L’Italia ha recuperato tutti i posti di lavoro persi con la crisi economica, ma in un quadro completamente mutato. È questa la cornice in cui il Sole 24 Ore in edicola racconta una ricerca della Fondazione Rodolfo De Benedetti sui lavoratori dell’economia dei lavoretti, o gig economy. Tra i 23 milioni di occupati in Italia, ritornando al livello del 2009, ci sono 800 mila occupati in più nei servizi, che ‘compensano’ i 900 mila posti di lavoro persi dall’industria.
Ed è tra i lavori creati nei servizi che si annidano i 700 mila lavoratori della gig economy in Italia, secondo i dati della fondazione. Di questi 150 mila ‘vivono’ di lavoretti, o meglio, sono riusciti a fare di questi lavori la propria unica fonte di reddito.
Lavori tramite app, o a chiamata, o ancora lavori dati e ottenuti online. Ci sono i rider, certo, ma anche baby sitter, idraulici che decidono di accettare lavori anche tramite piattaforme, addetti per le pulizie. E sono questi la stragrande maggioranza dei ‘gig-worker’. Perché di rider, nell’”ardua impresa” della Fondazione De Benedetti, se ne sono contati ‘appena’ 10 mila su un fenomeno che riguarda 700 mila persone.
Quanto si guadagna
Il 54% di loro sono uomini (46% donne). Quelli sotto i 40 anni sono circa il 49% del totale, di cui il 22% ha tra i 18 e i 29 anni. Nel 10% dei casi il contratto di queste persone è il co.co.co., nel 21% a chiamata e “non mancano partite iva i nuovi voucher”. Di questi, uno studente per guadagnare qualcosa tra un esame e l'altro lavora 1-4 ore alla settimana per una paga media oraria di 12 euro.
Un lavoratore più grande, over 40, è impiegato in lavoretti come secondo impiego, ma comunque legati alla propria professione principale, riuscendo a portare a casa una media di 343 euro al mese, lavorando 10, 14 ore a settimana in più, mentre chi fa di questi lavori la propria attività principale in media guadagna 839 euro al mese, lavorando da 20 a 30 ore la settimana.
Che tipo di contratto
Come ricorda il Sole 24 Ore, “Individuare il giusto contratto non sembra facile, anche se una bussola potrebbe essere quella di considerare le modalità concrete di svolgimento del lavoro”, ovvero se “una persona mette a disposizione la propria energia lavorativa per eseguire gli ordini che di volta in volta sono ricevuti, senza possibilità di sottrarsi, oppure se il vincolo riguarda solo l’esecuzione di un incarico concordato preventivamente tra le parti”.
È questo discrimine tra subordinazione e autonomia. Ed è questo uno degli aspetti su cui dovranno confrontarsi il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio e aziende del food delivery e rider al tavolo di confronto voluto dal ministero. La normativa che ne uscirà potrebbe diventare il modello per tutta una serie di attività, di cui i rider, secondo il rapporto, sono poco più dell’1%.