L'ultima grande guerra commerciale fu quella scatenata nel 1930 dagli Stati Uniti con lo 'Smoot-Hawley Tariff Act', che la maggior parte degli economisti considera poco meno di una tragedia. Più di recente, nel marzo del 2002, anche George Bush avviò una guerra dei dazi sempre per difendere l'acciaio americano, ma si trattò più che altro di una guerra annunciata, visto che il presidente dovette presto fare marcia indietro, dopo la messa a punto da parte dell'Ue di contromisure volte a colpire i prodotti Usa, che andavano fino al 100% nel caso di succhi di frutta, T-shirt e slip.
Anche le altre potenze siderurgiche globali, all'epoca, risposero con contromisure per oltre 2 miliardi di dollari in grado di colpire frutta, legumi, tessili, scarpe, moto. Risultato: nel dicembre del 2003 Bush ritirò i dazi sull'acciaio. La guerra commerciale del 1930 fu invece una cosa molto più seria, scatenata da un 'Donald Trump' dell'epoca, il repubblicano Reed Smoot, presidente della Commissione Finanze del Senato.
L'economista dilettante
Veniamo ai fatti. Fin dal 1929 l'America si trova nell’occhio del ciclone, dopo il crack di Wall Street del 1929 e la successiva grande recessione.
Smoot è convinto che bisogna salvare i posti di lavoro americani, in pericolo perché troppi Paesi stranieri vendono i loro prodotti negli Stati Uniti, minando il benessere dei lavoratori americani. Mormone ma allo stesso tempo imprenditore senza scrupoli, con interessi nella finanza, nell'agricoltura, nelle attività minerarie e nelle costruzioni, Smoot, senatore dello Utah, è pure un economista dilettante convinto che a far crollare Wall Street sia stato l’eccesso di importazioni estere rispetto alla capacità di consumo statunitense.
La sua ricetta per restituire all’America i posti di lavoro e il benessere è semplice: dazi stellari e protezionismo. Smoot convince il Congresso e una nazione prostrata dalla crisi che, con una stretta sui dazi, tutto tornerà a posto e, grazie all’appoggio dell’influente deputato Willis C Hawley, il senatore repubblicano riesce a varare nel giugno 1930 il famoso 'Smoot-Hawley Tariff Act', ratificato dal presidente Herbert Hoover, nonostante l’appello di oltre mille economisti a non firmarlo.
Nel giro di una notte il provvedimento fa balzare al 60% i dazi su oltre 20 mila prodotti stranieri, in alcuni casi quadruplicandoli. Il risultato? Un'impennata del nazionalismo in tutto il mondo e una guerra commerciale di Washington con Canada, Francia, Impero britannico, Italia e Germania, che rispondono con misure di ritorsione all'impennata dei dazi Usa.
L'ira del duce
Le conseguenze economiche di questa guerra sono, a dir poco, disastrose. Nel giro di tre anni le importazioni degli Stati Uniti crollano del 66%, mentre le esportazioni si inabissano del 61%, insieme al commercio mondiale. Il tasso di disoccupazione triplica dall'8% al 25%. In barba alla “nuova era di prosperità” sbandierata da Smoot, la ricchezza degli Stati Uniti si dimezza.
Anche l'Italia fascista reagisce con veemenza alle misure protezionistiche Usa. Nel giugno 1930 Benito Mussolini giura che "l'Italia è pronta a difendersi a modo suo". Nel nostro Paese si arriva addirittura ad atti di rappresaglia con la distruzione delle auto di fabbricazione americana in circolazione.
Sempre in Italia, i dazi doganali sui beni Usa aumentano e l'export proveniente dagli Stati Uniti crolla dai 211 milioni di dollari del 1928 ai 58 milioni del 1932. L'indignata Italia fascista firma poi un trattato commerciale con l'Unione Sovietica, nell'agosto 1930, seguita da un patto di non aggressione siglato due anni dopo.
La guerra commerciale non danneggia solo l'economia Usa ma è anche un boomerang politico per Washington, che si ritrova isolata, tanto più che l’ultraprotezionista legge Smoot-Hawley è assolutamente inutile.
Come ricorda il giornalista e scrittore Selwyn Parker, autore del saggio 'The great crash' dedicato proprio alla crisi del 1929, l’America all'epoca ha un corposo surplus commerciale, poiché la crescita dell'export manifatturiero era più veloce di quella dell'import. L'economista Paul Krugman, a sua volta, ricorda che, sebbene la legge Smoot-Hawley non sia la causa della Grande Depressione, le conseguenti guerre commerciali internazionali hanno giocato un ruolo fondamentale "nell'impedire una ripresa degli scambi commerciali quando la produzione si è ripresa".
La legge ultraprotezionista viene smontata nel 1934, non appena Franklin Delano Roosevelt diventa presidente, e sostituita con riduzioni delle tariffe legate ad accordi bilaterali. L’anno precedente, alle elezioni, Smoot ha perso la poltrona da senatore, rifiutandosi peraltro di ammettere i suoi errori. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1941, rimane convinto che la sua legge aveva un unico difetto: non avere alzato abbastanza i dazi.