Che tipo di pasta piace a Sud e quanta ne mangiano
Che tipo di pasta piace a Sud e quanta ne mangiano
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E’ l’alimento preferito dal 48% dei meridionali

Pasta al pesto
Pasta al pesto

50 anni fa la legge di ‘purezza della pasta’

Liscia al Sud, rigata al Nord: ecco le preferenze degli italiani

 Pasta
 Pasta

Ma perché la pasta rigata veniva venduta al Nord e a cosa si deve il gradimento per questo formato da Roma in su?

 Pasta alla vodka WPD
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I tre fattori che rendono buona la pasta

  • il fatto che resti al dente e tenga la cottura (78%)
  • il tipo di grano (71%)
  • come riesce a legarsi al condimento (58%)

Le 10 curiosità sul piatto più amato dagli italiani

  1. In Sicilia è stata inventata la pasta secca - Le prime testimonianze relative alla produzione di pasta secca nel nostro Paese arrivano dalla Sicilia musulmana, in epoca medievale, nel corso del XII secolo. Il geografo arabo Idrisi parla di “un importante polo produttivo di pasta in forma di fili” a Trabia, vicino Palermo, mettendola in relazione con l’attività molitoria già preesistente. E’ da qui che la pasta secca di semola di grano duro ha conquistato lo Stivale, passando per Napoli e arrivando a Genova.
  2. Sardegna e Puglia fanno scuola nel XIV e XV secolo - Sotto la dominazione aragonese, Sicilia e Sardegna sono tra i principali centri di produzione di pasta secca del Mediterraneo. Da lì la pasta partiva per Barcellona, Maiorca e Valencia, ma anche Genova, Napoli e Pisa. E nel Quattrocento si hanno testimonianze dell’attività di produzione di pasta secca in Puglia: località come Acquaviva delle Fonti, Gravina, Ascoli Satriano e Brindisi diventeranno celebri nell’arte pastaria dando vita ad un ricco commercio tale da far concorrenza a quello napoletano nel corso del XIX secolo.
  3. La licenza “extraendi pastillos” concessa ai comandanti delle navi siciliane (e genovesi) - A dimostrare che la pasta ha sempre amato il mare e i porti: nel XV secolo, un’ordinanza delle autorità di Palermo concedeva ai comandanti delle navi l’autorizzazione (“licentia extraendi pastillos”) a prelevare durante i viaggi tra i 10 e i 30 rotoli di maccaroni e vermicelli “per uso personale”. La stessa consuetudine era in uso anche al porto di Genova.
  4. XVI e XVII secolo: estro e “ingegno” dei pastai napoletani - A cavallo tra questi due secoli si assiste ad un’importante evoluzione col passaggio ad un sistema di produzione più intensivo. La Campania applicherà per prima le innovazioni tecnologiche attraverso l’utilizzo della gramola a stanga, basata sul principio della leva per pressare l’impasto di acqua e farina, poi del torchio a trafila, un marchingegno che pressa la pasta lavorata su trafile modellate in varie fogge, dando vita a formati di pasta diversi tra loro. Senza il torchio a trafila, inoltre, non ci si poteva iscrivere alla corporazione dei pastai napoletani, come previsto negli statuti della corporazione del 1579. La pasta prodotta con questo macchinario verrà definita “pasta d’ingegno” e diventerà sinonimo di pasta secca di alta qualità.
  5. Nasce il mito di Gragnano e Torre Annunziata - In questo stesso periodo nasce l’industria manifatturiera della pasta di Torre Annunziata e di Gragnano che, grazie al sapere degli artigiani della pasta campani, all’ottimo grano duro a disposizione (importato soprattutto dalla Puglia e più avanti, dal Mar Nero, con la famosa varietà Taganrog) e ai capitali messi a disposizione dai primi mugnai-imprenditori locali, nel corso del XVIII secolo diventerà polo principale famoso in tutto il mondo.
