La Casaleggio Associati ha presentato a Milano un report sulla tecnologia blockchain. 53 pagine in cui l’azienda spiega le opportunità di business legate a questa nuova tecnologia. Tutto parte dalla constatazione del mercato della blockchain, che, si legge nel report, nel 2017 aveva raggiunto quota 339 milioni di dollari a livello globale ma che già si prevede che nel 2018 arriverà a sfiorare i 2,5 miliardi. Le previsioni lasciano intendere che entro il 2027 il 10% del Pil mondiale sarà generato da prodotti e servizi legati alla blockchain.
Da qui muove lo studio, che si prefigge di esplorare gli ambiti in cui la blockchain è e sarà applicata in futuro. Il report ha avuto il supporto economico di Poste Italiane e Consulcesi, società che offre soluzioni blockchain, fondata da Andrea e Massimo Tortorella che qualche mese fa hanno pubblicato il loro libro di esordio “Cripto-Svelate”, pubblicato da Paesi edizioni.
Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano del 13 novembre entrambe le società avrebbero sponsorizzato il report con 30 mila euro ciascuna. L’articolo de Il Fatto e un altro pubblicato da La Stampa sempre sul report della Casaleggio hanno portato le opposizioni in Parlamento a parlare di conflitto di interessi (Huffington Post). Il deputato Pd Francesco Boccia ha paragonato la Casaleggio alla Fininvest di 25 anni fa, mentre un altro dem, Carmelo Miceli, chiede che la società pubblichi i nomi dei propri clienti.
Il motivo della polemica è che il governo, per volontà del ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, qualche mese fa ha annunciato in finanziaria l’istituzione di un fondo da 45 milioni di euro proprio da destinare a società interessate in investimenti in questa tecnologia (Il Sole 24 Ore). Ha replicato alle accuse Davide Casaleggio, dicendo che la sua società “non usufruirà di quel fondo” e che il compito della Casaleggio Associati è raccontare “come singole tecnologie possano cambiare completamente il business dell'azienda in Italia”.
Questo racconto parte da una definizione di questa tecnologia, per arrivare alle sua applicazioni pratiche. Dai prodotti finanziari ai contratti, dalla gestione della filiera all’economia dei token, fino al ruolo dello Stato, che potrebbe usarla per il voto, o il catasto. Ma tutto parte dalla blockchain, il protocollo che ha permesso la nascita delle criptovalute basato su un registro distribuito dove vengono registrate in maniera permanente e immodificabile le informazioni scambiate nella rete. Per alcuni, al netto delle difficoltà di applicazione (ne parlerà il report, ne abbiamo parlato qui), si tratta di una rivoluzione pari a quella di Internet, o della partita doppia (Edward Luttwak).
La blockchain, nel report della Casaleggio
“Il primo livello di utilizzo della blockchain è quello legato alla funzione di registro immodificabile”, si legge nel report. “Le attività riportate sul registro non possono essere cambiate da nessuno e non possono essere rimosse. Grazie a questa caratteristica, la tecnologia blockchain permette nella sostanza di avere un notaio digitale che certifica fatti e dati e che attribuisce loro una data certa”.
Una sorta di “notarizzazione distribuita degli eventi” che potrebbe generare “una nuova modalità di archiviare e dimostrare fatti rispetto a molti argomenti, legati ai singoli individui ma anche alle aziende, allo Stato, agli oggetti di intelligenza artificiale e tanto altro”. “Questa nuova possibilità di certificazione e fruizione dei contenuti, porterà in primo luogo alla nascita di nuovi motori di ricerca che permetteranno di leggere, confrontare e analizzare queste informazioni con una nuova importante dimensione, quella temporale”, è poi il suggerimento di scenario suggerito.
Gli effetti della blockchain sulla filiera
“La tecnologia blockchain supporta le aziende nelle tracciabilità di filiera”, continua il report, “seguendo il prodotto dalle origini dei suoi componenti al momento in cui raggiunge il consumatore finale. L’azienda guadagna in termini di affidabilità e credibilità e dispone di uno strumento efficiente per monitorare i fornitori. Il consumatore finale invece ha finalmente l’opportunità di conoscere l’intera filiera dei prodotti. In entrambi i casi è poi possibile registrare un vantaggio in termini economici, laddove l’utilizzo della tecnologia renda possibile l’eliminazione degli intermediari”.
