Quella della mobilità sostenibile è una sfida cruciale per l’Italia e per l’intero pianeta. Delle trasformazioni urbane si è discusso nel corso della Milano Arch Week, la settimana di incontri, seminari workshop a cui partecipano scienziati, architetti, filosofi, urbanisti di tutto il mondo e alla quale la Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) ha partecipato con Michel Noussan che si occupa proprio di studiare l’impatto dei diversi modelli di mobilità urbana.
Facciamo prima il punto della situazione partendo dai numeri. Nel 2017, il trasporto era responsabile del 24% delle emissioni dirette di CO2 prodotte a livello globale. I veicoli stradali – automobili, camion, autobus e veicoli a due ruote – hanno rappresentato il 77% della domanda finale globale di energia e le emissioni di CO2 attribuibili all’intero settore dei trasporti. Gli acquirenti di auto hanno continuato a scegliere veicoli più grandi e pesanti, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e in Asia. In Europa, questo ha portato a un aumento delle emissioni medie di CO2 delle nuove auto nel 2017. (Transport Tracking Clean Energy Progress/IEA). Nello stesso anno in Italia, il settore dei trasporti ha prodotto il 28,2% del totale delle emissioni di CO2 (Inventario emissioni Ispra).
Sono soprattutto i trasporti urbani quelli sui quali si deve intervenire con maggiore efficacia se si vogliono raggiungere gli obiettivi definiti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sulla sostenibilità. Soprattutto perché tutti gli indicatori mostrano che nei prossimi anni saranno sempre di più le persone che andranno a vivere in metropoli con oltre dieci milioni di abitanti, con un impatto significativo sulla domanda di trasporti.
Da città a megalopoli: ecco quanto impatta la mobilità
Le città già oggi ospitano oltre metà dell’umanità, producono il 70 % del PIL globale e sono responsabili del 70 % delle emissioni di gas serra, ma continuano a espandersi: entro fine 2016, altri 70 milioni di persone si saranno spostati nelle aree urbane. Entro il 2030, ci saranno 41 megalopoli di 10 milioni di abitanti o più, contro le attuali 28. Entro il 2050, l’homo civicus avrà superato i 6 miliardi di persone, due terzi dell’umanità, e genererà oltre 2 miliardi di tonnellate di rifiuti l'anno. (New Urban Agenda).
Il rischio è che una crescita disordinata dei sistemi urbani si traduca in un ulteriore aumento del traffico e quindi dello smog, in particolare di quello più nocivo per la salute: polveri ultrasottili e biossido di azoto. Si tratta di fattori che, visti i dati epidemiologici, non possono essere sottovalutati. Il nostro paese paga un prezzo molto elevato: secondo un report pubblicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, le principali minacce ambientali alla nostra salute – particolato atmosferico (PM), biossido di azoto (NO2) e ozono troposferico (O3) – hanno generato 79.820 morti premature in Italia nel 2014 (ultimo dato rilevato).
Per la mobilità sostenibile non servono soluzioni drastiche
Alla Milano Arch Week l’impatto dei diversi modelli di mobilità urbana è stato il tema affrontato da Michel Noussan. “Non si può pensare – ha spiegato Noussan – di risolvere un tema così complesso come quello della mobilità con soluzioni drastiche o assolute. Ci sono molti aspetti da valutare e su più fronti, e questo è ancora più valido per un paese come il nostro, che ha un rapporto molto particolare con l’automobile privata. Siamo secondi in Europa dopo il Lussemburgo con 625 autovetture ogni mille abitanti (Fonte: Eurostat) e anche quelli che la usano di più con una distanza media percorsa in auto pari a 11.614 chilometri seconda solo a quella della Svezia”. Sono proprio i dati, elaborati dal ricercatore della FEEM, a spiegare le differenze tra i diversi paesi all’interno dell’Unione Europea e la necessità di utilizzare un approccio più diversificato.
