Nato a Roma 70 anni fa (da compiere il 28 settembre) si è laureato nel 1971 in Giurisprudenza alla Sapienza, parla inglese e francese. Giovanni Tria, possibile futuro ministro dell'Economia del governo giallo-verde, è preside della facoltà di Economia dell'Università di Tor Vergata oltre a essere stato presidente della Scuola Nazionale dell'amministrazione. Commentatore delle vicende economiche sul sito formiche.net, il professore ha sicuramente le idee chiare.
Pochi giorni fa criticava nemmeno tanto velatamente il contratto Lega-M5s proprio per la sua vaghezza in termini di coperture. Un libro dei sogni, insomma, che se andrà a via XX settembre gli toccherà mettere in pratica. "In genere - scriveva Tria - la realtà delle cifre ridimensiona spesso la visione e fino ad oggi non è emerso un accordo chiaro su quali siano i paletti di bilancio che si vorranno rispettare. Se le compatibilità di bilancio del programma dipenderanno da un improbabile mutamento delle regole europee (abbiamo già avuto un governo che è partito con il proposito di battere i pugni sul tavolo a Bruxelles) o se queste regole saranno forzate".
Ma cosa ci si può aspettare dal (forse) futuro ministro dell'Economia?
Aumentare l'Iva per finanziare sla flat tax
Ebbene una cosa è abbastanza chiara e forse farà saltare sulla sedia qualcuno. Tria infatti si è dichiarato favorevole a far scattare le clausole di salvaguardia per finanziare la flat tax. Quindi aumento dell'Iva per abbassare le tasse. Un mantra che Tria ripete da anni: "Come ho sostenuto da oltre un decennio e non da solo, ritengo che in Italia si debba riequilibrare il peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette spostando gettito dalle prime alle seconde", scriveva sempre su Formiche.net. Insomma una cosa non da poco. Per il professore si tratta di "una scelta di policy sostenuta da molto tempo anche dalle raccomandazioni europee e dell'Ocse perché favorevole alla crescita e non si capisce perché non si possa approfittare dell'introduzione di un sistema di flat tax per attuare un'operazione vantaggiosa nel suo complesso".
Sulla flat tax del contratto gialloverde diceva: "Si parla di partire con una doppia aliquota. La questione è tecnicamente complessa ma ciò che conta è avviare il processo di semplificazione del sistema e la sua sostenibilità dipende non tanto dall'aliquota unica o le due aliquote, ma dal livello delle aliquote. La scommessa, secondo i sostenitori della riforma, è che essa porti a effetti benefici sulla crescita e quindi generi quel gettito fiscale aggiuntivo che dovrebbe compensare, almeno in parte, anche il costo iniziale della riduzione delle aliquote".
Sul reddito di cittadinanza
Qualche dubbio in più sul reddito di cittadinanza: "Non sappiamo ancora cosa sarà questo reddito di cittadinanza e, quindi, le risorse richieste e l'ampiezza del pubblico dei beneficiari. Esso sembra oscillare tra una indennità di disoccupazione un poco rafforzata, (e tale da avvicinarla a sistemi già presenti in altri paesi europei, come ad esempio in Francia, certamente piu' generosa dell'Italia con chi perde il lavoro) e magari estesa a chi è in cerca di primo impiego, e un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l'altra consuma".
Ma a domanda che tutti si fanno in queste ore è: ma il probabile futuro ministro dell'Economia Giovanni Tria vuole uscire dall'euro? La risposta è no. I mercati possono stare tranquilli. Tuttavia il preside della facoltà di Economia di Tor Vergata ha un atteggiamento critico nei confronti dell'Eurozona e in particolare della Germania. E in questo concorda con Paolo Savona, colui che ha fatto fallire la nascita del governo Lega-M5S, domenica scorsa, proprio per i suoi dubbi sulla moneta unica. "Non conviene" uscire dall'euro ha detto in più di un'occasione Tria ma l'Europa deve essere cambiata.
L'Italia nell'euro, la Germania o riduce il surplus o esca lei
In un articolo apparso sul sito Formiche.net, il professore concordava con Savona e La Malfa circa "l'uscita della Germania dall'euro perché il suo surplus della bilancia commerciale non è compatibile con il regime di cambi fissi che vige nell'Eurozona, o perlomeno accettare un passaggio ad un regime di cambi fissi aggiustabili. Se un paese come la Germania - scriveva Tria - mantiene per anni un surplus tra il 6 e l'8% del Pil senza che la sua valuta si apprezzi rispetto a quella di paesi in deficit significa che questo strumento di riequilibrio economico di mercato e' stato eliminato, e non che si è eliminata una policy sbagliata. Sostanzialmente questa è la situazione all'interno dell'eurozona".
Non si discute quindi, osservava, "di ripescare una possibile politica furbesca dei paesi in deficit, ma del fatto che questo mezzo di riequilibrio di mercato oggi non c'è. Ma se questo 'prezzo' non è in funzione, per un intervento di policy, perché tale è la decisione della moneta unica, dovrebbe potersi usare qualche altro strumento di riequilibrio non di mercato, ad esempio la politica fiscale.
Ma anche questa ci è attualmente interdetta, anch'essa è vista in ogni circostanza come droga, e i contribuenti tedeschi non accettano una solidarietà fiscale".
"Peraltro, dal 2008 ci dicono che la risposta dovrebbe essere la deflazione interna, ma è evidente che questa c'è stata ma non ha funzionato, anche perché promuovere la deflazione in paesi con alto debito, e non parliamo solo dell'Italia, è un evidente suicidio.
Forse è ora di abbandonare molti tabù che hanno impedito, come rilevano La Malfa e Savona, almeno di analizzare i problemi e prepararsi a soluzioni alternative", concludeva Tria.