L'accordo per l'Ilva tra sindacati metalmeccanici ed Arcelor Mittal affronta da oggi una prova importante: il giudizio dei lavoratori. Toccherà ai 13.500 addetti del gruppo pronunciarsi sulla validità e accettabilità o meno dell'intesa.
Il pronunciamento verrà espresso attraverso referendum e tutto si concluderà nel giro di questa settimana. I rappresentanti delle sigle metalmeccaniche si dicono fiduciosi circa la possibilità che l'accordo superi positivamente la prova del referendum.
Citano, a sostegno di questa fiducia, le prime reazioni di apprezzamento manifestate dai lavoratori agli stessi sindacalisti e la necessità, avvertita dalla base, di mettere finalmente ad un punto fermo ad una vicenda molto complicata, tenuto conto che il sequestro giudiziario degli impianti Ilva risale a sei anni fa, che l'aggiudicazione dell'Ilva a Mittal, dopo una gara, è di giugno 2017 e che le trattative per le parti sono durate un anno.
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Da rilevare, poi, che i margini di tempo sarebbero stati davvero ridottissimi, se non proprio nulli, se non ci fosse stato l'accordo. Perché la gara per l'Ilva poteva essere annullata solo per ragioni di pubblico interesse e non solo per l'illegittimità della procedura, come spiegato dall'Avvocatura dello Stato il cui parere ieri è stato reso pubblico dal Mise. Inoltre, il 15 settembre scade la proroga ai commissari Ilva data dal ministro Luigi Di Maio a fine giugno; perché oltre ad Arcelor Mittal non ci sono, allo stato, altri investitori pronti a farsi carico dell'azienda; perché, a fine mese, l'Ilva avrà la cassa a secco e le risorse del nuovo gestore sono quanto mai fondamentali per la continuità.
Ma al di là di queste ragioni, pure importanti, i sindacati sperano in un voto favorevole dei lavoratori all'accordo perché, commentano, l'accordo stesso è venuto incontro alle posizioni metalmeccaniche, condivise e sostenute dal ministro Luigi Di Maio. Intanto questi ha chiuso formalmente il procedimento avviato sulla gara di aggiudicazione dell'Ilva disponendo "di non procedere all'annullamento".
Le ragioni di un sì che appare scontato
Era stato lo stesso vicepremier, all'alba del giorno che poi avrebbe condotto alla firma, ad alzare l'asticella degli occupati da 10.300, numero sul quale si era molto discusso nelle ore precedenti, a 10.700. Numero poi accettato da Mittal al tavolo del Mise. I sindacati, quindi, nel ribadire il giudizio positivo sull'intesa, mettono in fila quanto sono riusciti ad ottenere dalla multinazionale dell'acciaio. Ovvero, assunzione immediata di 10.700 dipendenti; piano di incentivazione all'esodo volontario con 100 mila euro lordi per dipendente (con sistema a scalare per chi volesse usufruirne nel tempo insieme alla cassa integrazione); mantenimento dei diritti individuali con le tutele dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e mantenimento del salario fisso.
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E ancora, dicono i sindacati riferendosi all'intesa con Mittal, mantenimento del salario variabile, con i tre strumenti di erogazione che rimangono invariati, e discussione per il premio di risultato (già scaduto) da avviare nel 2019 con riconoscimento comunque di una tantum pari al 3 per cento della retribuzione globale lorda per gli anni 2019 e 2020. Ancora, evidenziano i sindacati, Fim, Fiom, Uilm e Usb, c'è l'inserimento nell'accordo sia del piano industriale che del piano ambientale e ne diventano "parte integrante".
Infine, dicono le federazioni metalmeccaniche, c'è la garanzia per i dipendenti che saranno impiegati nelle attività di Ilva in amministrazione straordinaria e che non volessero accedere al percorso di uscite volontarie incentivate, di ricevere, alla ne del piano, una proposta di assunzione da Am Investco alle stesse condizioni dell'intero gruppo.
Zero esuberi e rilancio
Tutta la struttura dell'accordo prevede zero esuberi alla fine del percorso di rilancio dell'Ilva. E zero esuberi prevedeva anche la proposta di mediazione dell'ex ministro Carlo Calenda, respinta a maggio dalla maggioranza dei sindacati. Solo che fissava un percorso diverso rispetto allo schema poi definito con Di Maio. Calenda infatti presupponeva 10 mila assunti da Mittal e altri 1.500 nella società mista che avrebbero dovuto costituire Ilva e la pubblica Invitalia, più gli esodi agevolati. Di Maio, invece, sposta di più sulle assunzioni dirette (10.700), conta di usare al massimo la leva degli incentivi per le uscite volontarie e mette da parte, nel senso che non la costituirà, la società mista.
Gli obiettivi di piano industriale restano sostanzialmente confermati. Quelli di piano ambientale, invece, rivisti nella logica di accorciare il più possibile i tempi per i lavori più importanti. Si parla anche di vincolare l'aumento della produzione utilizzando il gas - la Regione Puglia da tempo rivendica la decarbonizzazione del siderurgico - o tecnologie a basso impatto di carbone. Inoltre, sul piano delle accelerazioni tempistiche, ad aprile prossimo sarà pronta il 50 per cento della copertura del parco minerali lati versante rione Tamburi di Taranto, che poi sarà ultimata entro l'ultimo trimestre del 2019. Prima dell'intesa al Mise, la tempistica era invece gennaio 2020.
Per l'altro grande parco materie prime, quello fossile, la data di ultimazione della copertura è ora il 31 maggio 2020. Qui, prima dell'accordo, la tempistica era metà 2020. Va precisato che rispetto ai tempi iniziali del Dpcm di settembre 2017, la conclusione dei lavori di copertura dei due parchi - finalizzata a bloccare la dispersione delle polveri - risparmia diversi mesi. Rispetto alle tempistiche aggiornate ad inizio 2018 sotto l'egida del precedente Governo, il risparmio è invece minore perché le settimane di cantiere erano già state ridotte.
Sul piano industriale, invece, Mittal vuol portare il siderurgico di Taranto da 6 milioni di tonnellate con gli altiforni 1, 2 e 4, ora in funzione, a 10 milioni di tonnellate nel 2023 con gli altiforni 1, 4 e 5 (quest'ultimo da rifare). Da quest'anno al 2023 la produzione salirà gradualmente da 7,7 milioni di tonnellate a 10 milioni di tonnellate facendo affluire a Taranto, per l'ulteriore lavorazione, di bramme e laminati esterni: da 1,7 a 4,1 milioni di tonnellate. Oltre il 2023, sviluppando Taranto più produzione diretta, l'apporto esterno scenderà a 2,2 milioni di tonnellate. Dal 2018 al 2024 sono in cantiere 2,4 miliardi di investimenti complessivi tra parte ambientale e industriale (1,25 per quest'ultima). Si segnalano, per la parte industriale, 240 milioni di euro per completo rifacimento dell'altoforno 5, 45 milioni per il ripristino dei refrattari della suola dell'altoforno 1, 80 milioni per allargamento e aggiornamento della colata continua 4, 120 milioni per i cilindri, 250 milioni per l'ammodernamento meccanico e automatizzazione degli impianti di finitura e 60 milioni per la centrale elettrica.