Giovanni Castellucci è uno di quei manager che trasforma in oro tutto ciò che tocca, anche per se stesso, è vero, con stipendi che si fa fatica persino ad immaginare di poter ricevere (5,853 milioni lordi secondo il sito money.it), ma tutti meritati, dal primo all’ultimo centesimo, considerati gli utili che riesce a portare a casa. Atlantia, quindi Autostrade, non è la prima azienda che il dirigente di Senigallia, classe ’59, fa volare. Si, perché l’ondata di visibilità, chiaramente negativa, post crollo del ponte Morandi, interrompe un trend (in realtà inclina sarebbe la parola più esatta) da 6 miliardi di utili l’anno per un’azienda che dire che sia leader del settore suonerebbe quasi eufemistico.
Una carriera formidabile
Castellucci viene “rubato” alla Barilla nel 2001, diventa amministratore delegato del gruppo nel 2006, quando subentra a Vito Gamberale, ora a capo di quella Iterchimica che con il suo asfalto al grafene proverà a salvare Roma dall’incubo delle buche, quando questo si oppone alla fusione con la spagnola Abertis, multinazionale spagnola che opera in infrastrutture e telecomunicazioni, fusione (ma sarebbe meglio definirla acquisizione) ancora in ballo fino al giorno prima la tragedia di Genova. Diventa qualcosa in più di un semplice manager, diventa l’uomo di fiducia della famiglia Benetton, un gruppo che, come scrive Milena Gabanelli sul Corriere della Sera “gestisce autostrade a pedaggio anche in altri Paesi e gli aeroporti di Fiumicino, Ciampino, Nizza, Cannes e Saint Tropez; il valore di Borsa (capitalizzazione) è di 15,4 miliardi (ma era 20,5 miliardi una frazione di secondo prima), il fatturato 2017 di 6 miliardi.
Castellucci ha una lunga serie di poteri, a firma singola, delegati dal consiglio di amministrazione. Dal verbale del cda leggiamo che con una sua semplice firma può stipulare o risolvere contratti da 5 milioni, licenziare, assumere o promuovere, stipulare contratti di consulenza da 300 mila euro, ecc. Insomma è il capo-azienda, il principale responsabile della gestione del gruppo”. Giovanni Castellucci percepisce uno stipendio di circa 400 mila euro al mese, al quale bisogna aggiungere i bonus per i traguardi finanziari raggiunti, scrive il Corriere.
La famiglia Benetton lo ha blindato, quando infatti i cinesi di Silk Road e il gigante assicurativo Allianz nel 2017 acquistano il 12% della società alla modica cifra di 1,7 miliardi, nonostante riescano a fare entrare nel cda ben due rappresentanti, nell’accordo si specifica che la scelta di un eventuale licenziamento dell’amministratore delegato spetta esclusivamente ad Atlantia; e nel caso, abbastanza remoto, che si decidesse davvero di revocare l’incarico a Castellucci o, come si legge sul contratto, avvenga una “riduzione dei poteri o degli emolumenti fissi/variabili”, quest’ultimo riceverebbe all’istante un’indennità di circa 11 milioni di euro. Cifra consistente anche per chi, da quando ha assunto l’incarico, ne ha portati a casa circa 40.
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Ma, ripetiamo, l’ipotesi appare lontanissima; anche adesso che, raggiunto da un avviso di garanzia nell’ambito dell’indagine sul crollo del ponte Morandi (un atto forse dovuto), tutto sommato un cambio della guardia risulterebbe quasi naturale in qualsiasi società, specie quotata in Borsa, specie subissata di accuse che minano l’andatura sul mercato nonché l’immagine stessa della società, che risulta ufficialmente responsabile della morte di 43 persone e sull’orlo di perdere l’accordo di concessione con il governo italiano. Una scelta che perlomeno risulterebbe utile per calmare gli animi degli azionisti e rendere più semplice la gestione politica di una vicenda altamente delicata. Castellucci in queste settimane si è battuto come un leone per chiarire che tutto il board di amministrazione della società non poteva essere considerato responsabile di quanto accaduto, così come ha tenuto a precisare le ragioni per cui Autostrade non può essere tenuta fuori dalla ricostruzione.
