Il tasso di occupazione degli immigrati in Italia è pari al 60%, ben al di sotto della media OCSE che è del 67%, ma è addirittura superiore a quello dei nativi (58%). Lo dice il rapporto "Settling In 2018: Indicators of Immigrant Integration" che oggi il capo della Direzione per l'occupazione, il lavoro e gli affari sociali, Stefano Scarpetta, presenterà a Marrakech con il Commissario europeo Dimitris Avramopoulos e il ministro per l'immigrazione, rifugiati e cittadinanza del Canada, Ahmed Hussen, un ex rifugiato somalo arrivato in Canada all'età di 16 anni.
Tuttavia va detto che, sebbene l'integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro appaia inizialmente positiva, molti di loro sono impiegati in lavori poco qualificati e sottopagati e hanno scarse possibilità di accedere a lavori più qualificati. Tanto è vero che tra gli immigrati con basse qualifiche il tasso di occupazione è del 55%, mentre tra i nativi è del 41%.
Il ruolo del lavoro nero
Nell'analisi Ocse, il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da un forte dualismo e da un'elevata percentuale di lavori atipici e precari. I dati suggeriscono che gli immigrati hanno beneficiato meno delle passate riforme del mercato del lavoro che miravano, tra gli altri obiettivi, ad inserire nell'occupazione formale i lavoratori precedentemente impegnati in posti di lavoro informali. Questo è da ricondurre alla loro concentrazione in settori come l'edilizia e i servizi assistenziali, così come in piccole aziende a conduzione familiare, dove l'informalità del lavoro è più difficile da contrastare.
Infatti, in un'Italia che è il Paese dell'Ocse con la più alta concentrazione di manodopera immigrata in particolari settori di attività economica e in alcuni specifici gruppi professionali, tra gli uomini un immigrato su due lavora nel settore edile e manifatturiero e tra le donne immigrate una su due lavora nel settore dei servizi di assistenza alla persona. Viene preso in esame anche il rischio povertà relativa, ovvero avere un reddito inferiore al 60% di quello che fa media: risulta del 38% e sale al 40% tra gli extra comunitari, la percentuale più alta dopo la Grecia, contro una media Ocse che è del 29%.
Il nodo dell'integrazione scolastica
Dal rapporto "Settling In 2018" emerge poi il problema forte per l'Italia rappresentato dall'integrazione dei figli degli immigrati, sempre più numerosi nel mercato del lavoro. Per questo gruppo, l'Ocse reputa che sia necessario un supporto più specifico con un orientamento alla scelta del percorso educativo, come pure è necessario definire gli incentivi adatti per evitare l'abbandono scolastico precoce. C'è in proposito il dato secondo il quale i quindicenni nati in Italia con parenti stranieri hanno risultati scolastici inferiori ai figli di nativi ma decisamente superiori a quelli di coloro che sono nati all'estero, l'integrazione funziona dalla prima generazione.
Tra la popolazione in età attiva, la percentuale di immigrati con titolo di studio superiore è però solo del 13%, contro una media Ocse del 37%, mentre nella sola Germania è del 23% e in Francia del 29%. Purtroppo in Italia molti giovani della fascia 15-34 anni con genitori stranieri sono NEET, cioè senza occupazione e non coinvolti nel processo formativo: il dato è del 26% con scarse differenze tra nati all'estero e nati in Italia, mentre tra gli italiani il tasso è del 20%.
"Gli immigrati - dice Stefano Scarpetta nella sua relazione a Marrakech - possono essere una risorsa preziosa per il nostro Paese se opportunamente integrati. Con il rapido invecchiamento della popolazione, in Europa circa tre quarti dell'aumento della forza lavoro è dovuta ad immigrati. L'Italia, però non riesce ad attirare talenti visto che solo un immigrato su otto in età lavorativa ha una laurea". Questo anche perché "gli immigrati sono sottoccupati in attività che non riconoscono a pieno le loro competenze".
La scuola diventa quindi "un fattore di integrazione visto che i risultati scolastici dei figli di immigrati sono simili a quelli dei figli di italiani. Ma la transizione scuola-lavoro è molto piu' difficile per i figli di immigrati se si pensa che il 26% dei 15-34enni è NEET". Per ridurre le tensioni sociali e aumentare l'impatto economico positivo, "occorre una politica attiva della migrazione e dell'integrazione degli immigrati regolari e una lotta al lavoro informale".