“Questa casa non è un albergo”. Il colosso dell’home sharing Airbnb lo scandisce a chiare lettere per bocca dei suoi 'host' (persone che ospitano a casa propria) in un messaggio indirizzato al governo. La loro posizione è chiara: va bene la nuova imposta sugli affitti introdotta nella manovra di primavera, ma non se ai proprietari delle case condivise sul sito internet verrà chiesto di trasformarsi in albergatori. "Vogliamo pagare le tasse e semplificare le operazioni al Fisco, ma non possiamo operare come sostituti d'imposta", spiega all'Agi Matteo Stifanelli, Country manager di Airbnb Italia. "Se la legge rimane questa siamo pronti a fare ricorso e ad aprire un contenzioso con lo Stato per tutelare i diritti dei nostri host", assicura Stifanelli, secondo cui per l'Italia Airbnb rappresenta una risorsa. Lo dimostrerebbe l'ultimo rapporto pubblicato a metà maggio. "La community ha stimolato un impatto generato sul PIL in Italia di 4,1 miliardi di euro nel corso dell’ultimo anno, dato dalla somma dei guadagni degli host (621 milioni di euro) e delle spese dei viaggiatori presso realtà economiche locali durante il loro soggiorno (3,5 miliardi di euro)".
Dal primo giugno scatta la nuova imposta, cos'è la 'tassa Airbnb"
Tra pochi giorni entrerà in vigore un'imposta speciale introdotta con la manovra di primavera (la cosiddetta manovrina, articolo 4 del Dl 50/2017), che prevede il pagamento della cedolare secca del 21% per tutti gli affitti brevi, inferiori ai 30 giorni, stipulati da persone fisiche direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online come Booking e Airbnb, ad esempio. Da qui il soprannome "tassa Aibnb". La nuova imposta andrà a sostituire quella dell'Irpef e e quella di registro che chi affitta è chiamato a pagare a fine anno con la dichiarazione dei redditi. Secondo uno studio condotto da Monitor Allianz Global Assistance, colpirà 30 milioni di italiani. I locatori che non si adegueranno, sottolinea l'Agenzia delle Entrate, incapperanno in una sanzione di oltre 2000 euro, mentre gli intermediari dovranno pagare una sanzione pari al 20% dell'ammontare non trattenuto a titolo di ritenuta operando come sostituto d'imposta. Lo scopo è quello di combattere l'evasione fiscale in un settore che genera un giro d'affari di 30 miliardi di euro, cui vanno sommati almeno 3 miliardi di 'nero'.
"La novità non è la cedolare secca"
"Con l'introduzione della cedolare secca anche Airbnb sarà costretta a pagare le tasse", hanno commentato i più distratti. In realtà, non è questa la novità: da sempre, infatti, chi affitta un immobile anche per pochi giorni è tenuto a dichiarare il canone percepito e a pagare le tasse nella dichiarazione dei redditi, scegliendo tra la cedolare secca al 21% e il regime classico dell’Irpef al 23%. “Il vero cambio di paradigma – spiega all’Agi, Stifanelli - è la richiesta ai soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali on-line, di trasmettere i dati relativi ai contratti conclusi e a operare in qualità di sostituti d’imposta”. Un'anomalia europea e mondiale, sottolineano dal colosso dell'home sharing. "Eravamo pronti a fare la nostra parte – continua Stifanelli - ma avevamo chiesto un confronto su modalità e tempistiche, e un modo per rispettare sia la normativa italiana che quella europea, ma tutto è ancora vago".
I punti deboli (e le soluzioni) secondo Airbnb
La nuova imposta così come è stata pensata viola in diversi punti la normativa europea, soprattutto in termini di privacy e di territorialità, sostiene il country manager del colosso delle case condivise. In pratica per Airbnb, che fattura i suoi servizi dall'Irlanda, il ruolo di sostituto d'imposta comporterebbe l'obbligo di avere la residenza fiscale in Italia. Ciò è contrario alla libertà di stabilimento che la Ue garantisce alle piattaforme digitali. Ma qui entra in un capitolo più ampio, quello della Web Tax, sul quale il governo è impegnato in questi giorni (in commissione Bilancio della Camera c'è stato il primo via libera). E poi c'è il problema della privacy: "Secondo l'articolo 4, i portali online dovrebbero trasmettere al Fisco i dati degli host. Ma quali? Non è ancora dato saperlo. La stessa piattaforma non è organizzata per questo scopo, quindi va ripensata. Sappiamo se un host ha un cane o un gatto, ma non chiediamo loro i codici fiscali. Dovremmo trovare un sistema per comunicare al Fisco solo i dati pertinenti per non violare la privacy di coloro che affittano". E non è solo una questione di dati anagrafici. Sulla web tax leggi anche quasto articolo.
Il nodo emendamenti
"La manovra riguarda le locazioni brevi, le case vacanza e i bed and breakfast. Questi ultimi, anch'essi presenti su Airbnb, non sono soggetti a cedolare secca. Questo vorrebbe dire che dovremmo chiedere agli host come si regoleranno a fine anno con il loro commercialista. In che modo pagheranno le tasse. E non è raro che chi vuole affittare casa, provi a inserire un annuncio sulla nostra piattaforma solo per vedere come va, senza avere ancora un'idea precisa di come gestire l'attività sotto il profilo fiscale fino all'arrivo dei primi ospiti", spiega Stifanelli, che propone "almeno di uniformare tutte le attività e consentire la cedolare secca anche ai B&B. Negli ultimi giorni, inoltre, sono giunte in Parlamento sotto forma di emendamenti "proposte inaccettabili per gli host che condividono casa, come quella di chiedergli di dotarsi di porte tagliafuoco o di trasformarsi in albergatori perché forniscono a un ospite le lenzuola pulite". E sono questi gli aspetti che più preoccupano il Country manager per l'Italia, non la cedolare secca "che pagano già in molti e che non dovrebbe costituire quindi né una sorpresa né un problema". Il vero nodo sono questi emendamenti, "tentativi di introdurre oneri ingiusti che nulla hanno a che fare con un miglioramento del rapporto tra cittadino e fiscalità ma puntano, chiaramente, a limitare il diritto di condividere la propria casa".
"Accordi diretti con l'Agenzia delle Entrate"
Secondo Stifanelli, Airbnb non si è mai posto opposto del tutto alla tassa, ma ha rilanciato con una proposta ad hoc: "In diverse città, prime fra tutti Parigi, versiamo una tassa di soggiorno al comune. In pratica anziché farla versare all'host, lo facciamo noi. E sulla scia di questo esempio, avevamo proposto di dare mandato all’Agenzia delle Entrate per stipulare accordi direttamente con gli operativi (quindi con noi) per trovare una soluzione in cui non figuriamo però come sostituti di imposta". Se nulla cambierà, il rischio - sostiene Stifanelli - è che host e turisti andranno via da una piattaforma in cui la maggior parte dei pagamenti avviene attraverso transazioni online, con carta di credito, favorendo altri sistemi di pagamento in contanti e una maggiore probabilità di sconfinare nel nero".