L'economia italiana è ancora lontana dai livelli pre-crisi. E con Grecia e Portogallo, il nostro è uno dei tre Paesi dell'Eurozona il cui prodotto interno lordo resta inferiore a quello del 2007. L'analisi del Financial Times mostra i ritardi dell'Italia anche in tutti gli altri indici presi in considerazione: disoccupazione, prezzi degli immobili e mercati azionari.
C'è chi sta peggio di noi
Secondo il Financial Times alla fine del 2017 il Pil italiano sarà 6,2 punti percentuali sotto il dato di dieci anni fa. In Eurolandia, a farci compagnia, sotto 'quota zero', sono solo altri due Paesi:
- Portogallo, che segna un calo complessivo del 2,4%
- Grecia, che ha perso un quarto del proprio prodotto interno lordo (-24,8%)
Ma tra i grandi siamo quelli che se la passano peggio
Tutte le principali economie mondiali analizzate dal Financial Times sono oltre "quota zero" e registrano un prodotto interno lordo superiore a quello del 2007. L'ultima a uscire dal buco nero della crisi è stata la Spagna, che ha raggiunto il pareggio quest'anno e, a fine 2017, guadagnerà il 2,1%. Se all'Italia non sono stati sufficienti dieci anni per tornare ai livelli pre-crisi, a Francia, Germania e Stati Uniti ne sono bastati quattro: il saldo è tornato positivo nel 2011. La ripresa britannica è stata più graduale: Londra ha raggiunto i livelli pre-crisi nel 2013. Ma da allora ha accelerato: chiuderà il 2017 con un progresso dell'11,1% rispetto a un decennio fa. Ancora più repentina è stata la risalita di Islanda e Irlanda. Hanno dovuto aspettare il 2014 prima di raggiungere il pareggio, ma da allora la crescita è stata rispettivamente del 18,1% e del 38,5%.
Guardando all'Asia, anche il Giappone recupera, seppure a un ritmo meno elevato (+4,7%). Mentre la Cina merita un discorso a sé: Pechino è l'unica grande economia mondiale a non aver risentito della crisi. Dal 2007, il Pil è più che raddoppiato (+119,9%). Se la rappresentazione grafica del prodotto interno lordo di altri Stati è una curva rotta da cambi di direzione, per la Cina somiglia molto a una linea retta.
Come sta l'occupazione
Il record negativo è della Grecia, con una disoccupazione superiore del 14,6% rispetto al 2007. Ma il mercato del lavoro, che tende a ritardare la propria ripresa rispetto a quella del Pil, resta debole anche negli Stati che si sono riaffacciati oltre il pareggio.
- Spagna: la disoccupazione resta del 10,2% più alta rispetto a dieci anni fa
- Stati Uniti: che solo nel 2017 raggiungeranno lo stesso tasso di disoccupazione del 2007 nonostante una crescita del Pil già in doppia cifra.
- Gran Bretagna: il tasso di disoccupazione è inferiore di appena lo 0,9% rispetto a dieci anni fa.
- Germania: il tasso di senza lavoro è sceso del 4,6% rispetto al 2007.
- Italia: il tasso di disoccupazione alla fine del 2007 era del 6,5%, quello registrato a giugno 2017 è stato dell'11,1%.
E il mercato delle case?
Il Financial Times confronta i dati con il 2005, anche per includere la bolla dei mutui subprime scoppiata nel 2006.
- Stati Uniti: prezzi delle case sono cresciuti del 9,2%.
- Canada: l'aumento è stato del 42,8%
- Gran Bretagna: aumento del 50,6%
- Australia: prezzi più che raddoppiati (+107,5%)
- Spagna: 9,5% al di sotto dei livelli del 2005.
- Italia: dopo anni di flessione, i prezzi (secondo S&P, la stessa fonte utilizzata dall'Ft) inizieranno a rivedere terreno positivo solo nel 2017 (+0,5%) e nel 2018 (+1%).
Come vanno le borse?
Da anni Wall Street galoppa: +69% rispetto a dieci anni fa. Il Giappone corre: +19%. Tra le piazze che devono ancora recuperare il terreno perduto ci sono invece i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica): -10,3%. Milano è ancora più indietro: -45,2%. Peggio fa solo la Grecia (-83,1%).
Chi è andato in galera e chi no
Negli Stati Uniti la crisi finanziaria del 2008 ha lasciato in 'eredità', insieme a milioni di posti di lavoro bruciati, 150 miliardi di dollari di multe comminate e qualche centinaio di agenti immobiliari, erogatori di prestiti e consulenti condannati. Ma nessun 'pezzo grosso' di Wall Street è finito dietro le sbarre in questo decennio. Una circostanza, come riporta il Financial Times, che alimenta la rabbia popolare. Le autorità americane hanno sempre sottolineato che non sono mancati gli sforzi quanto piuttosto le prove di reato.
Un'anomalia se si guarda al resto del mondo: l'Islanda ha perseguito i responsabili di tre grandi istituti, insieme ad altri 23 rappresentanti del mondo bancario. Nel Regno Unito nel giugno scorso per la prima volta è stato incriminato l'amministratore delegato di una banca mondiale, John Varley, e altri tre dirigenti della Barclays.
Esempi che non si ritrovano negli Stati Uniti dove l'unico esponente di peso condannato è stato Lee Farkas, il responsabile della Taylor Bean & Whitaker, una banca ipotecaria della Florida, e in carcere c'è andato solo Kareem Serageldin della Credit Suiss, dopo aver riconosciuto le sue colpe.
I 324 finora ritenuti responsabili di qualche accusa sono tutti agenti immobiliari, erogatori di prestiti e mutui, consulenti, mentre chi si trovava dall'altra parte della catena, le grandi banche 'troppo grandi per fallire' che vendevano derivati tossici agli investitori, non è stato toccato.
A livello dirigenziale di banche piccole e medie ci sono state sentenze, ma non per i pesci grossi. Come ha sottolineato nel 2016 alla Cnn Christy Goldsmith Romero, ispettore generale speciale per il Troubled Assets Relief Program (SIGTARP), "capisco chiaramente la frustrazione delle persone che vogliono vedere la gente che ha portato avanti la crisi finanziaria essere chiamata a rispondere. In alcune di queste istituzioni dove abbiamo riscontrato condotte criminali, il livello di responsabilità si ferma ai livelli inferiori e non sale". "Vorrei però aggiungere finora", ha sottolineato, ricordando che il suo ufficio continua a indagare centinaia di casi che riguardano istituti di tutte le dimensioni.