Distanza media annua percorsa per abitante (in km) in alcuni paesi europei (2016)
| auto | bus | tram e metro | treno | (alta velocità – share su km treno) |
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Danimarca | 10353 | 1241 | 56 | 1109 | 0% |
Germania | 11522 | 779 | 208 | 1166 | 28% |
Spagna | 7103 | 1028 | 161 | 574 | 56% |
Francia | 11142 | 1216 | 245 | 1318 | 58% |
Italia | 11614 | 1698 | 112 | 860 | 25% |
Paesi Bassi | 8293 | 293 | 55 | 1059 | 2% |
Polonia | 5367 | 969 | 114 | 505 | 7% |
Svezia | 11624 | 1000 | 265 | 1299 | 27% |
Gran Bretagna | 10210 | 549 | 209 | 1040 | 4% |
Fonte: elaborazione dell’autore da dati EU–Eurostat (Transport in figures 2018)
““Se vogliamo aumentare la sostenibilità delle nostre città – spiega Noussan – dobbiamo cominciare a prendere in considerazione politiche che disincentivano l’uso dell’automobile, che usiamo moltissimo e molto spesso per trasportare un solo passeggero”.
“In Europa, Danimarca ed Olanda hanno da tempo avviato politiche che vanno in questa direzione con risultati molto interessanti, e la storia di Amsterdam è, sotto questo profilo, esemplare – ha aggiunto – e indica che si tratta di una strada lunga che va costruita passo dopo passo. Ora ad Amsterdam stanno lavorando per rimuovere completamente le auto dal centro cancellando circa 12.500 parcheggi per le auto e rimpiazzandoli con nuove piste ciclabili e stalli per le biciclette”.
Ogni città è un modello unico di mobilità sostenibile
Non esiste un modello di riferimento che può essere replicato in altri contesti e anche su scala nazionale le situazioni cambiano, e di molto, a seconda delle Regioni e delle singole città. “Se nelle grandi città cominciamo a vedere nuove soluzioni che vanno verso una maggiore sostenibilità, penso a Milano, Bologna, Firenze, Torino, quando si passa ad analizzare le piccole città, il quadro diventa più scoraggiante”.
I dati raccolti dai ricercatori della Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) e pubblicati nel rapporto “Per un’Italia sostenibile: l’SDSN Italia SDGs City Index 2018”, aiutano a verificare lo stato di attuazione delle politiche di sostenibilità così come sono state definite dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, in tutte le città italiane capoluogo di provincia. Tra i temi trattati c’è anche quello della mobilità. Salvo poche realtà virtuose come Bolzano o Cagliari, il resto dei capoluoghi di provincia italiani segna un evidente difficoltà proprio in questo settore.
Anche il contesto storico e geografico contribuisce a complicare, o, ad arricchire il quadro, favorendo o meno l’uso di determinate soluzioni, soprattutto nel campo della soft mobility. “Anche soluzioni che possono sembrare di impatto immediato perché offrono risposte dirette ad alcune specifiche criticità – spiega Noussan – possono, alla luce di ulteriori analisi ed approfondimenti, non essere così vantaggiose, come invece può sembrare. È il caso dell’auto elettrica che è una delle opzioni su cui molti produttori di automobili si stanno orientando. Sicuramente, un aumento del parco auto elettrico favorirà la riduzione dello smog e delle emissioni di CO2, ma se l’energia elettrica che alimenta le auto è prodotta bruciando carbone, allora questi benefici devono essere riconsiderati”.
Automobile, così il digitale promette la rivoluzione mobile
Le tecnologie digitali possono fornire un supporto a questo processo, favorendo un uso diverso dell’automobile. “Negli ultimi anni – ha spiegato Noussan – abbiamo visto nascere diverse proposte che sfruttano questo tipo di tecnologie e che vanno nella direzione di favorire nuovi servizi come per esempio le piattaforme di car–sharing e di car–pooling, che sulla carta dovrebbero favorire una riduzione del traffico veicolare nelle nostre città”. Uno studio appena pubblicato sulla rivista Science Advance e realizzato da ricercatori del Department of Civil Engineering, della University of Kentucky e della San Francisco County Transportation Authority, ha preso in esame i dati relativi al traffico di San Francisco, dove nel 2010 ha fatto il suo debutto la più famosa di queste applicazioni: Uber.
Scopo della ricerca era quello di verificare, dati alla mano, se le nuove Transportation Network Companies (TNC), avessero o meno un impatto rilevante sul traffico in particolare se ne avessero o meno favorito la decongestione. I risultati non sembrano incoraggianti. “I dati (vedi qui la mappa interattiva)– spiegano i ricercatori – sembrano indicare che dove operano le TNC le strade sono maggiormente congestionate. Abbiamo osservato alcune sostituzioni, ma in generale e almeno per quanto riguarda il traffico a San Francisco, le TNC aggiungono auto al traffico esistente invece di toglierlo”.
