Elon Musk, questa volta, ha rispettato le promesse. Quando, ad agosto, aveva confermato che il terzo trimestre di Tesla sarebbe stato in utile, in pochi gli avevano creduto. Invece ce l'ha fatta. La borsa lo premia, con un rialzo a doppia cifra. Molte le buone notizie: vendite della Model 3, prospettive per il quarto trimestre, casse più piene. Resta però l'incognita debito.
Terzo utile della storia
Tesla ha chiuso il terzo trimestre con un utile netto di 311,5 milioni di dollari, contro il rosso di 619,38 milioni dello scorso anno. È la terza volta nella storia che la casa automobilistica chiude in positivo. L'ultima volta era stato nel settembre 2016, anche se con numeri dieci volte più piccoli. Dopo due anni “sotto zero”, Tesla riemerge con quello che è di gran lunga il miglior trimestre della sua storia e sorprende i mercati, che non credevano a una rimonta così repentina: alla fine di giugno il passivo era ancora di 717 milioni. Meglio del previsto anche il fatturato: 6,82 miliardi di dollari, più che raddoppiato rispetto a un anno fa e oltre i 6,1 miliardi previsti dagli analisti. Il comparto automotive (Tesla vende anche sistemi elettrici di ricarica) ha incassato poco più di 6 miliardi, l'82% in più dello scorso trimestre e il 158% in più rispetto a un anno fa. Adesso Tesla è attesa alla conferma. Secondo gli osservatori più critici, Musk avrebbe accelerato per rispettare le sue promesse, senza però avere la capacità di mantenere lo stesso ritmo nei prossimi trimestri. Il ceo ha però confermato che Tesla chiuderà in utile anche il periodo che va da ottobre a dicembre.
Aggiornamenti su cassa e debito
Balza in avanti anche il flusso di cassa: è positivo, per la prima volta dal 2016, per 881 milioni di dollari. In pratica Tesla ha intascato più liquidità di quanto non ne abbia sborsata. Ed è un segnale positivo per gli investitori. Il maggiore timore non era tanto il rosso nell'ultima riga di bilancio quanto l'emorragia di capitale (-740 milioni lo scorso trimestre). La cassa era (e in parte è) ritenuta insufficiente da diversi analisti se confrontata con i progetti di espansione del gruppo (dalla fabbrica in Cina all'impennata della produzione della Model 3). Questi 881 milioni sono (a seconda delle visioni più o meno ottimistiche) una svolta o un tampone. Tra luglio e settembre, comunque, la compagnia ha smesso di bruciare cassa e si ritrova con circa 3 miliardi di dollari liquidi. Sicuramente un passo avanti.
Abbastanza per stare tranquilli? No. Prima di tutto perché in parte sono soldi dei clienti: Tesla ha 906 milioni di depositi. Sono quelli che gli automobilisti hanno sborsato per prenotare le vetture e che la compagnia potrebbe dover restituire in caso di cancellazione. Per questo motivo, la società ha voluto sottolineare che “delle 455.000 prenotazioni registrate nell'agosto 2017, meno del 20% è stata cancellata”. Come a dire: ci stanno aspettando nonostante i ritardi e ci sono poche probabilità che quei soldi debbano spostarsi (se non in parte) da dove sono. Escludendo i depositi, i liquidi cui il gruppo può attingere liberamente arrivano quindi a circa 2 miliardi. Non ancora un livello di sicurezza, visto che Tesla deve ancora fare i conti con una montagna di debito. Tracciarlo, tra bond e prestiti di vari enti, non è semplice. Ci ha provato Reuters. Nel brevissimo termine, Tesla non preoccupa. Ma da qui a un anno deve rimborsare circa 2,2 miliardi. Che diventano 8,2 miliardi entro l'agosto 2025. Cifre sopportabili solo se Tesla manterrà tassi di crescita elevati come quelli di questo trimestre.
Le vendite della Model 3
Tesla ha definito il trimestre “storico”. E non solo per l'utile. Tra giugno e settembre, la Model 3 è stata la quinta auto più venduta negli Stati Uniti ma la prima per fatturato generato. È stata, in altre parole, quella che ha incassato di più. Merito anche di un passaggio molto rapida dalla fabbrica al garage dei clienti: un paio di settimane, contro i quasi 50 giorni di Mercedes e Lexus. “La Model 3 – si legge in una nota – sta attraendo clienti sia dei brand premium che non-premium”. Che poi è l'obiettivo del modello: trasformare Tesla in un marchio (anche) di massa. Nell'ultima settimana del trimestre, le Model 3 prodotte sono state 5300. La media dell'intero periodo è di 4300 ogni sette giorni, per un totale di 56.065 unità consegnate (oltre due terzi del totale). Ridotti anche i costi, soprattutto grazie a un calo del 30% delle ore di lavoro necessarie per completare una Model 3. Il risultato è un incremento dei margini, con quello operativo al 20%.
L'importanza di quota 35.000
La sfida della Model 3 continua. La battaglia principale riguarda la capacità di produrne e venderne a 35.000 dollari (il prezzo annunciato in fase di lancio). Oggi Tesla è riuscita a scendere a 46.000 dollari. L'ulteriore ribasso è già stato promesso nel 2019, ma non ci sono ancora tempi certi. Sarà un elemento deciso per diverse ragioni. Prima di tutto perché 35.000 dollari aprono a un mercato di fascia media che Tesla non ha ancora esplorato. Secondo: le vendite delle versioni più costose sono sostenute anche dagli incentivi per le vetture elettriche. Arrivare a 35.000 significherebbe reggere anche senza questo “doping” finanziario (che dipende dalle scelte degli Stati). Terzo: il prezzo sarà importante per sfondare in Europa, dove il mercato delle “premium di media taglia” (il segmento della Model 3) è il doppio di quello americano.Quota 35.000 ha quindi diversi vantaggi, ma un grosso difetto: a oggi non garantisce gli stessi margini. Serve quindi venderne tante (perché da ogni unità si ricava meno) e ridurre i costi di produzione senza incidere sulla qualità.
Oltre gli Stati Uniti
Tesla ha affermato che inizierà a raccogliere le prenotazioni in Europa alla fine di quest'anno per portare la Model 3 su strada all'inizio del prossimo anno. Un calendario che vale anche per la Cina, dove la casa di Elon Musk ha deciso di “accelerare” la costruzione della sua fabbrica cinese. L'obiettivo è portare in Asia “parte della produzione durante il 2019” per poi costruire una rete sempre più stretta e ampia con fornitori cinesi. Non si tratta di una delocalizzazione, spiega Tesla, perché l'impianto produttivo servirà “solo clienti locali”. Oltre gli Stati Uniti c'è quindi una nuova partita, con le case automobilistiche tradizionali sempre più attrezzata anche sull'elettrico. Senza dimenticare le giuste proporzioni. Negli ultimi 12 mesi Tesla ha venduto 154.200 vetture. Eppure la società di Elon Musk ha una capitalizzazione superiore a quella di Ford e poco sotto quella di GM, che nello stesso periodo hanno venduto rispettivamente 1,89 milioni e 2,17 milioni vetture solo negli Usa. È chiaro quindi che il valore delle azioni dipende dalle aspettative future. Deluderle sarebbe molto rischioso.