Il 2017 si è chiuso con 57 nuovi investimenti, in calo del 38% rispetto al 2016. Si interrompe, dopo sette anni, la crescita, almeno nel numero delle operazioni. Aumenta però il numero dei follow on, cioè degli investimenti successivi al primo in società già sostenute in passato: sono passati da 10 a 21. Sommando questi ultimi con i primi investimenti, si arriva a 78 operazioni (un quarto in meno rispetto al 2016) e round per 208 milioni (giù del 5,4%). Cala anche il numero degli investitori attivi, passati da 82 a 69.
Sono i risultati emersi dal decimo Rapporto del Venture capital monitor, curato da Liuc Business School, Aifi (Associazione italiana del Private equity, Venture Capital e private debt) con il supporto di Eos Investment Management.
La frenata nel numero degli investimenti e dei capitali investiti vanno soppesate. Con un fattore che, in parte, giustifica dati negativi e con uno che invece aggrava il quadro. Il primo: "Lo scorso anno alcuni tra i principali operatori - sottolinea Anna Gervasoni, direttore generale Aifi - hanno concentrato la propria attività sul fundraising". Hanno quindi raccolto e non investito. "In un mercato piccolo come il nostro - ha aggiunto Gervasoni - la ciclicità pesa". Va sottolineato però che - e siamo al secondo fattore - a far lievitare la somma investita ci sono società che di italiano hanno solo i fondatori ma non la sede. Partecipano quindi al conteggio dei 208 milioni, ad esempio, anche i 15 milioni incassati da Mashape o i 10,3 ottenuti da Soldo. Startup che non fatturano in Italia, e che Agi ha escluso dal suo calcolo che porta gli investimenti in quelle italiane a circa 110 milioni.
Investimenti medi, quote ottenute, e le regioni più attive
Per quanto riguarda le operazioni di seed capital, l'investimento medio è di 500.000 euro per l'acquisizione di quote del 23%. Nelle operazioni di startup, l'ammontare medio, per il 2017, è stato di 3,4 milioni di euro per rilevare una quota media di partecipazione pari al 33%. Come per gli anni passati, la Lombardia è la regione in cui si concentra il maggior numero di operazioni e che continua: copre il 37% del mercato (era il 33% nel 2016).
Seguono Lazio con il 23% ed Emilia Romagna con il 9% del totale delle operazioni realizzate in Italia- Osservando la mappa italiana del venture capital, colpiscono ampi spazi vuoti: regioni in cui non si è conclusa neppure un'operazione. Quota "zero" per Sicilia, Calabria, Basilicata, Molise, Abruzzo, Umbria, Marche, Liguria, Valle d'Aosta, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Un dato negativo, ha spiegato il presidente Aifi Innocenzo Cipolletta, che dipende soprattutto dalla mancanza di operatori di area: "Siamo indietro, ma lo siamo soprattutto nel pubblico. Non sostituisce il privato ma lo stimola". Gervasoni e Cipolleta citano infatti il Lazio, dove il finanziamento regionale si affianca a un co-finanziamento con i privati, come esempio virtuoso.
Dal punto di vista settoriale, l'Ict monopolizza l'interesse degli investitori che cresce negli investimenti raggiungendo una quota del 39% (era il 37% nel 2016); in questa categoria si segnala la diffusione di applicazioni web e mobile riconducibili ad app innovative. In aumento il terziario avanzato con il 16% e i servizi finanziari (12%) grazie al sempre più crescente impatto delle attività fintech. Dopo aver analizzato i dati del 2017, si guarda al presente e all'immediato. La ciclicità e le attività di raccolta chiuse tra la fine dello scorso anno e l'inizio del 2018, sottolinea Gervasoni, fanno sperare in un'annata "interessante". Anche se gli effetti potrebbero vedersi più in là, nel 2019. "Nel mondo del venture capital c'è fermento - ha concluso Cipolletta - ma serve tempo per vedere i risultati".