Le pressioni sul numero uno di Autostrade e di Atlantia sono se possibile ancora aumentate negli ultimi giorni, dopo la pubblicazione della relazione tecnica della Commissione del Mit (il ministero delle Infrastrutture) sulle cause che hanno prodotto il crollo del Ponte Morandi, il 14 agosto.
La relazione tecnica del Mit
Nella relazione resa nota il 24 settembre, la Commissione ha stabilito che la causa prima del crollo del Ponte Morandi a Genova non è stata tanto la rottura di uno o più stralli, quanto quella di uno dei restanti elementi strutturali (travi di bordo degli impalcati tampone o impalcati a cassone) la cui sopravvivenza era condizionata "dall'avanzato stato di corrosione presente negli elementi strutturali". I tecnici hanno evidenziato che "non è documentata alcuna cura per evitare che, durante la posa in opera degli elementi di sostegno dei carroponti, elementi vincolati alle travi di bordo, non vengano tranciati, in toto o in parte, le armature lente e precompresse degli elementi strutturali originari". Accuse durissime. Che naturalmente andranno dimostrate in sede giudiziaria, ma che certamente tirano in ballo indirettamente le responsabilità per così dire 'politiche' di chi ha guidato la società in questi anni.
Secondo il Mit, nel progetto esecutivo di intervento di Autostrade sulla manutenzione del ponte Morandi sono contenuti valori di degrado "del tutto inaccettabili, cui doveva seguire, ai sensi delle norme tecniche vigenti, un provvedimento di messa in sicurezza improcrastinabile". Ancora:
"Dalle informazioni a disposizione di questa Commissione non fu invece assunto alcun provvedimento con tali caratteristiche", si aggiunge. Inoltre, conclude la Commissione, "tale informazione di evidente enorme importanza non era secondo quanto riferito dal personale dirigenziale Aspi udito a loro conoscenza, sebbene interessati a vario titolo alla gestione del tronco, alle valutazioni di sicurezza, alle manutenzioni ed elaborazione ed approvazione dei relativi progetti" ."La procedura di controllo della sicurezza strutturale delle opere d'arte documentata da Aspi, basata sulle ispezioni, è stata in passato, ed è tuttora inadatta al fine di prevenire crolli e del tutto insufficiente per la stima della sicurezza nei confronti del collasso".
La valutazione di sicurezza del viadotto Polcevera richiesta ad Autostrade per l'Italia "non è stata effettuata", hanno scritto i tecnici del Mit nella relazione. Aspi "era tenuta entro il marzo 2013 a effettuare le valutazioni di sicurezza del viadotto Polcevera (e di tutte le opere d'arte strategiche o rilevanti). Da questa valutazione, se effettuata correttamente, sarebbe scaturita la (miglior possibile) stima della sicurezza strutturale rispetto al rischio crollo. Nella corrispondenza tra la Dgvca e Aspi quest'ultima afferma in data 23 giugno 2017 di aver effettuati tale valutazione. Nei documenti richiesti e acquisiti da questa Commissione, tale valutazione non è, alla data di consegna della presente relazione, invece stata effettuata".
"Aspi, pur a conoscenza di un accentuato degrado del viadotto e in particolare delle parti orizzontali di esso che appalesavano deficit strutturali, come rilevato nel corpo della relazione, non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al loro immediato ripristino e per di più non ha adottato alcuna misura precauzionale a tutela dell'utenza"
La commissione ha sottolineato che è rimasto "in sostanza" inattuato "il principio di coerenza nella messa in sicurezza di trati omogenei di opere d'arta auspicato dal Consiglio superiore nel già citato voto relativo alla messa in sicurezza di viadotti autostradali". "Le misure adottate da Aspi ai fini della prevenzione" sul viadotto Morandi si sono dimostrate "inappropriate e insufficienti considerata la gravità del problema".
