È il bene comune più prezioso e vitale, ma anche il più sottovalutato, sprecato e inquinato. Ecco perché all’acqua l’Onu ha dedicato una giornata mondiale che si celebra ogni anno il 22 marzo. L’obiettivo è quello di aumentare la consapevolezza sull’importanza dell’acqua e sulla sua tutela. Perché la percezione è che l’acqua sia una risorsa rinnovabile all’infinito, ma se non si adottano le strategie opportune la realtà sarà presto molto diversa.
Quanta ne abbiamo a disposizione?
Il 70 per cento circa del corpo umano è fatto d’acqua e il 70 per cento della superficie terreste ne è ricoperta. L’acqua crea un ambiente che sostiene e nutre piante, animali ed esseri umani, rendendo la Terra in generale perfetta per la vita.
Ma la prima cosa da mettere a fuoco - si legge in un articolo dell’Economist ripreso da Internazionale - è che il dato del 70 per cento è piuttosto irrilevante ai fini del dibattito. Fa riferimento al mare, che comprende il 97,5 per cento di tutta l’acqua sul pianeta Terra ed è salato.
Un ulteriore 1,75 per cento di acqua è ghiacciata, ai poli, sotto forma di ghiacciai o permafrost. Perciò il mondo deve contare soltanto sullo 0,75 per cento dell’acqua disponibile sul pianeta, quasi tutta in falde acquifere sotterranee, nonostante il 59 per cento circa del suo fabbisogno venga soddisfatto dallo 0,3 per cento di acqua di superficie.
Quanta ne consumiamo
L’utilizzo globale di acqua è sei volte maggiore di quanto non lo fosse un anno fa, e si prevede che entro il 2050 sarà ulteriormente aumentato del 20-50 per cento. Il volume di acqua utilizzato, circa 4.600 chilometri cubi all’anno, è già prossimo al livello limite che è possibile consumare senza che le riserve idriche si riducano drasticamente.
Un terzo dei più grandi sistemi di falde acquifere al mondo è a rischio di prosciugamento. Tre fattori, poi, continueranno a far aumentare la richiesta di acqua: la popolazione, la ricchezza e il cambiamento climatico. Nel 2050 il numero di abitanti del pianeta dovrebbe aumentare, attestandosi tra i 9,4 e i 10,2 miliardi, rispetto ai poco meno di 8 miliardi attuali.
Gran parte dell’aumento si registrerà in aree del mondo che soffrono già di carenza idrica, soprattutto Africa e Asia. Le persone avranno stili di vita che comporteranno un maggiore consumo di acqua e si sposteranno nelle città, molte delle quali si trovano in aree esposte a un grosso rischio di carenza idrica.
Chi ne soffre
Secondo l’ultimo Rapporto di sviluppo sull’acqua delle Nazioni Unite, già un quarto dell’umanità, ossia 1,9 miliardi di persone, il 73 per cento delle quali in Asia, vive in aree in cui l’acqua potrebbe raggiungere elevati livelli di scarsità (un dato da confrontare secondo altri studi con i 240 milioni di persone di un secolo fa, pari al 14 per cento della popolazione).
E il numero di persone che vivono in gravi condizioni di carenza idrica aumenterà fino a 3,2 miliardi entro il 2050, o a 5,7 miliardi se si considera la variazione stagionale. Queste persone non si troveranno solo nei Paesi poveri. Anche Australia, Italia, Spagna e persino Stati Uniti dovranno affrontare gravi carenze di acqua.
L’acqua italiana, sempre più maltrattata
In base ai monitoraggi eseguiti per la direttiva Quadro Acque - si legge sull’ultimo rapporto di Legambiente “Buone e cattive acque” - “lo stato attuale dei corpi idrici italiani vede solo il 43% dei 7.494 fiumi in ‘buono o elevato stato ecologico’, il 41% è al di sotto dell’obiettivo di qualità previsto e ben il 16% non è stato ancora classificato. Ancora più grave la situazione dei 347 laghi, di cui solo il 20% è in regola con la normativa europea mentre il 41% non è stato ancora classificato”.
Cosa fare, allora? La tutela della risorsa idrica passa anche attraverso “una corretta depurazione dei reflui fognari e il nostro Paese sembra che non riesca ad uscire da questa persistente emergenza. I dati Istat raccontano che nel 2015 sono 1,4 i milioni di abitanti non serviti da alcun servizio di depurazione, con situazioni maggiormente critiche in Sicilia, Calabria e Campania. Ma gli impianti, ove presenti, troppo spesso non garantiscono conformità con la direttiva europea sulle Acque Reflue”.
Il 37% delle acque superficiali italiane, inoltre, non raggiunge gli obiettivi di qualità della Direttiva Acque a causa dell'inquinamento da fertilizzanti, pesticidi e sedimenti inquinanti prodotti da aziende agricole e delle criticità che derivano dalle estrazioni idriche per l’irrigazione. “I nitrati restano un problema rilevante, specie nelle regioni più critiche, come sottolinea anche la Commissione Europea con la sua lettera di costituzione in mora (procedura d’infrazione 2018/2249), così come i pesticidi, presenti nel 67% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 34% di quelli nelle acque sotterranee”.