Roma - "Please, don't stop the music" canta la regina del pop delle nuove generazioni Rihanna. E l'appello a non fermare la musica non potrebbe essere piu' azzeccato visto che, come emerge da uno speciale condotto da Agi, il settore discografico ha subito una crisi senza precedenti nel decennio 1999-2009. Dieci anni in cui ha perso il 74% del suo valore di mercato con conseguenze occupazionali importanti, stando ai dati dell'ultimo rapporto della Federazione industria musicale italiana (Fimi).
Persino un femomeno come il festival di Sanremo con i suoi record di ascolti incide appena per l'1% sul mercato discografico. L'industria musicale e i suoi numeri sono ormai lontanissimi dal boom degli anni '90: all'epoca c'erano case che vendevano anche 100.000 compact disc al giorno. Oggi raggiungere questi numeri in un anno e' motivo di celebrazione.Tra autori, compositori, gestori di discoteche, insegnanti e produttori di strumenti, il settore impiega intorno alle 161mila persone, con un calo del 5,1% nell'ultimo periodo preso in esame relativo al biennio 2012-2014. Gli autori, compositori e interpreti musicali sono, nel 2014, circa 67mila (4.500 unita' in meno rispetto al 2012) e rappresentano il 47% degli occupati diretti del settore. Scendono di oltre 3mila unita' (-8%) anche gli occupati in attivita' concertista e del 4,6% gli occupati in discoteche e sale da ballo. Trend negativo anche per gli occupati in case discografiche che calano del 12,5% dal 2012.
Se la passano meglio gli insegnanti di musica e canto che salgono dell'11,2% raggiungendo nel 2014 oltre 9mila addetti. "A trainare la domanda sono i talent, soprattutto per quanto riguarda le lezioni di canto", spiega Maria Elisa Cirillo della scuola di musica La Bottega del Suono.
A scuola di canto sognando Mika
X Factor e i suoi fratelli condizionano sempre piu' anche i gusti e le vendite nel settore, inondando le radio con i propri artisti e "contaminando" anche appuntamenti tradizionali come Sanremo.
Ruggeri, "Oggi cantanti come meteore"
In generale, oggi il settore - sostiene il presidente del FIMI Enzo Mazza - "vale meno della meta' di quello che valeva nel 2009", nonostante i dati relativi ai primi nove mesi del 2015 mostrino una crescita del 25% rispetto all'anno precedente che tocca i 93,9 milioni di euro. Un primo forte scossone e' arrivato dalla pirateria digitale di massa che tra il 1999 e il 2003 ha colpito pesantemente il settore fino alla nascita di iTunes, che ha sdoganato la musica a costo contenuto. "Con lo sviluppo di un'adeguata offerta legale - sostiene Mazza - la pirateria e' scesa e lo streaming ha ulteriormente segnato il passo".
La rivoluzione digital-streaming
Sulla stessa linea il compositore e produttore discografico Massimiliano Pani: "La musica in se' non e' in crisi, ma e' cambiato il modo in cui essa viene fruita. Il cd e il vinile sono prodotti obsoleti. E' come se volessimo vendere la carrozza con i cavalli dopo l'arrivo della macchina a vapore. Diversi fenomeni hanno contribuito al crollo del mercato discografico, di certo il fatto che e' possibile ascoltare qualsiasi brano gratis su internet ha inciso in maniera determinante sulle abitudini di ascolto". A cio' si aggiunge la lentezza con cui ha reagito l'industria che "non ha saputo adeguare con altrettanta velocita' i modelli di business" e pertanto "gli effetti iniziali sono stati molto pesanti" ha detto ancora Mazza. Una cosa e' certa: la musica e' cambiata. Letteralmente.
"La musica oggi e' mobilita' - spiega Andrea Rosi, presidente di Sony Music Italia - "Le nuove generazioni non hanno nel DNA il concetto di 'possesso della musica' inteso come disco, cd. Per loro e' un servizio e in quanto tale devono avere accesso a tutto cio' che vogliono quando vogliono". Per Rosi e' solo il punto di arrivo di una trasformazione piu' profonda: "negli anni '90 le aziende fatturavano delle scatole piene di pezzi di plastica che venivano caricate sui camion e arrivavano in determinati punti vendita.
Oggi quelle stesse aziende ricevono rendiconti da Spotify". "Il 70% delle entrate di Spotify - sostiene Veronica Diquattro, responsabile Spotify mercato Italia - sono destinate all'industria musicale e il guadagno degli artisti dipende dagli accordi con le loro etichette. Naturalmente, non e' possibile confrontare i guadagni attuali con quelli pre-crisi".
Di certo la musica libera a pronto uso ha generato ripercussioni anche sulla radio, che se non ha perso ascoltatori oggi e' solo perche' ha sottratto un po' di spazio alle canzoni a favore dei programmi di intrattenimento. "Oggi chi ascolta radio lo fa piu' per la qualita' dell'intrattenimento che per la scelta musicale" commenta Linus, storica voce di Radio Dj.
"Sento in questi giorni discutere di un tema ormai trito e ritrito: le quote radiofoniche da destinare per legge agli artisti emergenti. Siamo sicuri che il comparto musicale lo rifondiamo cosi'?" si chiede Claudio Ferrante, CEO e fondatore di Artist First. "O lo rifondiamo cambiando approccio nei confronti dei media e iniziando a lavorare tutti su progetti di qualita' a prescindere da cio' che i media deciderebbero? I media hanno un compito diverso, trasmettono musica e hanno l'obiettivo degli ascolti, il nostro mestiere e' quello di proporre, e dobbiamo imparare a pensare e rischiare a prescindere dal brano "radiofonico". Dobbiamo pensare che il mestiere di un produttore italiano e' lavorare sui nuovi cantautori. E se lo facciamo tutti, prima o poi i media se ne accorgeranno". Per Ferrante una cosa e' certa: "Non possiamo pensare di tornare ai fasti degli anni 90', qualsiasi album venisse messo in vendita realizzava non meno di 30.000 copie". (AGI)