Il titolo ricorda quello "da Vinci" di Dan Brown. Magari non avrà la stessa eco mondiale, ma ha già scalato da giorni la classifica dei best seller in Italia di Amazon. E molti giorni prima che Mondadori lo pubblicasse 17 gennaio. “Codice Montemagno” è un piccolo caso editoriale in Italia. Un libro sull’imprenditoria che ha già migliaia di richieste. Superando in classifica Animali Fantastici di Rowling, Il Piccolo Principe o i libri di cucina. “È una roba pazzesca, quando lo abbiamo caricato prima di Natale non c’era nemmeno il titolo o la copertina e già era schizzato in classifica. Chi se lo poteva aspettare un libro sul fare impresa più richiesto di Harry Potter?”. Adesso la copertina il libro ce l’ha. Con il volto del suo autore, Marco Montemagno, 45 anni.
Imprenditore seriale, creatore e curatore di eventi, Montemagno è uno dei volti più noti dei divulgatori della cultura digitale in Italia. Ha lavorato per anni a SkyTg24 con un programma sulla tecnologia. Ha portato in Italia la Social Media Week e TechCrunch Disrupt. Ha fatto aziende, e le ha vendute. Da due anni pubblica ogni giorno un video su Facebook dove analizza un fatto, un evento, uno scenario. Lo seguono 300mila persone. Viene visualizzato in media 2milioni di volte al mese. Una community fortissima, che lo ha spinto su nelle classifiche. Ha studiato a Milano per diventare avvocato. La vita gli ha riservato tutt’altro, compreso un trasferimento a Brighton dove fa l’imprenditore.
Generalmente ci si dice “Best seller su Amazon” se si risulta tra i primi 100, tra i primi 50. Specie se si scrive un libro sul fare impresa. Tu sei il primo.
“È sorprendente. Credimi, era impossibile immaginare un risultato del genere. Anche contando la mia community sui social network”.
Primo in classifica e libro già in ristampa, prima ancora di uscire. Come ti spieghi questo successo?
“Il motivo per me è nei numeri della community che mi segue su Facebook. Sono 300 mila ed è una community forte nata nell’ultimo anno e mezzo. Forte e molto attiva. E poi sono tutti lettori. Spesso nei miei video recensisco libri che mi hanno colpito e chi mi segue è già predisposto alla lettura. Con loro si è instaurato negli anni un rapporto di fiducia”.
Cosa c'è nel libro?
“E’ un best of dei miei video. È rivolto a chi vorrebbe fare impresa e vuole capire perché con il digitale le possibilità per farlo sono tantissime. Ma sfatiamo un mito: fare una nuova impresa digitale non per forza vuol dire fare una nuova Facebook”.
Ci spieghi meglio?
“Negli anni si è diffusa questa opinione che o fai la nuova Uber, una nuova billion company, oppure vai a lavorare sotto padrone. Ma è un errore. In mezzo ci sono mille sfumature. Migliaia di piccole possibilità di business che potrebbero generarti 30 40 o 50 mila euro l’anno in più, anche se fai un altro lavoro. Oggi c’è l’alternativa, prima non c’era. Il punto è cercare di capire come funziona, quali opportunità ci sono in questo mondo. E perché il digitale è la chiave che muove tutto questo cambiamento. Noi stiamo vivendo un’era dove per la prima volta ci è data questa possibilità, ma non se ne parla mai abbastanza in termini reali. E' un cambio epocale”.
Ti conosciamo per i tuoi video sul mondo dell’imprenditoria digitale, per i tuoi programmi in Tv, sei stato sempre attento a veicolare il tuo messaggio con mezzo: Facebook, YouTube, Snapchat. Poi scegli per il tuo lavoro principale uno strumento antico come un libro. Perché?
“Ci sono tre motivi principali. Uno, da un po’ di anni sono diventato un vero divoratore di libri. Amo il libro come oggetto, è inarrivabile. Due, ho caricato migliaia di video, era per me arrivato il punto di metterli in ordine in uno strumento che ne tenesse insieme una selezione pensata. Tre, anche se raggiungo 20milioni di visitatori su Facebook, c’è un mondo che non si informa su Facebook. E un editore grande come Mondadori ti apre le porte ad un pubblico molto più ampio, che magari su Facebook non ci va tutti i giorni, e non per informarsi”.
