Dovrebbero incontrarsi di nuovo martedì della prossima settimana Am Investco, la società di Arcelor Mittal, e i sindacati metalmeccanici per riprendere le trattative sull'Ilva e vedere se è possibile o meno arrivare ad un accordo.
Nel frattempo, con l'avvio del governo Lega-Cinque Stelle e l'insediamento come nuovo ministro dello Sviluppo economico del pentastellato Luigi Di Maio, l'incognita politica sul futuro della fabbrica torna in primo piano.
La domanda è: che ne sarà dell'Ilva col nuovo Governo? Continuerà a produrre, ovviamente risanata e messa in sicurezza, oppure chiuderà?
Le richieste dei sindacati
Come hanno rivelato fonti sindacali, le ultime riunioni tra le parti - assente il Governo, che aveva provato a fare una proposta di accordo il 10 maggio respinta però dalla maggioranza dei sindacati - hanno prodotto alcuni passi avanti nelle trattative.
Tuttavia non ancora sufficienti e adeguati per arrivare aduna firma. I nodi sono essenzialmente due: occupazione e premio di risultato.
Sull'occupazione, i sindacati chiedono che Mittal si impegni per 10.500 assunzioni - 500 in più di quelle inserite nel contratto col Governo - di cui 10.100 all'atto del subentro in azienda e altri 400 entro l'anno o alla prima risalita produttiva del gruppo.
E non alla fine del piano industriale, scadenza temporale ritenuta troppo in là. Inoltre,i sindacati chiedono che alla fine dell'attuazione del piano industriale di Mittal per Ilva non ci siano esuberi - oggi l'occupazione totale è di poco inferiore alle 14.000 unità - e che tra assunzioni dirette, personale in carico all'amministrazione straordinaria ed esodi incentivati, agevolati e volontari (si prevede l'uscita di 2.000 persone), tutti abbiano una copertura.
Altra richiesta sindacale è che alla società mista tra l'agenzia pubblica Invitalia e l'amministrazione straordinaria di Ilva, dove dovrebbero andare 1.200 persone per occuparsi di quella parte di bonifica ambientale che non spetta al nuovo investitore, Mittal garantisca del lavoro in modo che abbia più possibilità di intervento.
Quanto al premio di risultato, che Mittal vorrebbe concedere dal 2022, i sindacati chiedono che l'investitore paghi la tranche di fine anno (quella del primo semestre 2018 compete all'amministrazione straordinaria) e applichi l'intesa che disciplina il nuovo pdr dal prossimo. Nei giorni scorsi Fim, Fiom, Uilm e Usb Taranto hanno chiesto a Mittal di avviare una "trattativa vera", paventando uno sciopero se questo non ci sarà.
Ancora più dura la Fiom di Genova per la quale se Mittal proverà ad entrare in fabbrica nelle prossime settimane senza l'intesa con i sindacati, l'opposizione dei lavoratori sarà fortissima e si porrà anche un problema di ordine pubblico.
Cosa farà il nuovo governo?
Dal punto di vista politico, diverse sono le incognite da sciogliere. Nel contratto di Governo, Lega e Cinque Stelle hanno parlato di chiusura delle fonti inquinanti senza specificare il dettaglio.
Il blog delle stelle, voce del movimento, ha quindi specificato che per chiusura delle fonti inquinanti si intende lo stop dell'acciaieria. Lorenzo Fioramonti, deputato M5s, che ha incontrato a Taranto i sindacati insieme ad altri parlamentari pentastellati, ha parlato di chiusura progressiva e di riconversione economica del territorio Lo stesso Fioramonti, in una intervista al "Manifesto", ha però parlato anche di nessuna chiusura e di tutela del lavoro e dei redditi.
Al di là dei distinguo fatti su una posizione che non sembra ancora molto chiara, è comunque probabile che il nuovo ministro Di Maio, anche nella sua veste di responsabile del Lavoro oltre che dello Sviluppo economico, si occupi proprio dell'Ilva tra i primi atti.
In posizione di cauta attesa resta nel frattempo Mittal. L'azienda, secondo fonti sindacali, avrebbe anche informalmente incontrato i Cinque Stelle nei giorni scorsi e per le fonti non nutrirebbe grandi preoccupazioni al riguardo.
Emiliano non si oppone alla chiusura
C'è poi da capire sino a che punto l'opzione di chiudere Ilva sia totalmente condivisa dalla Lega, sinora molto prudente sul punto se non proprio contraria.
Chi invece ha fatto un passo avanti verso l'eventualità che l'Ilva sia chiusa è il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, del Pd, che ha tenacemente contestato sia tutti gli atti di Governo, che la vendita a Mittal e la gestione della vicenda da parte del ministro Carlo Calenda e del vice ministro Teresa Bellanova.
Parlando a Taranto, Emiliano ha dichiarato che la Regione Puglia sarà collaborativa col nuovo Governo, dal quale auspica quell'ascolto che per Emiliano non c'è stato dai precedenti, e che se l'esecutivo deciderà di chiudere la fabbrica, la Regione Puglia non si opporrà ma accetterà la sfida, per la quale, ha affermato il governatore, "siamo pronti".
In attesa anche sindacati, Comune di Taranto e Confindustria Taranto. Diversamente da Emiliano, sia il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, che il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ritengono che non esista un piano alternativo, praticabile e concreto, a quello che prevede la continuità di Ilva attraverso la messa a norma di Ilva - ambientale e di sicurezza sul lavoro - e il suo rilancio industriale. Confindustria Taranto sottolinea poi la grande ricaduta che oggi l'Ilva ha sull'indotto, che vive una crisi nella crisi, e attestati sulla stessa posizione sono anche i sindacati di Taranto.
Probabile che di Ilva possa occuparsi anche il nuovo ministro per il Mezzogiorno, Barbara Lezzi, leccese, dei Cinque Stelle, più volte intervenuta a Taranto sul tema.
Da responsabile del Sud, Lezzi dovrà occuparsi anche del Contratto istituzionale di sviluppo, sin qui gestito dal ministro Claudio De Vincenti. Si tratta di uno strumento messo in pista con una legge dal Governo Renzi, proseguito da quello Gentiloni, e che attraverso lo sblocco di vecchi finanziamenti non spesi e l'erogazione di nuovi, per un totale di circa 900 milioni, ha puntato al rilancio dell'area di Taranto attraverso infrastrutture, bonifica ambientale, sanità, portualità e riqualificazione urbana.