Si fa presto a dire “fuori Huawei”. Se gli Stati Uniti non hanno mai aperto al gruppo cinese, in Europa il discorso è diverso: c'è un solido intreccio fatto di investimenti, progetti, joint venture. Chiaro: se ci fossero, le esigenze di sicurezza nazionale avrebbero la priorità. Ma rinunciare a Huawei non sarebbe una decisione indolore. Ecco perché.
Quanto pesa Huawei
Secondo dati ottenuti da Agi, nel 2017 il fatturato di Huawei in Europa, Medio Oriente e Africa ha raggiunto i 164 miliardi di yuan. Cioè 24 miliardi di dollari. Sono risorse che finiscono nelle casse della società, è vero. Ma il gruppo, tra servizi e merce, ha speso in Europa 4,8 miliardi di dollari nel 2016 e 5,1 miliardi nel 2017. Dal 2009 il totale sfiora i 31 miliardi di dollari. Una cifra equivalente dovrebbe essere spesa tra il 2017 e il 2021. Non è possibile conoscere la distribuzione anno per anno. Ma si può comunque prendere la calcolatrice e fare qualche calcolo indicativo.
Nel quadriennio 2018-2021, Huawei dovrebbe versare ai fornitori 26,6 miliardi. Cioè circa 6,6 miliardi l'anno. Nell'improbabile ipotesi che tutti gli Stati tagliassero fuori il gruppo all'inizio del 2019, rinuncerebbero a 20 miliardi di dollari. Risorse che si traducono in occupazione. Alla fine del 2017, la forza lavoro di Huawei in Europa superava le 11.000 unità, 2.000 delle quali impegnate nella ricerca e sviluppo. Il gruppo stima di ampliarsi a 14.900 entro il 2020. Riprendendo la calcolatrice, sono in media 1300 nuovi posti creati ogni anno. Tornando alla fanta-economia, se tutta Europa bandisse Huawei il prossimo primo gennaio, rinuncerebbe a qualcosa come 2600 posti di lavoro. Per il 70% (cioè pià di 1800) sarebbe personale locale.
Sedi e collaborazioni: la rete
La rete di Huawei in Europa è più complessa di quanto non dicano i dati finanziari. Coinvolge oltre 3100 fornitori, 300 partner, 170 istituzioni accademiche, 300 ricercatori ed esperti e 230 progetti, una decina dei quali sotto l'ombrello di Horizon 2020, il programma di finanziamento della Commissione europea che sostiene ricerca e innovazione. In Europa Occidentale, la base è Dusseldorf, in Germania. Da qui si gestiscono le attività di 17 Paesi, 21 sussidiarie e 3 controllate. Nell'Europa Nord-Orientale, il quartier generale è Varsavia, in Polonia. È il centro direzionale per 26 Stati, 22 sussidiarie e una controllata. Cui si aggiunge una galassia di presidi tra magazzini, centri per l'assistenza e per la ricerca e sviluppo: sono 18 in 8 Paesi (Germani, Belgio, Italia, Regno Unito, Francia, Svezia, Irlanda e Finlandia).
Huawei e il 5G in Italia
Huawei è uno dei pilastri della sperimentazione del 5G in Italia. È presente in due dei tre progetti scelti dal Mise nell'agosto 2017. È quindi tra le società che si sono aggiudicate un bando pubblico. Il progetto BariMatera5G è infatti targato Tim, Fastweb e Huawei. Prevede un investimento di oltre 60 milioni di euro in 4 anni e il coinvolgimento di 52 partner. Il piano punta a a coprire con il 5G il 75% delle due città entro la fine del 2018, per arrivare a una copertura completa nel 2019. Il progetto 5GMilano prevede un investimento di 90 milioni in quattro anni. È firmato da Vodafone, ma Huawei è uno dei fornitori.
Solo la terza sperimentazione, quella su Prato e L’Aquila condotta da Wind Tre e Open Fiber, non coinvolge il gruppo cinese. Senza dimenticare la crescente presenza di Huawei nel nostro Paese: al centro di Segrate (aperto nel 2008) si lavora sul “microwave”, cioè sullo sfruttamento delle frequenze per la connettività. Tra poche settimane il gruppo raddoppierà: all'inizio del 2019 arriverà, a pochi passi da Piazza Duomo, un nuovo centro di ricerca e sviluppo concentrato sul design. E poi ci sono i centri per l'innovazione aperti in collaborazione con Tim (l'ultimo, a Catania, annunciato a luglio), Vodafone e la Regione Sardegna.
Huawei e il 5G in Europa
In Europa Huawei ha avviato progetti internazionali per accelerare lo sviluppo delle nuove reti. Nel 2015 ha aderito a Metis, un progetto finanziato dall'Ue con quasi 8 milioni di euro con l'obiettivo di integrare diverse tecnologie basate sul 5G. Huawei è in compagnia di operatori e società tecnologiche tra le più importanti, d'Europa e non solo. Compresa Telecom Italia. Il gruppo cinese fa parte anche del 5G-PPP (5G Infrastructure Public Private Partnership).
È un'iniziativa da 1,4 miliardi di euro che, come dice il nome stesso, ha un braccio pubblico (la Commissione europea) e uno privato (riunito nella 5G Infrastructure Association). Le società che ne fanno parte eleggono un consiglio, del quale al momento fa parte anche Huawei, accanto – tra gli altri – a Nokia, Ericsson, Tim e Orange. Nel 2015, il gruppo di Shenzhen ha battezzato il “5G Innovation Centre”, un centro per l'innovazione in collaborazione con l'università di Surrey, in Inghilterra. Ospita decine di ricercatori e ha attirato investimenti per 70 milioni di sterline (78 milioni di euro). Sempre nel 2015, Huawei ha varato il progetto “5G VIA”, mirato a testare l'impatto delle nuove reti su specifici settori. È sostenuto dallo Stato della Baviera e dalla città di Monaco. L'intreccio tra il gruppo cinese e la Germania è particolarmente stretto.
Non a caso in questi giorni Berlino è stato tra i governi più cauti sul futuro delle relazioni tra Huawei e l'Europa. Sempre in Germania ha sede la 5G Automotive Association, un'associazione che “sviluppa, testa e promuove” mobilità connessa, guida autonoma, soluzioni per la sicurezza stradale. È nata nel 2016. Accanto a Huawei ci sono Audi, Bmw, Daimler, Ericsson, Intel, Nokia e Qualcomm. Insomma, la società cinese non è un pezzo di lego appiccicato all'Europa e staccabile in un amen. Huawei è incastonato nel continente. Ed estrarlo potrebbe essere complesso e costoso.