Ci sono già degli esempi. Alcuni diventati piuttosto popolari sui social. Come quello di Carrefour che permette da qualche mese ai clienti italiani di accedere alle informazioni relative al prodotto acquistato attraverso un QR Code e di consultare i dati relativi ai prodotti. O Barilla che ha avviato una sperimentazione in cui sono coinvolti i produttori di basilico che tracciano tutti i dati relativi a coltivazione, irrigazione, antiparassitari impiegati e sfalcio.
Ma, si legge, “anche lo Stato può essere protagonista nella certificazione delle filiere. Ad esempio la Food Standard Agency britannica ha portato a termine un progetto pilota in un macello al fine di certificare l’ottemperanza della legge all’interno della struttura”. Così come il settore della moda, o della navigazione.
Le opportunità individuate per le aziende
Ma al di là della filiera, l’interesse per il controllo di ciò che avviene dei propri prodotti è qualcosa che può riguardare anche le aziende: “Sono numerose le aziende che optano per creare dei registri basati su blockchain consultabili solo internamente o dai partner. Un nuovo sistema basato sulla trasparenza può rendere più fluido lo svolgimento del monitoraggio dei processi a tutti i livelli e per tutte le persone ed entità coinvolte”.
Le tecnologie di voto
Nella fase di esplorazione delle applicazioni possibili dei registri blockchain, il report fa un passaggio anche sui “processi di voto”. “Alcuni esempi esistono già come la piattaforma blockchain Bitshares, il partito Liberal Alliance che in Danimarca ha testato su piccola scala un sistema di voto blockchain nel 2014 o l’esempio più recente del voto di Zugo, in Svizzera”.
Scenari possibili, e il Parlamento italiano lo scorso settembre ha inviato un’indagine conoscitiva per esplorare l’applicabilità di questa tecnologia al voto in Italia. Lo studio è ancora alle sue fai iniziali, ma va detto che al momento la maggioranza degli esperti di blockchain ritiene inutile l’uso di questa tecnologia per il voto per i rischi legati alla sicurezza e alla segretezza.
L’economia dei token
Chiusa la parte esplorativa delle applicazioni, il report si concentra sulle caratteristiche dell’economia blockchain, legata al concetto di token. “La seconda caratteristica della blockchain dopo i registri non modificabili è quella dei token, ovvero delle monete digitali”, spiaga la Casaleggio. Infatti bitcoin non è altro che il token più famoso al mondo. L’oggetto virtuale, la moneta, o se preferite l’’informazione’ che viene scambiata all’interno della blockchain per un determinato valore di mercato (quello dei bitcoin, per esempio, è di circa 6mila dollari).
“La particolarità di questi oggetti digitali è quella di non essere riproducibili”, e qui è chiaro perché Bitcoin ha avuto il suo successo. La non duplicabilità di una moneta, di un valore, di una informazione garantita dalla blockchain è un po’ il sacro graal delle teorie economiche. Il report lo spiega con un esempio: “Se scattiamo una foto con il nostro smartphone e la condividiamo con qualcuno la stiamo copiando: il risultato è che esisteranno due copie della stessa foto localizzate ciascuna su un device. I token invece, per quanto trattasi sempre di oggetti digitali, una volta ceduti non sono più a disposizione e non è più possibile spenderli nuovamente, come se la foto che inviamo non potesse essere più visualizzabile sul nostro cellulare una volta inviata. Il passaggio di proprietà viene infatti scritto sui registri blockchain e il token è a disposizione solo del nuovo proprietario”.
Come un oggetto digitale (un token nella blockchain) acquista valore
“Un secondo utilizzo dei token consiste nella possibilità di attribuirgli un valore del mondo reale”, come il valore che diamo a un bitcoin. “Oggi ad esempio è possibile acquistare un palazzo a New York del valore di 30 milioni di dollari tramite la sua cosiddetta “tokenizzazione del valore” sulla blockchain di Ethereum. Il concetto di tokenizzazione consiste nella possibilità di rappresentare il valore di un certo bene in tante azioni, tanti token appunto, e venderli direttamente on line su una blockchain”.
Le Ico
Il report poi si sofferma sulle ICO, definito “un fenomeno popolare” che non è altro che “raccogliere soldi dai privati (crowdfunding) per finanziare iniziative o società suddivise in token e vendute su blockchain attraverso le cosiddette ICO (Initial Coin Offering)”. Un metodo “sempre più utilizzato, tanto che il valore di offerte raccolte del 2017, pari a oltre 6 miliardi di dollari, è stato eguagliato nel primo trimestre del 2018”.
