Alla vigilia del vertice annuale del World Economic Forum in programma dal 23 al 26 gennaio a Davos, Oxfam lancia il rapporto "Ricompensare il lavoro, non la ricchezza". Un dossier che per il quarto anno, restituisce la fotografia di un mondo in cui le crescenti disuguaglianze socio-economiche stanno divenendo sempre di più il tema centrale del nostro tempo. Un trend in negativo, che purtroppo non risparmia l’Italia.
I dati chiave del rapporto
- L’82% dell’incremento della ricchezza globale registrato nel 2017 è stato appannaggio dell’1% della popolazione più ricco, mentre il 50% più povero della popolazione mondiale non ha beneficiato di alcuna porzione di tale incremento.
- L’1% più ricco della popolazione continua a detenere più ricchezza del restante 99%.
- A metà del 2017 in Italia, l’1% più ricco possedeva il 21,5% della ricchezza nazionale netta. Una quota che sale a quasi il 40% per il 5% più ricco dei nostri connazionali.
- Due terzi della ricchezza dei più facoltosi miliardari del mondo sono ereditati o frutto di rendita monopolistica ovvero il risultato di rapporti clientelari.
- Nei prossimi 20 anni le 500 persone più ricche del pianeta lasceranno ai propri eredi oltre 2.400 miliardi di dollari, un ammontare superiore al Pil dell’India uno dei Paesi più popolosi del pianeta con 1,3 miliardi di abitanti.
- Tra il 1995 e il 2016 il numero di persone che vivevano in estrema povertà con meno di 1,90 dollari al giorno si è dimezzato, eppure ancora oggi più di metà della popolazione mondiale vive con un reddito insufficiente che oscilla tra i 2 e i 10 dollari al giorno.
- 7 cittadini su 10 vivono in un Paese in cui la disuguaglianza di reddito è aumentata negli ultimi 30 anni.
- Nel 2016 l’Italia occupava la ventesima posizione (su 28) in UE per il livello di disuguaglianza nei redditi individuali.
- Nel 2015 il 20% più povero (in termini di reddito) dei nostri connazionali disponeva solo del 6,3% del reddito nazionale equivalente contro il 40% posseduto dal 20% più ricco.
- Nel 2016 erano 40 milioni le persone “schiavizzate” nel mercato del lavoro, tra cui 4 milioni di bambini.
- Solo nel 2016, le 50 più grandi corporation mondiali hanno impiegato lungo le proprie filiere produttive una ‘forza lavoro di 116 milioni di invisibili’, il 94% della loro forza lavoro complessiva.
- A livello globale si stima che nel 2017 erano 1,4 miliardi le persone impiegate in lavori precari, oltre il 40% degli occupati totali.
- Quasi il 43% dei giovani in età lavorativa a livello globale risulta disoccupato o occupato ma a rischio di povertà. In Italia il tasso di disoccupazione giovanile (18-24 anni) a novembre 2017 era del 32,7%.
- A livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini. Persino tra i ricchi si registra una sostanziale disparità di genere, 9 su 10 miliardari sono uomini.
- L’Italia si è collocata all’82 posto su 144 Paesi esaminati dal World Economic Forum per il suo Global Gender Gap Index 2017. Per l’uguaglianza retributiva di genere (a parità di mansione) l’Italia si è collocata in 126esima posizione.
- Nel 2016 tra i lavoratori dipendenti in Italia le donne prevalevano solo nel profilo di impiegato. Le donne rappresentavano appena il 28,4% dei profili dirigenziali nazionali.
- Un AD di una delle 5 principali compagnie del settore dell’abbigliamento guadagna in 4 giorni ciò che una lavoratrice della filiera di produzione in Bangladesh guadagna nella sua intera vita lavorativa.
Le dimensioni della disuguaglianza
"La crisi della disuguaglianza non conosce ancora una battuta d’arresto", denuncia Oxfam, "la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi è sempre più accentuata. Nuove ricerche mostrano come gli squilibri, su scala globale e nazionale, nella distribuzione dei redditi possano essere più ampi di quanto stimato finora". Secondo alcune misurazioni la disuguaglianza globale dei redditi, seppur molto elevata, si va attenuando, trainata dalla crescita dei redditi della classe media e dei ceti più poveri in Cina, India e alcuni Paesi latinoamericani. Tuttavia 7 cittadini su 10 vivono in un Paese in cui la disuguaglianza è aumentata negli ultimi 30 anni. Governi e istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, pur riconoscendo esplicitamente la necessità di intervenire contro il fenomeno delle crescenti disuguaglianze, non fanno ancora abbastanza per porvi rimedio. Di fronte all’immobilismo istituzionale, la crisi della disuguaglianza si va quindi estremizzando.
