“È il sogno del Corriere che me le chiedeva fin dal mio insediamento” è stata la sardonica replica di Paolo Savona a un articolo del quotidiano di via Solferino secondo il quale il ministro delle Politiche Comunitarie sarebbe vicino alle dimissioni. Le indiscrezioni lo dicono stanco di uno scontro con l'Europa dal quale "avremmo più da perdere che da guadagnare" e preoccupato dall'andamento delle aste dei titoli di Stato. L'ultimo collocamento di Btp Italia è stato il secondo peggiore di sempre. Un risultato che fa guardare con timore al gennaio del 2019, quando il Tesoro, senza più il paracadute del 'quantitative easing' della Bce, dovrà collocare 51 miliardi di debito, un ottavo del totale previsto per l'anno venturo. Se sarà un disastro, Savona vuole poterlo guardare da lontano, sostiene il Corriere, scrivendo di una "metamorfosi": "L'uomo che spaventava Bruxelles, l'estensore del piano B dell'uscita dall'euro, il teorico del 'cigno nero', la personificazione di tutti gli incubi veri o presunti di un'Italia da indirizzare verso una versione tricolore della Brexit si trasforma nel principe dei responsabili".
Le ragioni di un fraintendimento
In realtà la nomea euroscettica di Savona è un colossale fraintendimento. Lungi dal voler smantellare l'Europa, il ministro ha sempre chiesto di ridiscutere i trattati di Maastricht (che in pochi conoscono meglio di lui) ritenendo insostenibile nel lungo termine un'Eurozona schiacciata sul modello tedesco, tesi che non ha nulla di ardito od originale. C'è differenza tra voler distruggere la Ue e volerla cambiare con l'intenzione di salvarla. E Savona ha sempre affermato di far parte di questa seconda categoria. Quanto al "cigno nero", che un Paese debba avere un piano di contingenza in caso di crisi dell'unione monetaria appare scontato, soprattutto in una fase nella quale i maggiori economisti tedeschi parlano apertamente di uscita dell'Italia dall'Euro. Savona difatti ha affermato in più occasioni di non voler lasciare la moneta unica ma di non escludere che l'Italia possa essere costretta da altri partner a uscirne.
"Passo per uno dei pochi economisti istituzionali anti-europeisti, ma non è così", disse in un'intervista a Libero dello scorso anno, "io sarei per l'Europa unita, per questo non posso che dire peste e corna di quello che vedo a Bruxelles. Le difficoltà dell'Ue sono colpa delle élite che la guidano: dicono di interessarsi del popolo ma si occupano solo di loro stesse e non ammetteranno mai il fallimento dell'Europa perché significherebbe autocondannarsi. E questo acuisce i problemi. La mancanza di diagnosi comporta l'assenza di terapia. Le élite italiane hanno voluto questa Europa, sbagliando. Si prendano la colpa o qualcuno gliela attribuisca".
Un uomo della Prima Repubblica scaraventato nella Terza
Èlite che Savona conosce bene. È curioso l'abito anti-establishment cucito addosso a una figura che più establishment non si può. Ex direttore generale di Confindustria, ministro dell'Industria del governo Ciampi, lunghi anni a fianco di Guido Carli, che da ministro del Tesoro firmò per l'Italia i trattati di Maastricht. Bisogna però domandarsi quale establishment. Savona è un uomo della Prima Repubblica che si è messo al servizio della Terza. Nel frattempo il mondo è cambiato radicalmente. Con le lenti di oggi, sarebbero considerati sovranisti accaniti anche Craxi, Andreotti e Cossiga. Proprio Cossiga è considerato da Savona tra i suoi maestri. Lo ha citato mercoledì alla presentazione di un libro, ricordando la sua tesi secondo la quale "l'economia è un grande imbroglio politico".
