Gli ultimi dati Istat dicono che a luglio gli occupati in Italia superano i 23 milioni, mai così tanti dal 2008, prima della crisi. Ecco la notizia positiva. Quella negativa è che la disoccupazione sale all’11,3%, aumentano le donne senza lavoro e i giovani disoccupati sono il 35,5%. Queste sono le due facce della medaglia fotografate da tutti i giornali che mettono sì in evidenza il dato dell’occupazione, ma non dimenticano di sottolineare che il percorso è ancora in salita.
Ma l'occupazione migliora o no?
Il Corriere della Sera titola “Istat, la disoccupazione sale al 11,3% ma gli occupati superano i 23 milioni: mai così tanti dal 2008, prima della crisi”, ricordando nell’occhiello che “A luglio, secondo i dati Istat, la stima degli occupati cresce dello 0,3% rispetto a giugno (+59 mila). Cala il numero di chi non cerca un lavoro. I nuovi occupati sono uomini, aumentano invece le donne senza lavoro. I giovani disoccupati sono il 35,5%”. Come si legge nell’articolo, “resta confermata, prosegue l’Istat, “la persistenza della fase di espansione occupazionale”, con la stima degli occupati che a luglio cresce dello 0,3% rispetto a giugno, pari a 59 mila unità”.
Ancora più diretto il titolo de Il Foglio, che scrive: “L'Italia riparte, gli occupati tornano ai livelli del 2008. Negli ultimi due mesi superata quota 23 milioni, non succedeva da nove anni. A luglio cresce ancora il tasso di occupazione. E il crollo degli inattivi fa salire la disoccupazione”. Come ricorda il quotidiano, “era dal 2008, prima dell'inizio della crisi, che l'Italia non superava i 23 milioni di occupati. Lo ha fatto quest'anno o meglio, lo ha fatto negli ultimi due mesi (giugno e luglio) censiti dall'Istat. Infatti anche a luglio, secondo i dati provvisori forniti dall'istituto di statistica, la stima degli occupati è cresciuta dello 0,3 per cento rispetto a giugno. Si tratta di 59 mila unità in più che portano il tasso di occupazione al 58 per cento (+0,1 per cento)”.
L’Huffington Post parla di “boom degli occupati, mai così numerosi dal 2008”. E riporta le reazioni politiche, da Renzi che esulta - “merito del Jobs Act” – a Gentiloni, più cauto - "Ancora molto da fare, effetti positivi dal Jobs act". Anche il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, indica in un’intervista alla Rai che “c'è la ripresa, lo dicono tutti i dati, dal Pil all'occupazione, alla fiducia. Quindi si sta consolidando un quadro di ripresa che da ciclica deve diventare strutturale e il Governo continua a lavorare in questo senso".
Primi distinguo
Più cauto, nei toni, Il Secolo XIX che riferisce come “dieci anni dopo l’inizio della crisi, l’Italia nel 2017 è risalita ai 23 milioni di occupati che aveva nel 2008, e che (fra l’altro) corrispondono al suo record storico. Lo rileva l’Istat. Aumentano sia i lavoratori dipendenti sia gli indipendenti”. Tuttavia, aggiunge, “nel Paese non si avverte alcun senso di euforia, perché (comunque) 23 milioni di posti di lavoro sono pochi per 60 e passa milioni di abitanti”.
Il Sole 24 Ore allarga il quadro e mette in luce anche i dati sul “numero di ore di cassa integrazione complessivamente autorizzate è stato pari a 35 milioni, in diminuzione del 22,4% rispetto allo stesso mese del 2016 (45,1 milioni). Le domande di disoccupazione arrivate all’ente di previdenza a giugno (tra Aspi, Naspi, disoccupazione e mobilità) sono state 132.222 con una crescita del 3,8% su giugno 2016 e del 36,5% su maggio 2017 (96.805 domande)”. Attenzione viene posta anche sui tipi di contratto: “L’Inps rileva che nei primi sei mesi del 2017 sono stati attivati oltre 822.000 contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni) con un calo del 2,7%% sullo stesso periodo del 2016. Le cessazioni di contratti stabili nello stesso periodo sono state 790.133 e che quindi il saldo resta attivo per 32.460 unità (in calo rispetto ai 57.277 dei primi sei mesi 2016 e di 391.869 dei sei mesi 2015 quando erano previsti sgravi contributivi totali)”.