I miliardari non sono mai cresciuti così tanto
Tra marzo 2016 e marzo 2017, su scala globale, il numero dei miliardari ha conosciuto il più rapido aumento di sempre con 1 nuovo miliardario ogni 2 giorni. Oggi i miliardari sono 2.043, 9 su 10 sono uomini. Nel periodo di riferimento di cui sopra, la ricchezza netta di questa facoltosa élite è aumentata di 762 miliardi di dollari. Una cifra che, a mero titolo comparativo, rappresenta 7 volte l’ammontare delle risorse necessario per far superare la soglia di 1.90$ di reddito giornaliero ai 789 milioni di cittadini del globo che vivono in condizioni di povertà estrema. L’1% più ricco (in termini patrimoniali) su scala globale continua a detenere più ricchezza netta del restante 99%. Su scala planetaria, l’82% dell’aumento della ricchezza netta registrato nel 2017 è stato appannaggio dell’1% più ricco. Allo stesso tempo, la metà più povera della popolazione mondiale non ha beneficiato di alcuna frazione di tale surplus di ricchezza. A metà del 2017 in Italia l’1% più ricco possedeva il 21,5% della ricchezza netta nazionale, una quota che sale a quasi il 40% per il 5% più ricco dei nostri connazionali.
Il World Inequality Report 2018 stima che tra il 1980 e il 2016 circa il 27% dell’incremento del reddito globale sia stato appannaggio dell’1% più ricco (in termini di reddito) della popolazione mondiale. Il 50% più povero ha beneficiato di una porzione (12%) inferiore alla metà di quanto è fluito verso il vertice della piramide globale dei redditi. In termini assoluti, seconde le stime degli economisti Lackner e Milanovic, nei 24 anni intercorsi tra il 1988 e il 2013 il 10% dei percettori più poveri di reddito ha visto le proprie entrate aumentare in media di 217 dollari contro i 4.887 dollari del 10% più ricco.
Nell’elaborazione delle distribuzioni dei redditi nazionali vengono sistematicamente sottostimati i redditi degli individui più ricchi (high earners). Elaborando i dati dai sistemi dei conti nazionali i ricercatori di Brookings stimano che in molti Paesi, inclusa l’Italia, gli squilibri nella distribuzione del reddito nazionale possano essere molto più marcati.
Lavoro sempre più pericoloso e precario
"Un lavoro ben retribuito e tutele solide per i lavoratori sono indispensabili per garantire società in cui i benefici economici siano suddivisi più equamente tra i cittadini. Ma l’attuale sistema economico offre ben altro: lavori pericolosi, sotto-retribuiti e precari e un sistematico abuso dei diritti di chi lavora", osserva Oxfam, "fino a quando per il sistema economico la remunerazione della ricchezza di pochi sarà un obiettivo predominante rispetto alla garanzia di un lavoro dignitoso per tutti, non sarà possibile arrestare la crisi della disuguaglianza".
"Posti di lavoro equamente retribuiti rappresentano la linfa vitale di un sistema economico ben funzionante. Quando i lavoratori percepiscono una retribuzione carente, la domanda interna per beni e servizi si deprime con effetti tutt’altro che trascurabili sulla sostenibilità della crescita economica", prosegue il rapporto, "bassi salari possono comportare un ricorso al credito non garantito che porta alla miseria sempre più persone e che ha contribuito alla crisi economica del 2008. Un calo dei redditi da lavoro ha inoltre impatti negativi sugli erari pubblici con ricadute sul livello di finanziamento dei servizi pubblici, tra cui l’istruzione e la sanità, cruciali per tutti ma soprattutto per le fasce più povere e vulnerabili della popolazione".
Ad oggi il 56% della popolazione mondiale vive con un reddito compreso fra i 2 e i 10 dollari al giorno. Almeno uno su tre tra i lavoratori delle economie emergenti e nei Paesi in via di sviluppo vive in condizioni di povertà. Su scala globale desta preoccupazione il persistente ritardo dei salari sulla produttività: in 91 (su 133) economie avanzate e Paesi in via di sviluppo i salari non hanno mantenuto il passo della produttività e della crescita economica nel periodo 1995-2014. Dopo la crisi economica del 2008-2009, la crescita dei salari reali a livello globale ha conosciuto un periodo di recupero nel 2010, seguita tuttavia da una decelerazione dal 2012, passando dal 2,5% al 1,7% del 2015, il tasso più basso in quattro anni.
