovano gli OnePlus
La novità è che lo trovate, perché la casa cinese – sì, non è un’impresa nata in un garage californiano, ma anche lei una storia interessante che merita di essere raccontata – si è finalmente decisa ad approdare alla grande distribuzione e in Italia si è affidata a Mediaworld dopo aver realizzato che forse il giochino degli inviti a pagamento aveva finito per stufare anche i più esaltati e che con numeri di vendite a sei zeri era venuto il momento di inseguire il mainstream.
Dagli acquisti a inviti agli scaffali dei megastore
Per la verità, tra la fase delle vendite su invito e la collaborazione con MediaWorld, ci sono due momenti intermedi nel mercato italiano: la vendita online sul sito di OnePlus (aperta a tutti, anche senza invito, a partire dal lancio del modello OnePlus 3) e quella su Amazon (attiva in Italia dalla primavera 2018, cioè a partire dal lancio di OnePlus 6). In altri Paesi, lo sviluppo commerciale ha avuto tappe diverse: il 6T che in Italia ha fatto sbarcare per la prima volta OnePlus nei negozi di MediaWorld, negli Stati Uniti è stato messo in vendita nei retail di T-Mobile.
L’obiettivo, hanno in più occasioni detto i fondatori, non è accodarsi al mainstream ma sarebbe una conseguenza del buon operato dell’azienda, perché l'attenzione resterebbe sempre sul prodotto, che deve essere pensato e realizzato nel miglior modo possibile in tutti i suoi dettagli.
Resta il fatto che per molti parliamo di una realtà ancora sconosciuta. Qualcuno cui affidare 600 euro – ok, non saranno mille e passa, ma pur sempre un discreto gruzzolo – viene ancora un po’ difficile. Quindi raccontiamo la storia di OnePlus così come la tramanda l’iconografia aziendale.
Storia di Pei e Lau
E’ la fine del 2013 quando Carl Pei e il suo socio Pete Lau fondano OnePlus. Pei ha 25 anni e Lau 39. Lo fanno, racconterà un anno e mezzo dopo Pei, perché pur lavorando in una azienda che fabbrica smartphone con sistemi operativi Android, entrambi usano ancora iPhone. La ragione è che gli smartphone Android sono brutti e hanno un software meno user-friendly di iOs.
Così decidono di creare lo smartphone che piacerebbe a chi con lo smartphone ci lavora e si mettono in ascolto di quello che gira sui forum per smanettoni. Raccolgono lei idee, le sottopongono alla community e nel 2014 lanciano One Plus One, il primo modello della nuova casa. L’obiettivo è vendere 30 mila pezzi, ma ne va via un milione.
Ma come diavolo hanno fatto? Di nuovo l’iconografia aziendale parla di annunci online su un nuovo telefono di fascia alta a prezzi contenuti accompagnati da uno slogan accattivante: “Never settle”. Che si può tradurre con “Mai mettersi comodi” o “Mai riposare sugli allori”, con un messaggio che suona vagamente come un monito per Apple. Ci sono stati il rituale di ‘Smash the past’ di cui abbiamo parlato (a proposito: è stato Pei a parlare di rito religioso) e altre trovate. Fino a poco prima nessuno aveva sentito parlare di OnePlus e nel giro di pochi mesi è sulla bocca di tutti quelli che frequentano siti come TechRadar, forum per geek e Reddit. L’operazione marketing virale ha funzionato e ha scatenato la frenesia.
Con quali modelli OnePlus ha sbagliato
Al momento del lancio di OnePlus 2 Pei dice al Wall Street Journal: “Tradizionalmente, i consumatori poco informati pensano che a un prezzo più elevato corrisponda un prodotto migliore. Con la trasparenza di Internet e le recensioni degli utenti, l'intera equazione sta cambiando. Per gli smartphone come per i ristoranti”. Ma Pei e il suo socio commettono un errore.
Entusiasti per il successo che hanno ottenuto con lo One hanno smesso di ascoltare le opinioni e i consigli della community e il risultato è che il modello 2 è un flop. E ancora peggio va con l’X, un tentativo di fare una versione ancora più economica, ma decisamente meno performante. Potrebbe piacere, ma nessuno lo compra perché commercialmente non ha senso. I due soci si rendono conto dell’errore e decidono di raccogliere le idee.
E come ha posto riparo
Per e Lau tornano a interagire sui forum e ad ascoltare i pareri esterni ed è così che nasce One Plus 3. Un nuovo successo. Seguito sei mesi dopo dal 3T. A chi gli contesta di essere caduto nella trappola dei grandi marchi di lanciare un modello ogni sei mesi, Pei risponde che così come non si aspetta un anno per aggiornare un software, allo stesso modo non c’è motivo di aspettare a usare hardware più performanti. Il 5 e il 5T prima e il 6 dopo replicano il successo. Il 6T ha abbattuto il muro della distribuzione ed è, letteralmente, alla portata di tutti.
E come altri brand cinesi, anche OnePlus ha lanciato una partnership con una supercar. Così se da qualche anno ormai Huawei viaggia insieme a Porsche e Oppo ha messo di recente sul mercato un modello del suo flagship co-brandizzato Lamborghini, la casa di Carl Pei ha scelto McLaren per uno smartphone con tecnologia di Warp Charge 30 per una carica della durata di un giorno in soli 20 minuti e una memoria Ram da 10 giga. Sostanziale anche in questo caso la differenza di prezzo: il 6T McLaren cosa poco più di 700 euro contro i circa 1.600 del Lamborghini di Oppo e del Mate 20 RS di Huawei.
Da dove vengono i soldi?
Sembra una bella favola, un po’ come quella dei colossi hi-tech che hanno visto la luce in anonimi garage di famiglia, ma ci sono alcuni elementi da considerare. Pei, nato in Cina, cresciuto negli Usa e formato in Svezia, non è solo un piccolo genio: è un uomo d’affari.
Dice di ispirarsi a Steve Jobs, ma al suo fianco ha quello che è stato general manager della divisione blue-ray di Oppo, una azienda cinese che produce smartphone nella stessa fabbrica di Shenzhen dove li produce OnePlus. E sia Oppo che OnePlus hanno tra gli investitori Bbk Electronics, una società creata nel 1995 specializzata in TV, lettori MP3, fotocamere digitali e che investe anche in un altro produttore di smartphone: Vivo.
L’idea di lanciare uno smartphone di qualità a un prezzo contenuto, quindi, era più che buona, ma quanto lontano sarebbe andata senza i soldi della Bkk, da cui comunque OnePlus è indipendente, è ancora da capire.
L’immagine di impresa ribelle e fuori dal mercato, forse, è più la costruzione di un marketing geniale capace di far leva sull’ossessione di una certa fascia di consumatori per l’ultima novità a ogni costo piuttosto che una vera rivoluzione. Resta il fatto che, se volete andare a una festa dove la vostra ragazza sarà la più ammirata, sapete come spendere in vostri soldi.