Carlo Bonomi è il presidente di Assolombarda da un anno e mezzo; negli ultimi mesi, le sue posizioni sono state piuttosto critiche nei confronti delle ricette economiche proposte dal governo gialloverde, e il suo intervento all’assemblea dello scorso ottobre è stato accolto con applausi scroscianti dai rappresentanti delle 6 mila aziende delle province di Milano, Lodi e Monza-Brianza. La riunione della più importante, per numeri e rappresentatività, delle associazioni confindustriali si è tenuta anche quest’anno alla Scala e Bonomi dal palco ha parlato per oltre mezz’ora. La standing ovation finale dei colleghi imprenditori era molto convinta. Quasi quanto quella che ha accolto, alla Prima di pochi giorni fa nello stesso teatro, l’affacciarsi del presidente Sergio Mattarella dal Palco Reale, prima della rappresentazione dell’opera verdiana Attila.
I cinque minuti di applausi al capo dello Stato, dice Bonomi in una intervista all’Agi, “fanno parte del Dna milanese. Milano storicamente ha avuto il ruolo di locomotiva del paese, non è qualcosa di nuovo. Noi amiamo le istituzioni repubblicane e ci riconosciamo nel presidente: siccome non viene a Milano tutti i giorni, averlo alla Prima della Scala è molto simbolico. È stato apprezzato ed è stato riconosciuto un doveroso tributo a quel ruolo che svolge per tutti noi”.
Oltretutto, ha aggiunto, “la Prima non è quell’evento dell’élite come viene rappresentato, ma è la conclusione di una giornata in cui Milano festeggia il suo patrono: parte la sera prima con l’accensione dell’albero, prosegue con la consegna degli Ambrogini d’oro a chi ha reso Milano importante: è un tributo alla città, ed è l’inizio dei festeggiamenti per il Natale in città”.
Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda
Lunedì il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini è venuto a discutere con gli imprenditori di Assolombarda: quali sono le vostre richieste al governo?
“Il tema è questo: noi condividiamo gli obiettivi che si è data la legge di bilancio. Chi non è d’accordo con intervenire sulla povertà o aiutare la partecipazione dei giovani al mondo del lavoro per fare crescita nel paese? Siamo tutti d’accordo. Condividiamo anche il metodo: fino ad oggi siamo stati abituati a lavorare su politiche che vedevano al centro la stabilità pensando che questa determinasse la crescita. Nella realtà condividiamo di invertire il paradigma perché quella politica non ha funzionato e quindi bisogna fare crescita affinché ci siano le risorse per fare la stabilità”.
Su che cosa non siete d’accordo, e che cosa proponete?
“Quello che non condividiamo e su cui abbiamo iniziato ad incalzare il governo è il tema proprio della crescita: quali manovre si devono inserire all’interno della legge di bilancio per fare crescita. Noi riteniamo che i due pilastri che sono stati inseriti (su cui peraltro ad oggi non abbiamo ancora nulla), che sono la famosa quota 100 e il reddito di cittadinanza non siano gli strumenti per fare crescita nel paese. In questo momento c'è una frenata mondiale del commercio internazionale, indipendente da tutti ma dovuta a quello che sta succedendo, ovvero i problemi geopolitici e gli scontri fra le grandi potenze Russia, Cina e Stati Uniti; quindi c'è un rallentamento generale. L'Italia purtroppo sta frenando, i dati questo segnalano: in questo momento, noi riteniamo che debbano essere altre le priorità da mettere in campo".
A che cosa si riferisce in particolare?
“C’è anche il tema delle infrastrutture che sono un importante tema di connessione dei nostri territori con il mondo Le competizione globale è molto forte, i nostri competitors estremamente agguerriti: noi non possiamo pagare il gap dalle infrastrutture rispetto agli altri. Le dico due dati: non li diamo noi, ma Sace, che è un ente governativo. Se noi avessimo le stesse infrastrutture del nostro competitor tedesco, la prima manifattura in Europa mentre noi siamo la seconda, potremmo esportare dai 60 ai 70 miliardi in più. Inoltre, paghiamo una bolletta di logistica di 13 miliardi all’anno. Solo questi 2 numeri danno la dimensione di quello che dovrebbe essere l’azione di questo governo”.
Come valuta la trattativa con Bruxelles sul rapporto fra deficit e Pil?
“Il problema non è che facciamo il 2,4%: potremmo anche fare il 4%, ma quelle risorse devono essere finalizzate alla crescita. La stessa Commissione europea non sta contestando il 2,4% ma come vengono spese quelle risorse, mettendo in dubbio il fatto che poi generino davvero una crescita dell’1,5%. Quest’anno abbiamo una previsione dell’1,2%, ma siamo nell’ultimo trimestre e ancora allo 0,9%. Non credo ci arriveremo. I numeri sono lì a sottolineare quello che chiediamo al governo: di mettere in campo le manovre necessarie a fare quella crescita di cui questo paese ha bisogno”.
Assolombarda ha ospitato una conferenza sulla Diplomazia economica, in collaborazione con la Farnesina. Perché a Milano?
"Milano gioca un ruolo particolare in Italia: e' hub della internazionalizzazione sia per le imprese e i fondi esteri che vogliono venire a investire in Italia sia per le imprese italiane che vogliono usare Milano come trampolino per proiettarsi nel mondo. E' la prima volta che questo rapporto viene presentato fuori Roma e guarda caso viene presentato proprio a Milano. Con piu' di 40 miliardi di euro di export generati all'anno e oltre quattromila imprese internazionali attive sul territorio, Milano poggia la propria identità sulla vocazione economico-produttiva del territorio e fa dell'apertura ai mercati globali una leva di sviluppo di importanza strategica. E' centro della diplomazia economica, punto di riferimento e traino della proiezione internazionale delle eccellenze produttive del Paese".
Gli imprenditori del Nord hanno una visione diversa rispetto a quelli del resto d’Italia? Penso ad esempio alla protesta di un paio di settimane fa a Torino.
“No: quello che io vedo è una posizione condivisa del mondo industriale, non solo di quello del Nord: Le necessità che hanno le imprese di Milano ce le hanno a Palermo, a Bari, anche se naturalmente poi ci sono le specificità regionali. C’è una questione industriale nazionale: non è più una questione di Nord, ma di paese”.