L’economia informale ha una dimensione consistente rispetto al Pil globale e impiega un considerevole numero di persone. In America Latina l’economia informale vale il 40% del Pil regionale. In Paesi come Benin, Tanzania, Zambia e Sudan fino al 90% della forza lavoro è occupata nell’economia informale. Su scala globale, il numero di persone occupate in forme vulnerabili di lavoro è invece stimato intorno a 1,4 miliardi, il 40% degli occupati totali. Se il reddito globale non è fluito ai lavoratori comuni, che fine ha fatto allora? Se i lavoratori sottopagati sono i perdenti dell’odierno sistema, i vincitori vanno cercati fra i percettori di redditi elevati e i possessori di grandi patrimoni.
Il dividendo paga più del lavoro
I dati globali sono emblematici: se su scala globale e in molti contesti nazionali la quota complessiva del reddito da lavoro risulta in calo, la quota relativa dei percettori di redditi alti (da lavoro) è aumentata negli ultimi anni. Tra il 1995 e il 2009, su scala globale, la quota dei redditi da lavoro dei lavoratori poco o mediamente qualificati è scesa del 7%, mentre quella dei lavoratori altamente qualificati è aumentata di oltre 5 punti percentuali. L’Ocse stima che negli ultimi 20 anni i redditi dell’1% più ricco siano aumentati del 20% a fronte di una drammatica riduzione dei redditi dei percettori di redditi bassi.
Destano preoccupazione anche i divari salariali in molti Paesi. Nel Regno Unito i manager esecutivi delle compagnie dell’Ftse100 percepiscono 130 volte lo stipendio del dipendente medio. Il divario retributivo era ‘appena’ 47:1 nel 1998. Una ricerca condotta da Oxfam in Spagna ha rilevato come i top-manager delle maggiori 35 società quotate in borsa percepiscano in media emolumenti superiori di 207 volte lo stipendio minimo corrisposto all’interno della propria compagnia di riferimento.
I vincitori del sistema economico globale vanno cercati anche fra i percettori di redditi da capitale. Si tratta di forme di reddito che interessano una percentuale estremamente ridotta dei cittadini. La proprietà di azioni è ad esempio concentrata nelle mani di una fascia relativamente limitata di persone. Negli Stati Uniti l’1% più ricco della popolazione possiede il 40% del mercato azionario. Nel 2015 su scala globale il volume dei dividendi (redditi da capitale) corrisposto ai proprietari di azioni (fortemente concentrati al vertice della piramide della ricchezza) ha toccato quota 1200 miliardi di dollari. Questo crescente divario rafforza anche la capacità di condizionamento da parte di pochi dei processi decisionali pubblici, indebolendo sempre più il potere di fatto dei lavoratori comuni in favore dei percettori di alti redditi e possessori di richezza.
Che fare?
Secondo Oxfam, le politiche che possono contrastare l’estrema disuguaglianza sono di due generi:
- Politiche predistributive: incentivi a modelli imprenditoriali che adottano politiche di maggiore equità retributiva e mantengono livelli salariali dignitosi; tetto agli stipendi dei manager (così che il divario retributivo non superi mai il rapporto 20:1); eliminazione del divario retributivo di genere; promozione di salari dignitosi superiori al salario minimo (spesso non commisurato al reale costo della vita); protezione dei diritti dei lavoratori specialmente delle categorie più vulnerabili: lavoratori domestici, migranti e del settore informale e, in particolare, del loro diritto di associazione sindacale.
- Politiche distributive: incremento della spesa pubblica per i servizi essenziali e per la sicurezza sociale; regolamentazione degli operatori privati nei settori educativo e sanitario (per scongiurare il pericolo che i più poveri siano esclusi da un equo accesso a tali servizi), politiche fiscali nazionali votate ad una maggiore equità e progressività, riforma fiscale internazionale per contrastare la deleteria corsa globale al ribasso in materia di tassazione d’impresa, messa al bando dei paradisi fiscali.
Oxfam esorta inoltre governi e istituzioni internazionali "di porsi come obiettivo, che entro il 2030 il reddito complessivo del 10% più ricco non sia superiore al reddito del 40% più povero" e chiede alle grandi imprese di "assicurare un salario dignitoso per tutti i lavoratori, come azione prioritaria rispetto alla distribuzione dei dividendi agli azionisti o al pagamento di mega bonus ai top manager; contemplare la rappresentanza dei lavoratori nei consigli di amministrazione; scegliere approvvigionamenti da fornitori le cui imprese sono votate ad un business più etico; condividere una percentuale dei profitti con i lavoratori più poveri all’interno della propria filiera di produzione; favorire la parità di genere all’interno della propria impresa; ridurre i divari retributivi introducendo un tetto massimo di 20:1; collaborare costruttivamente con le parti sindacali a beneficio dei lavoratori e soprattutto delle donne là dove maggiormente discriminate".