Non solo la Apple. Anche Amazon ha chiesto ai suoi clienti di interrompere l’utilizzo dei virtual private network (vpn), finiti nel mirino delle nuove direttive dal Ministero dell’Industria e dell’Information Technology (MIIT) di Pechino. Un altro grande nome di internet stacca il sistema di rete privata che permette agli utenti di aggirare la censura del Great Firewall, e navigare su alcuni popolari siti web internazionali. Per citarne alcuni: Youtube, Facebook, New York Times. Questi siti - senza un vpn installato nel dispositivo - in Cina risultano letteralmente inaccessibili. Censurati.
Cosa è successo
Beijing Sinnet Technology, la società che cura i servizi di cloud business di Amazon in Cina, ha chiesto ai suoi clienti di interrompere l’uso dei vpn. Un portavoce del gruppo di e-commerce ha dichiarato al Wall Street Journal: “Sinnet ha il compito di assicurare che i suoi clienti in Cina si attengano alle regole locali”. Dichiarazione che fa trapelare un sostanziale benestare del partner di Amazon alle direttive del Ministero dell’Industria e dell’Information Technology, diramate nel gennaio scorso Seguendo le orme della Apple.
Il caso Apple
Aveva destato reazioni contrastanti il gruppo californiano quando lo scorso fine settimana aveva annunciato la rimozione dall’App Store cinese di circa sessanta app di vpn (tra cui One Company e Express Vpn). Rimozione che era iniziata in modo silente a gennaio colpendo l’app che consente la lettura del New York Times. Tim Cook, il Ceo dell’azienda di Cupertino, ha giustificato la mossa con queste parole: “Preferiremmo ovviamente non dovere rimuovere le app – ha detto alla presentazione degli ultimi dati trimestrali - ma come facciamo in altri Paesi, seguiamo le regole ovunque facciamo business”.
Business first. E il business, in Cina, langue. Forse, suggeriscono i maligni, è proprio qui la spiegazione dell’osservanza dell’azienda di Cupertino alle regole di Pechino.
Che gli affari della Apple in Cina non brillino, non è una novità. Il declino ha iniziato a destare preoccupazione nel giugno dello scorso anno, quando le vendite nell’area della Greater China (che comprende anche Hong Kong e Macao) erano calate del 33% nel primo trimestre. L’anno prima, nello stesso periodo, erano cresciute del 112%. Eppure Tim Cook ostentava sicurezza: in un’intervista al Wall Street Journal, dichiarò di essere “molto ottimista” sulle vendite in Cina nel lungo periodo.
Una storia di declino?
Un anno dopo, Cook non ha perso il suo entusiasmo. Eppure quella raccontata dai dati è una storia di declino. E’ vero: il secondo trimestre dell’anno fiscale 2017 è andato generalmente bene. Ma il punto debole per la mela morsicata rimane la Cina (Greater), che ha visto scendere i ricavi per il sesto trimestre consecutivo. Nel secondo trimestre il calo è stato del 10%, scendendo a quota di poco superiore a 8 miliardi di dollari; mentre è del 25% il calo rispetto al primo trimestre.
La Apple patisce quote di mercato erose dalla concorrenza dei produttori locali: Huawei, Xiaomi, Oppo. I quali offrono smartphone sempre più competitivi. Secondo la società di analisi Canalys, nel secondo trimestre di quest’anno, Apple ha venduto in Cina 41 milioni di Iphone, in crescita del 2%. Samsung mantiene la leadership del mercato con 79 milioni di dispositivi venduti. Chi guadagna quote di mercato sono i marchi cinesi: Huawei, che di dispositivi ne ha venduti 38 milioni e ha visto le vendite crescere del 20%. Ma al galoppo ci sono soprattutto Oppo e Xiaomi, che si piazzano al quarto (+44%) e quinto (52%) posto.
Cos’è la disputa sui vpn e cosa prevedono le regole cinesi
A gennaio scorso, il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology (MIIT) aveva emesso nuove regole in cui citava direttamente i vpn e - più in generale - i servizi di connessione a internet senza licenza specifica del governo, come bersaglio di una nuova campagna che mira a regolarizzarli. In altre parole, per operare in Cina, questi servizi avranno bisogno di una nuova approvazione governativa. In una nota, il MIIT parla apertamente di “sviluppo disordinato” della rete che “richiede urgente regolamentazione”.
La governance di internet in Cina passerebbe da un accordo con i tre maggiori operatori del settore (China Unicom, China Telecom e China Mobile) - secondo quanto dichiaravano il mese scorso all’agenzia Bloomberg alcune fonti al corrente degli sviluppi sul piano delle regolamentazioni. Dal prossimo anno, scriveva l’agenzia, dovrebbe essere vietato l’utilizzo di tutti i vpn: non solo quelli locali, su cui sembra concentrarsi oggi l’azione del governo cinese. Alcuni di questi ultimi hanno già dovuto chiudere i battenti: Green Vpn ha sospeso il servizio il 1 luglio scorso. In una lettera ai clienti si è scusata per il disagio e ha promesso risarcimenti.
A distanza di pochi giorni, il governo cinese ha smentito l’indiscrezione in maniera ufficiale. Il MIIT ha emesso una nota spiegando che “quanto scritto dai media occidentali non è vero. Stiamo lavorando a misure specifiche per regolare i servizi di vpn”. Un blocco totale dei vpn, viene quindi ufficialmente escluso. Per il momento, alcuni gruppi non cinesi che producono sistemi molto utilizzati dagli utenti cinesi non avrebbero subito danni. Eppure, nessuna replica alle indiscrezioni è finora arrivata dall’ente dal China Cyberspace Administration, l’ente di regolamentazione di internet in Cina. Lo fa notare il sito web di informazione Sup China, che ha seguito la vicenda.
Apple in linea anche con la nuova legge sulla Cybersecurity
La Apple si è allineata anche alla nuova legge sulla cybersicurezza cinese con l’apertura a luglio del primo data center nella provincia meridionale del Guizhou, in partnership con il gruppo locale Cloud Big Data Industry. Il nuovo impianto a energia rinnovabile provvederà al trasferimento e all'immagazzinamento dei dati degli utenti cinesi, in osservanza alla legge entrata in vigore il 1 giugno scorso.
“La Cina ha il diritto di fare leggi e normative per regolare la sovranità nel cyberspazio in linea con le pratiche internazionali”, aveva dichiarato il Cyberspace Administration of China (Cac) - l’ente di supervisione del settore – per rispondere alle perplessità dei gruppi stranieri che operano in Cina; secondo la Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina (Euccc) le leggi “non sono chiare”. Tra le novità c’è l’obbligo, da parte degli operatori di infrastrutture informatiche, di immagazzinare “informazioni personali e dati vitali” per la Cina “raccolti e prodotti in Cina”.
La Cina di Xi Jinping non rinuncia al wangluo zhuquan, cioè alla sovranità cibernetica. Nella visione cinese, devono essere i governi a guidare lo sviluppo di internet - importante per il mantenimento della stabilità sociale in un Paese con 700 milioni di utenti online (metà della popolazione di 1,4 miliardi). I governi devono avere il diritto di difendersi dagli attacchi esterni. Soprattutto: il business deve essere in linea con gli interessi nazionali. Non è probabilmente estraneo alla nuova legge il blocco dei vpn.