È stato un anno difficile per Elon Musk, il visionario patron di Tesla e SpaceX. Anzi, "il più difficile e doloroso" della sua carriera, come ha dichiarato lui stesso la settimana scorsa in un'intervista-confessione al New York Times, nella quale ha ripercorso i problemi, privati e imprenditoriali, che hanno funestato mesi complicati e segnati da numerose controversie, culminati nell'annuncio shock del 7 agosto, affidato a Twitter, secondo il quale aveva deciso di trasformare Tesla in una società privata, abbandonando Wall Street dopo 8 anni.
Le ragioni? Poter agire con maggiore flessibilità, senza gli obblighi in tema di comunicazione e trasparenza imposti dall'essere una società quotata, e non dover stare dietro alle reazioni dei mercati, staccandosi dalla routine dei bilanci trimestrali, l'ultimo dei quali, diffuso il 1 agosto, si era chiuso con un'altra perdita record. Ragioni dove la logica aziendale si intreccia alla sfera personale. Musk, con il suo stile istrionico, è a tutti gli effetti parte del prodotto, quasi un brand a sé stante. E ora vuole ridurre l'enorme pressione che, sulla scia dei numerosi intoppi che hanno caratterizzato il lancio del nuovo modello di auto elettrica, la Tesla Model 3 (prestazioni deludenti e una filiera produttiva non abbastanza vasta e solida), lo hanno costretto a una vita d'inferno: iperlavoro, insonnia (e conseguente abuso di sonniferi) e ritmi sovrumani che non gli lasciano tempo da dedicare ai suoi cari.
Gli azionisti hanno però convinto Musk a recedere dal suo proposito, come ha spiegato lui stesso in una nota. In particolare gli investitori istituzionali, i cui statuti impongono limiti all'entità della partecipazione che possono detenere in una società non quotata.
Staying Public https://t.co/gUrAnInBOu
— Tesla (@Tesla) 25 agosto 2018
La marcia indietro è stata decisa durante una riunione del consiglio di amministrazione tenutasi giovedì scorso. "Sebbene la maggioranza degli azionisti con cui ho parlato mi hanno detto che sarebbero rimasti con Tesla anche in caso di privatizzazione, il loro punto di vista - in sintesi - era 'per favore, non farlo' ", ha spiegato Musk.
Il tweet che fece saltare sulla sedia gli investitori affermava che i fondi per garantire l'operazione erano già stati reperiti. Più tardi un comunicato della compagnia aveva però specificato che i dettagli dell'accordo con il fondo sovrano saudita, che avrebbe dovuto sostenere la privatizzazione, non erano ancora stati definiti. Agli azionisti che avessero voluto tirarsi fuori, i titoli sarebbero stati pagati al prezzo di 420 dollari l'uno, prezzo inferiore del 23% alla quotazione del 6 agosto. Un annuncio che costò un'indagine della Sec, l'equivalente Usa della Consob, per possibile manipolazione del mercato, e un crollo del 20% del valore delle azioni.
Am considering taking Tesla private at $420. Funding secured.
— Elon Musk (@elonmusk) 7 agosto 2018
"Alla luce delle reazioni che ho ricevuto, sembra che la maggior parte degli azionisti attuali di Tesla credono che stiamo meglio come società quotata", chiosa ora Musk, il quale ha aggiunto però che, durante queste settimane, "si è rafforzata la sua convinzione" che la sua azienda possa contare su abbastanza fondi a disposizione per consentire la privatizzazione. L'addio alla borsa è solo rimandato o, quantomeno, è un'ipotesi che resta sul tavolo? Tutto è possibile. Il dubbio è per quanto ancora i mercati vorranno firmare a Musk cambiali in bianco. L'imprenditore è convinto che nella seconda metà del 2018 i bilanci registreranno finalmente un utile. Ma il vero test è la capacità di espandere la produzione della Model 3. Su questo fronte dovrebbe essere risolutivo l'accordo firmato a Shanghai il mese scorso per la costruzione di una fabbrica in grado di costruire mezzo milione di auto l'anno. Un'operazione ambiziosissima i cui costi, però non sono ancora chiari.