  6. Pulcinella diventa simbolo della pasta - I napoletani, fino al Seicento chiamati “mangiafoglie”, si guadagnano a fine Settecento l’appellativo di “mangiamaccheroni”. A quei tempi il consumo procapite di pasta è di 14 chili l’anno. Da fine Settecento, la pasta secca da piatto delle tavole nobiliari diventa cibo popolare per eccellenza perché è buona e costa poco. Si afferma come piatto unico dei poveri e, più timidamente, come ‘primo piatto’ dei più benestanti, che la consumano 2 o 3 volte la settimana. E ‘incontra’ Pulcinella, la maschera più conosciuta della tradizione partenopea. Secondo Anton Giulio Bragaglia “il principale attributo di Pulcinella sono i maccheroni (…) che egli può portare anche in tasca, già conditi e fumanti”, tratteggiando un’immagine che sarebbe tornata in un celebre film di Totò.
  7. Il sistema di essiccazione “alla napoletana”- Il segreto della qualità della pasta secca napoletana e gragnanese in fase preindustriale? Il connubio di ottima semola di grano duro e l’abilità dei pastai di sfruttare e un clima favorevole per un’essiccazione perfetta. Scirocco e Tramontana, con la loro alternanza di umido e secco, erano considerati ingredienti fondamentali del processo produttivo, da saper dosare e miscelare allo stesso modo di semola e acqua, per ottenere una pasta di qualità.
  8. Da Napoli si impone la cottura ‘al dente’ (e il condimento al pomodoro) - Sono sempre i napoletani ad imporre nel XIX secolo l’abitudine di consumare la pasta ‘al dente’, cioè con il nerbo del grano ancora percettibile. Prima, infatti, la pasta veniva sempre stracotta per ore, soprattutto sulle tavole nobiliari del centro Nord, fin quasi a sfaldarsi. Sono contemporaneamente gli strati popolari e le famiglie benestanti napoletane, nei primi dell’Ottocento, ad introdurre la cottura al dente, o “vierd vierd”, gettando la pasta nell’acqua solo quando questa raggiungeva il bollore. Quasi contemporaneamente i “vermicelle con le pommodore” diventano un abbinamento quotidiano, fissato da Vincenzo Corrado nel suo “il cuoco galante”, dove trovano spazio anche altre ricette classiche come il timballo di maccheroni e il sartù di pasta.
  9. 7 dei 10 maggiori pastifici sono nel Sud - Anche dopo l’Unità d’Italia il Sud mantiene il suo primato nell’industria della pasta. Nel 1882 a Torre Annunziata viene introdotta la pressa idraulica a gotto montante per trafilare i maccheroni, realizzata dall’Officina Pattison. E qualche anno dopo fa il suo ingresso la gramola a coltelli. Si tratta delle innovazioni che renderanno i primi anni del Novecento l’epoca d’oro della produzione pastaia del Sud. Solo a Torre Annunziata questa industria faceva vivere ben 3000 famiglie. Nel 1870 un pastificio di Bari impiegava ben 5 torchi idraulici e, ancora all’inizio del XX secolo, 7 dei 10 maggiori pastifici italiani hanno sede nel Mezzogiorno.
  10. La pastasciutta nella valigia dell’emigrante - A cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento la pasta segue le rotte dell’emigrazione verso il nord d’Italia ma anche verso il resto del mondo. E’ una fase decisiva del processo di espansione e di conquista dei mercati da parte di questo alimento, vista la consistenza del numero degli emigranti meridionali (quasi 4 milioni, solo verso l’America, in appena 10 anni, dal 1901 al 1910) e il loro attaccamento nei confronti di questo alimento, diventato nel frattempo una delle principali fonti di sostentamento in anni di carestia e povertà. Sono, così, consueti i viaggi in treno con le scorte di spaghetti, formaggi, salumi, olio, pane e vino raccontati anche sul grande schermo dal cinema neorealistico e dalla commedia all’italiana.
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