Anche l’Avvenire sceglie di dare risalto a un dato in particolare e sottolinea già nel titolo che “Cresce l'occupazione, ma solo quella maschile”. “La crescita congiunturale dell'occupazione – scrive il quotidiano - interessa tutte le classi di età ad eccezione dei 35-49enni ed è interamente dovuta alla componente maschile (gli occupati aumentano dello 0,6%, +86mila), mentre per le donne, dopo l'incremento del mese precedente, si registra un calo (-0,3%, -28 mila occupati). Su base annua, invece, la crescita interessa uomini (+1,4%) e donne (+1,1%). A crescere sono gli occupati ultracinquantenni (+371 mila) e i 15-24enni (+47 mila), a fronte di un calo nelle classi di età centrali (-124 mila)”.
Per i giovani il quadro resta incerto
Claudio Tucci, in un editoriale su Il Sole 24 Ore, spiega “Perché serve lo sgravio pieno e strutturale per i giovani”. Il giornalista invita ad “andare dentro questi numeri, per vedere cosa sta succedendo realmente. Intanto, va subito detto che per i giovani la situazione resta complicata, e ciò quindi conferma l’urgenza di puntare, già con la prossima legge di Bilancio, su sgravi pieni e strutturali per rilanciare il segmento che più di tutti ha pagato durante gli anni di crisi (e su cui il Jobs act finora ha inciso poco)”. Tucci ricorda i numeri dell’occupazione tra gli under24 (47mila posti in più, “meglio di niente ma troppo pochi”), il calo nella fascia 25-34enni (-8mila) e addirittura “il crollo tra i 35-49enni”. “Non solo – aggiunge - il tasso di occupazione per gli under25 è fermo drammaticamente al 17,2 per cento, anche se in lieve crescita sull’anno. Il punto è che riprende a salire il tasso di disoccupazione giovanile: torniamo al 35,5 per cento. Certo, meglio dei picchi superiori al 40 per cento registrati negli scorsi mesi. Ma comunque siamo di fronte a un valore elevatissimo: peggio di noi solo Spagna e Grecia”. In ultimo, cita dati Inps: “Con la fine degli incentivi generalizzati targati Jobs act, i nuovi avviamenti nel mercato del lavoro stanno tornando ad accadere prevalentemente con contratti precari (c’è un po' di crescita però anche dell’apprendistato, anche se i numeri assoluti sono minimi)”.
In nodo del costo dei contratti a tempo indeterminato
L’articolo si chiude con due considerazioni, “La prima: per tornare a rendere il contratto a tempo indeterminato, soprattutto per i giovani, il canale d’ingresso principale nel mercato del lavoro serve farlo costare subito meno, e per sempre. Ecco allora che la decontribuzione allo studio dell’esecutivo in vista della prossima legge di Bilancio deve essere più coraggiosa e strutturale. Altrimenti, inciderà poco. Secondo: va fatta decollare l’alternanza e va creato un link stabile formazione-lavoro lungo tutto il segmento dell'istruzione”.
Il nodo della qualità degli impieghi in aumento
Interessante l'analisi de Linkista, secondo la quale la verità è che ad aumentare sono sopratutto i posti di lavoro poco qualificati e poco pagati. Gli altri, i contratti stabili e solidi, diminuiscono: "Quello che sta accadendo dunque è tra le cause della percezione di una crisi ancora non finita, di una ripresa presente ancora solo sulla carta, ovvero un aumento, in alcuni casi anche consistente, di posti di lavoro proprio in ambiti in cui gli stipendi sono bassi o molto bassi, in cui a una crescita della produzione corrisponde un quasi identico aumento dell’occupazione perchè non vi è quasi alcuna dinamica a livello di miglioramento della produttività. Sono settori a basso valore aggiunto, come il turismo o la ristorazione, a maggior ragione se dominati, come è soprattutto in Italia più che altrove, da realtà piccole. La conseguenza sono salari scarsi, precari, che rimangono tali negli anni perchè la competenza specifica e l’appetibilità del lavoratore non crescono molto nel tempo".