Rammarico e stupore da parte degli esponenti dell'esecutivo dopo il no dei lavoratori al pre-accordo sul salvataggio di Alitalia. Calenda, Del Rio e Poletti ribadiscono il categorico stop a un intervento di Stato per salvare ancora una volta la compagnia aerea e all'orizzonte si profila la vendita "al migliore offerente" e il rilancio diventa molto più complicato, con rischi soprattutto per i lavoratori.
Calenda: "Per Alitalia ultimo prestito poi la vendita"
Esprime "rammarico e stupore" il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, per l'esito del referendum sul pre-accordo di Alitalia. "L'intesa era fondamentale per avere quasi un miliardo di nuova finanza dagli investitori, fondamentale per il rilancio di Alitalia, oltre ad un altro miliardo di conversione di prestiti in equity, tutto ciò in un settore dove trovare risorse non è banale". Ora comunque — dice il ministro al Corriere — "è finita l'epoca dei soldi pubblici per Alitalia". Se il piano di rilancio fosse credibile o meno, Calenda risponde che "rappresentava un percorso, difficile ma praticabile. Peraltro abbiamo respinto il primo piano spiegando che i tagli non dovevano riguardare solo il personale. E infatti nella versione approvata due terzi toccavano altre voci.
Secondo Calenda il governo aveva ottenuto:
- riduzione degli esuberi
- tenuta la manutenzione nel perimetro aziendale
- limitato il taglio delle retribuzioni per il personale di volo all'896
- l'aumento degli aerei a lungo raggio
- l'impegno a rivedere l'accordo dopo due annidi Ebitda positivo
"Il governo - prosegue il ministro - aveva anche dato, obtorto collo, la disponibilità di una garanzia pubblica sul contingent equity, nel caso le cose fossero andate male. Insomma, un equilibrio che teneva insieme tutela dei lavoratori, impegno degli azionisti, interesse dei contribuenti".
A far vincere il no sarebbe stata "anche per responsabilità di qualche sindacato che si è mosso in modo poco trasparente" la diffusione di idea, sbagliata, che Alitalia possa essere nazionalizzata e che ci siano i contribuenti a saldare i conti. E invece non può accadere per due motivi: le regole europee non lo consentono; il governo e i cittadini non lo vogliono. Su questo siamo stati chiari dall'inizio".
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Delrio:"Se Lufthansa è interessata per noi niente preclusioni"
"Avevo percepito un brutto clima, ma credevo che alla fine gli allarmi sarebbero stati presi sul serio. Abbiamo parlato il linguaggio della verità, e non è servito. I dipendenti sono sfiduciati, si sono convinti che questo sarebbe stato l’ennesimo piano che non avrebbe cambiato nulla". Il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, intervistato da La Stampa traccia la strada per il futuro di Alitalia dopo l'esito del referendum dei lavoratori: "Il nostro intervento servirà ad evitare il fallimento. L’azienda verrà venduta al miglior offerente come sta accadendo con l’Ilva. Ma se prima del referendum c’era la garanzia di una nuova ricapitalizzazione, ora il rilancio diventa molto più complicato. Alitalia è indebolita dall’esito del referendum e i concorrenti non faranno regali". Per gestire la transizione sono a disposizione 300 milioni di garanzie pubbliche, "La cifra a disposizione per far volare gli aerei è quella, se sarà necessario stanziare altro lo valuteremo. Ma ripeto: si tratterà solo di accompagnare l’azienda o parte di essa verso un altro azionista privato" ma nel caso in cui non dovesse arrivare "Non si torna indietro, nemmeno nel peggiore degli scenari".
Poletti lancia l'allarme "Ora sono a rischio ventimila posti di lavoro"
"Probabilmente, da una parte si è voluto esprimere la rabbia, la delusione profonda verso la compagnia per tutte le promesse mancate in passato. Dall'altra, qualcuno ha forse pensato che lo Stato sarebbe comunque intervenuto". Questa la lettura che, in un'intervista a Repubblica, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti dà sulla vicenda ribadendo che ai lavoratori era stato chiarito "in tutte le maniere" che non esisteva l'ipotesi-nazionalizzazione. "La cosa che ora dispiace è che questa scelta dei lavoratori rischia di danneggiarli di più, non di meno". E a rischiare, oltre ai 12.500 dipendenti della compagnia, ci sono ottomila lavoratori dell'indotto: una situazione che potrebbe far rischaire una crisi industriale e sociale di proporzioni ampiamente eccedenti il perimetro Alitalia. "Si apre una fase di incertezza e di sacrifici. Proprio per questo dobbiamo mantenere tutti i nervi saldi e lavorare con accuratezza per assicurare che la transizione avvenga con i minori costi possibili".
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