Gli Smart contract
“Gli Smart Contract sono contratti che si autogestiscono”. Più che autogestiscono forse si autolegittimano, senza più bisogno di una persona per ottenerne l’attuazione. “Si attuano da soli. Come da soli possono verificare l’effettivo realizzarsi delle condizioni stabilite e erogare il compenso dovuto o avviare un’azione prevista”. Ad esempio, spiega il report “se si concorda di ricevere una spedizione di mozzarelle e non si vuole che la temperatura vada mai sopra i 14°C, un sensore potrà monitorare la temperatura nel furgone. Il pagamento della spedizione o della penale potrà essere eseguito direttamente tramite contratto stipulato, che avrà a disposizione i borsellini di criptovaluta dei due interlocutori per importi predefiniti”.
L’ultimo anello della blockchain
“Analizzando il mondo delle blockchain con le lenti del business, emerge un punto strategico dove le aziende devono posizionarsi. È l’ultimo anello della blockchain. L’anello che collega la catena digitale al mondo fisico. Proprio attraverso questo passaggio si riesce a gestire il processo e creare una blockchain che possa generare valore nel mondo reale”.
Esistono tre tipi di ultimi anelli, elenca il report:
• L’Internet delle cose, oggetti che permettono tramite i loro sensori e sistemi attivi di registrare eventi e di farne accadere.
• I sistemi per l’utilizzo delle criptovalute nel mondo fisico, che permettono di trasformare il valore virtuale in reale.
• Il valore legale, che permette di rendere vincolanti gli Smart Contract definiti anche nel mondo fisico.
Ma il collegamento al mondo reale necessita di un elemento imprescindibile in una società di diritto. Una base giuridica su cui operare, un contesto normativo: “ad oggi in Italia non è stata ancora codificata la possibilità di raccogliere investimenti tramite le ICO (Initial Coin Offering) e non a caso le aziende italiane che hanno utilizzato questo metodo lo hanno fatto all’estero, segnatamente in Svizzera e Malta”.
I lati oscuri della blockchain
Il primo che elenca il report è quello più noto di tutti. La tecnologia blockchain, le criptovalute, gli smart contract, sono energivori. Consumano una quantità enorme di energia e la loro applicazione su larga scala è difficile senza una riduzione dei costi del consumo energetico (sostanzialmente dovuto al fatto che una catena di blocchi è fatta di computer che validano le operazioni, per funzionare e risolvere algoritmi consumano energia, e più si estende la catena, più ne nascono, oggi sono circa 1.600, più energia si consuma).
L'energia che serve alla blockchain
“La rete Bitcoin è oltre 10 mila volte più potente dei 500 supercomputer del mondo messi assieme”, riprende il report. “La tecnologia blockchain prevede che le transazioni debbano essere accettate dalla rete e organizzate in blocchi. Per farlo viene utilizzato il sistema Proof of Work (PoW) che consiste nel dover lavorare per almeno 10 minuti su blockchain, nel tentativo di risolvere in modo semplice problemi matematici casuali e complessi (se i computer ci mettono meno a risolverli il sistema li rende più complessi) e nell’essere poi ricompensati con la creazione di nuova criptovaluta”.
La blockchain Bitcoin oggi ha un consumo di energia complessivo pari a quello di uno stato occidentale come la Svizzera o l’Olanda. “Si stima che per la fine del 2018 il consumo generato dalla blockchain di Bitcoin varrà 7.7 gigawatts e che l’80% dei costi dei cosiddetti “minatori” (ovvero coloro che risolvono questi problemi matematici in 10 minuti) è proprio dovuto al consumo di elettricità”.
I problemi di privacy
“Un dato scritto su blockchain rimane per sempre visibile a tutti. Un commerciante a cui paghiamo un prodotto può vedere nel nostro account la nostra disponibilità presente e futura di Bitcoin e potrebbe inoltre vedere la nostra storia di acquisti effettuati con altri esercenti o privati. Questa trasparenza crea evidenti problemi di privacy. Per risolverli sono nati sistemi per criptare i dati o creare borsellini elettronici paralleli”.
I problemi di sicurezza
“La sicurezza di un sistema distribuito si basa sul fatto che non esiste un sistema centrale da cui recuperare, ad esempio, le credenziali di accesso. Se si smarriscono o vengono rubate le credenziali di un borsellino Bitcoin, non esiste un sistema di “recupera password””, avverte il report. “Al fine di tutelarci, sono stati dunque sviluppati sistemi distribuiti tramite gli Smart Contract, ad esempio su Ethereum. Tuttavia, se non lo prevediamo tramite gli Smart Contract, non esiste un paracadute: se inviamo dei Bitcoin ad un account sbagliato, l’operazione rimane irreversibile”.