È vero che pubblichi un video al giorno, tutti i giorni, da quasi 2 anni?
“Sì certo”.
Perché è importante questo metodo?
“Io vengo dal mondo dei blog. Uno, Blogosfere, l’ho anche venduto al gruppo del Sole 24 ore nel 2009. Quando lavori dall’interno del mondo della comunicazione ne vedi le metriche. Una è la qualità di quello che pubblichi. L’altra è la quantità. Ogni utente di Facebook vede ogni giorno sulla propria timeline 2mila post circa. Di questi ne apre 200. Essere sempre presenti aumenta la possibilità di arrivare alle persone. Pubblicare cose di qualità e spesso è la ricetta per essere visti, letti, seguiti. Ogni giorno. E poi è così perché ogni giorno ho qualcosa che mi colpisce e che voglio approfondire”.
Come scegli i temi da trattare nei tuoi video?
“Dipende. A volte fatti di attualità, spessissimo cose che riguardano l’economia digitale. Leggo tanto, mi informo tanto e il mondo è ricco di cose interessanti da analizzare, mettendoci un punto di vista che sia il tuo. E poi dopo aver fatto Sky Tech per sette anni un po’ mi manca non dire la mia in video il più spesso possibile”:
Non sei un motivatore, ma scrivi un libro che si propone di essere una guida all’imprenditoria digitale. Ci spieghi questo rapporto?
“Osservazione corretta, ma sono due temi diversi. Il motivatore ha interesse a motivarti per farti entrare in qualcosa che è il suo mondo. Workshop, corsi, libri. Dice: “Credi in te stesso e vieni ai miei workshop”. A me non piace. Io non sono un guru e non sono un esperto, sono un dilettante professionista. Quello che mi piace è ispirare, non motivare. Non credo che le persone abbiano bisogno di guru o diventare
A te chi ha ispirato all’inizio? Qual è stato il tuo primo contatto con l’impresa digitale?
“Un libro di Seth Godin, “Propagare l’Ideavirus”. Quel libro di Godin mi ha dato la mia prima idea di un’impresa su internet nel 2002. Si chiamava Consumavoce, ed era ben prima dell’era dei blog. Un progetto fallito miseramente”.
Hai fallito spesso?
“Tantissime volte. Decine almeno. Ho fatto un sacco di progetti online che non hanno funzionato. Ho preso delle gran botte. Quando lanci progetti che non vanno pensi sempre che il problema sei tu. Che tutto va storto perché non sei portato. Solo anni dopo, guardando quegli errori e quei fallimenti ti accorgi che erano solo una fase del tuo percorso. Al momento ti senti crollare, ma è del tutto normale”.
Cosa ti affascina così tanto della vita di un imprenditore, di un’impresa?
“L’indipendenza. C’è una frase piuttosto nota: l’imprenditore è quello che è disposto a lavorare 80 ore alla settimana pur di non lavorarne la metà da dipendente. Oggi l’accesso a creare qualcosa è facile per tutti e il digitale ha avuto la sua parte. Puoi creare un business che vale miliardi con una struttura agile e 13 dipendenti, quanti ne aveva Instagram prima di essere comprata da Facebook per un miliardo”.
Spesso si polemizza specie in Italia con chi fa comunicazione di raccontare il mondo del digitale e delle startup come un mito, un modo per vendere illusioni. Ti è mai stata rivolta questa accusa?
“No perché io dico da subito che fare impresa è la cosa più difficile che ci sia. Un’azienda è sangue, sudore e lacrime. Ci vuole impegno, tanto, e fortuna, tanta. Spesso il problema è la narrativa che ne viene fatta sui media del mondo delle startup. Il romanzo del giovane imprenditore che abbatte muri e difficoltà e fa un’impresa di successo. Ma non è sempre così, anzi. Ma l’Italia è arrivata molto dopo nella comprensione di questo fenomeno che chiamiamo startup, impresa digitale. E poi io ho quattro figli. E molti dei miei follower sui social sono ragazzini. Non posso certo permettermi il lusso di prendere in giro nessuno. È importante quando si comunica qualcosa farlo avendo davanti la verità”.