"Dalla Corte Costituzionale è arrivata una decisione importante e positiva, che dichiara illegittimo il criterio di determinazione dell'indennità di licenziamento come previsto dal Jobs Act sulle tutele crescenti e non modificato nell'intervento del Decreto dignità. Nelle prossime settimane avremo modo di commentare nel dettaglio la decisione, tuttavia quanto stabilito oggi dalla Corte, a seguito di un rinvio del Tribunale di Roma su una causa per licenziamento illegittimo promossa dalla Cgil, è un segnale importante per la tutela della dignità dei lavoratori". È soddisfatta Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, soddisfatta per la decisione della Consulta, che ha ritenuto illegittimo il rigido criterio di quantificazione del risarcimento spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, basato esclusivamente sull'anzianità aziendale. "Un sistema - sottolinea la leder della Cgil - irragionevole e ingiusto, che calpesta la dignità del lavoro e che permette di quantificare preventivamente il costo che un'azienda deve sostenere per 'liberarsi' di un lavoratore senza avere fondate e reali motivazioni. Vale a dire quello che potremmo definire la rigida monetizzazione di un atto illegittimo".
Quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, conclude Camusso, "può e deve riaprire una discussione più complessiva sulle tutele in caso di licenziamento illegittimo per le quali, per la Cgil, è fondamentale il ripristino e l'allargamento della tutela dell'art.18. Come proposto nella 'Carta dei diritti', non è rinviabile la definizione di un sistema solido e universale di tutele nel lavoro, superando la logica sbagliata che ha guidato le riforme del mercato del lavoro degli ultimi anni, ultima il Jobs Act, che hanno attaccato il sistema delle tutele e dei diritti, svilendo il ruolo del lavoro nel nostro Paese".
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Cosa prevede l'articolo 3
Di fatto, per il lavoratore licenziato in modo ingiusto il Jobs act prevede un'indennità e dunque un risarcimento di due mesi di stipendio per ogni anno di anzianità, entro un limite minimo di quattro mesi di stipendio e massimo di ventiquattro mesi. Se per esempio fosse stato giudicato illegittimo un licenziamento di un lavoratore a tutele crescenti con 4 anni di servizio, questi avrebbe ricevuto un risarcimento di 8 mesi di stipendio. L'articolo 3 recita "salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.
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Le modifiche del decreto dignità
Il decreto Dignità, approvato ad agosto scorso, ha modificato solo una minima parte dell'articolo: è stato rialzato il limite minimo e massimo dei risarcimenti rispettivamente a 6 a 36 mesi. L'impianto generale non è stato cambiato: dunque l'indennità è legata all'anzianità di servizio. E la Consulta contesta proprio questo: la previsione di un'indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio è contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza. (
A sollevare le questioni davanti alla Consulta, che ieri le ha esaminate dopo un'udienza pubblica, era stata la sezione lavoro del tribunale di Roma: con il suo atto di rimessione alla Corte, il giudice della Capitale avanzava dubbi su diversi punti del 'Jobs Act'. In particolare, secondo il tribunale, il contrasto con la Costituzione non veniva ravvisato nell'eliminazione della 'tutela reintegratoria' - salvi i casi in cui questa è stata prevista - e dell'integrale monetizzazione della garanzia offerta al lavoratore, quanto in ragione della disciplina concreta dell'indennità risarcitoria, destinata a sostituire il risarcimento in forma specifica, e della sua quantificazione.
La Corte costituzionale, dunque, ha dichiarato illegittimo l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti - il Jobs Act - nella parte, non modificata dal decreto dignità, che determina in modo rigido l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, secondo la Corte, la previsione di un'indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è "contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro" sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. Tutte le altre questioni sollevate relative ai licenziamenti sono state dichiarate inammissibili o infondate. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
Di Maio: assicureremo tute idonee
"Siamo al lavoro per assicurare idonee tutele ai lavoratori che nei prossimi giorni si troveranno in drammatiche situazioni di difficoltà perché il partito che doveva difenderli ha eliminato con il Jobs act diritti e tutele. A smantellare il Jobs Act ha iniziato comunque la Corte costituzionale che oggi ha stabilito l'illegittimità sugli indennizzi". Lo ha detto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di maio, rispondendo al question time. "Bene aveva fatto il Decreto dignità andando nella direzione stabilita dalla Consulta, speriamo oggi coloro i quali vanno nella direzione opposta si rendano conto degli errori commessi", ha aggiunto Di Maio.
"Nessun lavoratore sarà lasciato indietro, le assurde storture causate dal Jobs act le sistemeremo e cominceremo con il dare risposta a quei 180.000 lavoratori" , spiega Luigi Di Maio, rispondendo al question time sulle iniziative volte a garantire la continuità nell'erogazione dei sussidi di disoccupazione nelle aree di crisi. "Siamo al lavoro in vista dell'imminente scadenza degli ammortizzatori sociali. Per tutte queste scadenze daremo garanzia che si possano rinnovare, torneremo a un'epoca pre-Jobs act che ha tolto un sacco di diritti ai lavoratori".
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti - il Jobs act - nella parte, non modificata dal decreto dignità, che determina in modo rigido l'indennità che spetta al lavoratore ingiustificatamente licenziato.