“Questi studi rafforzano dimostrano che il cardine per aumentare la sostenibilità dei sistemi di trasporto nelle nostre città dobbiamo fare perno sui sistemi di Trasporto Pubblico che possono farsi partecipi e protagonisti di questa transizione che passa anche attraverso le piattaforme digitali. Il Trasporto Pubblico deve essere alla base di futuri modelli integrati di mobilità per proporre un’alternativa sostenibile all’auto privata”. In altri termini si deve andare verso le cosiddette piattaforme “Mobility as a service” (Maas), ovvero una offerta integrata tra diverse soluzioni che vanno incontro alle esigenze degli utenti e che vengono offerte attraverso un’unica piattaforma digitale.
Esempi concreti: cosa fanno Colonia, Medellin, Helsinki e Hong Kong
Alcuni esempi di questo particolare tipo di approcci sono stati presentati da Noussan nel corso del suo intervento a Milano Arch Week. “A Colonia, in Germania, sono stati creati abbonamenti unici che permettono, oltre all’utilizzo dei normali mezzi, anche di un servizio di bike sharing e questo ha favorito un aumento del 15 % della vendita di abbonamenti”. Un servizio analogo che integra il servizio di trasporto tradizionale con diverse altre modalità di trasporto (auto, caricamento elettrico, bici) è quello realizzato a Vienna. Interessante poi il sistema che è stato sviluppato a Medellin in Colombia, il quale gira intorno a una rete di cabinovie che mettono in comunicazione diverse parti della città allo scopo di abbattere le barriere sociali.
Ad Hong Kong, dal 1997 una singola carta permette l’utilizzo di tutti i servizi con una percentuale del 92 % della popolazione che usa il trasporto pubblico locale. Molto interessante il caso di Helsinki, dove una società privata ha promosso una app che permette un’integrazione tra diversi mezzi di trasporto inclusi i taxi. Il sistema funziona attraverso una app che permette agli utenti di acquistare abbonamenti che forniscono diversi servizi a seconda delle tariffe. Il sistema privato in questo caso è stato aiutato dalle nuove norme in materia di trasporti che obbligano i gestori dei servizi pubblici locali a condividere con altri gestori il loro sistema di biglietteria.
Italia, a che punto siamo con la mobilità e intermodalità
“Anche in Italia si stanno vedendo progetti che vanno in questa direzione, ma si tratta per ora di un movimento che viene dal basso, in cui le città cercano di essere molto attive, ma non sono poi adeguatamente supportate dalle Regioni e dallo Stato”. I numeri dell’ultimo “Rapporto Mobilità degli italiani” elaborato dall’Istituto Superiore di formazione e ricerca sui trasporti (Isfort) sembrano registrare qualche cambiamento in atto. In particolare per quanto riguarda l’intermodalità, ovvero la propensione ad utilizzare diversi mezzi per raggiungere la propria destinazione.
“L’impennata della mobilità attiva – si legge nel rapporto – ha drenato spostamenti soprattutto all’auto, incrinandone il tradizionale ‘quasi monopolio’ nelle preferenze degli italiani. Infatti la quota modale delle “quattro ruote” scende nel 2017 al 58,6 % dal 65,3 % del 2016 (quasi 7 punti in meno), riallineandosi ai valori di inizio millennio. È inoltre da sottolineare che la percentuale dei viaggi in auto come passeggero sale al 12,3 % dall’8,5 % del 2016. Lo scorso anno quindi gli italiani sono andati di meno in automobile e più spesso lo hanno fatto come passeggeri e non come guidatori, un segnale indubbiamente molto positivo di razionalizzazione e ottimizzazione dell’uso del veicolo privato (una sorta di ‘car pooling auto–organizzato’). Considerando ora i soli spostamenti motorizzati, il peso del trasporto pubblico è salito nel 2017 al 14,2 % dal 13,4 % del 2016”.
Diverso invece il discorso per quanto riguarda le auto senza pilota. “Si tratta di una tecnologia che presenta ancora diversi punti da chiarire sotto il profilo normativo e questo ne rallenta anche l’implementazione su strada”, ha spiegato Noussan. Non è solo un discorso di come integrare queste auto nel quadro normativo – si pensi solo al discorso della responsabilità civile – ma anche tecnologico e pratico. “La cosa difficile è quella della interazione tra questi sistemi completamente automatizzati e quelli attuali che non lo sono. Credo sia una operazione piuttosto complessa e di difficile soluzione. Penso però che i veicoli a guida autonoma, potrebbero trovare una loro applicazione all’interno di ambiti particolari, come per esempio può essere negli aeroporti”.