La replica formale di Aspi al Mit
A stretto giro di posta, due giorni fa, è arrivata la replica della società guidata da Castellucci, che ha affidato ad una nota le contestazioni alla relazione del ministero. Contestazioni che per Autostrade "non possono che ritenersi mere ipotesi ancora integralmente da verificare e da dimostrare, considerando peraltro che il comportamento della Concessionaria è stato sempre pienamente rispettoso della legge e totalmente trasparente nei confronti del Concedente". Per la società concessionaria la relazione del Mit "non tiene in alcun conto gli elementi di chiarimento forniti dai tecnici della Concessionaria nel corso delle audizioni rese su richiesta della Commissione. Inoltre i tecnici della società non hanno avuto finora la possibilità di accedere ai luoghi sottoposti a sequestro da parte della Procura di Genova e quindi di svolgere le analisi e le indagini necessarie per ipotizzare dinamiche e cause del crollo, che peraltro non vengono chiarite neanche dalla Commissione (i cui membri hanno avuto, invece, libero accesso ai luoghi)".
Per quanto riguarda la mancanza di interventi di manutenzione contestata alla società, nella nota diffusa ai media Aspi ricorda di aver speso circa 9 milioni di euro negli ultimi 3 anni e mezzo per aumentare la sicurezza del ponte e che nel periodo 2015-2018 sono stati realizzati sul ponte ben 926 giorni-cantiere, pari ad una media settimanale di 5 giorni-cantiere su 7.
"Circa la contestata interruzione di interventi strutturali sul viadotto dopo il 1994, a seguito della realizzazione di interventi molto importanti negli anni precedenti, sulla base delle informazioni fornite dalle strutture tecniche - che gli interventi effettuati prima del 1994 erano essenzialmente correttivi di errori di progettazione e di costruzione del Ponte Morandi, superati appunto con l'intervento del 1994. Da allora la situazione è stata costantemente monitorata dalle strutture tecniche ed ha portato nel 2015 alla decisione di realizzare l'intervento di retrofit ing del ponte".
Proprio per quanto concerne le accuse della relazione relativamente ai tempi di progettazione dell'intervento di retrofitting troppo lunghi, alla gestazione esclusivamente interna del progetto e alla non accuratezza della programmazione dei lavori, Autostrade per l'Italia ricorda che "allo sviluppo del complesso progetto hanno contribuito - oltre a SPEA - il Politecnico di Milano e la società EDIN. Nessun elemento di rischio e urgenza è emerso dai progettisti, né dalla Commissione del Provveditorato alle Opere Pubbliche che ha valutato e approvato il progetto".
Sulla contestazione di mancata accuratezza del progettista nel valutare lo stato di conservazione degli stralli, che sarebbe stata frutto di una valutazione ottimistica e non basata su un'analisi diretta della riduzione della sezione, le strutture tecniche della società ricordano che le analisi sugli stralli affogati nel calcestruzzo erano possibili solo per via indiretta attraverso le prove riflettometriche.
"Le analisi diagnostiche erano allegate al progetto ed hanno avuto una valutazione di non pericolosità da parte di tutti i tecnici, interni ed esterni alla società, che hanno potuto realizzarle ed esaminarle. Circa la contestata scelta - contenuta nel progetto - di eseguire i lavori in costanza di traffico, la società ricorda che le modalità operative previste dal progetto approvato dal Ministero nel 2018 erano analoghe a quelle seguite negli anni 1991-1993 per interventi analoghi e mai contestate, e che queste comunque prevedevano varie fasi di chiusura del ponte al traffico. Tutto questo in assenza di elementi di urgenza e di rischio".
La relazione del Mit e naturalmente le controdeduzioni di Aspi saranno acquisite agli atti della procura di Genova che sta indagando sul crollo e che ha già emesso alcuni avvisi di garanzia.