Ma a fare rumore sono state le parole che Savona ha detto subito dopo, quando ha criticato l'"aver affidato all'economia il traino delle vicende geopolitiche che in democrazia hanno spinto verso un ritorno dei nazionalismi o, come si dice ai nostri giorni, dei sovranismi". "Sovranismi di cui - ha aggiunto - non è facile decodificare gli effetti futuri, al di fuori della quasi certezza che lo sviluppo economico globale ne patirà". Ma come - si saranno chiesti in tanti - proprio Savona attacca i sovranismi? Anche qua, nulla di cui stupirsi: l'economista sardo ha sempre sostenuto che l'Europa andava cambiata proprio per scongiurarne la frammentazione.
E Tria? Non può fare altrimenti
Il Corriere cita ancora una sintesi attribuita a Conte secondo la quale "Tria s'è trasformato in Savona e Savona in Tria". Ovvero, scrive Labate, "l'eterodosso professore vicino al centrodestra e amico di Renato Brunetta s'è trasformato nel custode dell'ortodossia gialloverde e il custode dell'ortodossia gialloverde diventa una specie di cavallo di Troia europeista". Va però ricordato che Tria ha cercato per settimane di portare a più miti consigli i due vicepremier, decisi a realizzare quanto più possibile delle promesse contenute nel contratto di governo prima delle elezioni europee del maggio 2019. Non si contano le volte che è stato dato vicino alle dimissioni, nei mesi scorsi.
L'attuale ministro dell'Economia, come il titolare della Farnesina Moavero Milanesi, è prima di tutto una figura 'tecnica' di garanzia concordata con Sergio Mattarella, che ne ritiene la permanenza al suo posto fondamentale per la stabilità del Paese. Se Tria si dimettesse o un suo addio facesse cadere il governo, la reazione dei mercati sarebbe molto dura. E, dopo aver cercato il più possibile di non cedere nel braccio di ferro con Di Maio e Salvini, l'inquilino di via XX settembre ora non può fare altro che applicare il programma. Savona, invece, che ha un ministero molto meno 'pesante', può prendersi maggiori libertà.
"Bisogna cambiare il governo"
Si può supporre che le dimissioni considerate da Savona, qualora le indiscrezioni siano vere, siano un tassello del mosaico più grande costituito dalle divergenze sempre più palesi tra Lega e Movimento 5 stelle. "Non si può più andare avanti così, non ha senso. E la manovra com’è non va più bene: è da riscrivere", è quanto - secondo il Corriere - avrebbe detto a margine del Consiglio dei Ministri. Anche fin qua tutto normale: Savona aveva già dichiarato in passato che, con un aumento dello spread oltre il livello di guardia, la manovra avrebbe dovuto essere cambiata. La frase che colpisce è invece l'altra che gli viene attribuita da Labate: "A questo punto bisogna cambiare anche il governo, non solo la manovra". Ma quale governo vuole Savona?
Era stato Salvini a volere fortemente al suo fianco l'attuale ministro per le Politiche Comunitarie. Ed è a Salvini che Tria, spesso contestato duramente dai Cinque stelle, si sente vicino, un rapporto di fiducia tale da potergli garantire la conferma in un eventuale governo a guida leghista, sostengono altri rumor. Gli indizi sono tanti. Uno a caso: la risposta data durante al question time sull'impatto sui tassi dei mutui del rialzo dello spread.
Un intervento che arriva dopo lo scontro a 'Porta a Porta' tra il suo predecessore, Pier Carlo Padoan, che sosteneva l'identica tesi, e Laura Castelli, la viceministra a cui Tria ha negato le deleghe, che rispondeva: "Questo lo dice lei". Una sconfessione che dà la misura dell'atmosfera che si respira nella maggioranza. "Bisogna cambiare il governo", avrebbe detto Savona. Magari un esecutivo a guida leghista che, in caso di elezioni politiche anticipate in coincidenza con le europee, se c'è da fidarsi dei sondaggi, potrebbe non aver bisogno nemmeno del sostegno di tutto il centrodestra per incoronare Salvini premier.