All’inizio, parliamo di febbraio 2016, furono più di venti i gruppi e le società che presentarono ai commissari la manifestazione di interesse per acquisire le attività, messe in gara, dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Poi, i successivi passaggi della gara hanno via via ristretto i pretendenti e la contesa si è ristretta a due. Due indiani perlopiù. Uno, big mondiale, Arcelor Mittal, di origini indiane ma col quartier generale da tempo a Londra, e l’altro Jindal.
Entrambi si erano fatti avanti per Ilva già prima ma stavolta la contesa era diversa. Non era più una ricognizione sullo stato dell’Ilva per vedere che fare, non si trattava più di una due diligence, ovvero l’esame dei conti, ma bisognava sostenere una vera gara.
Man mano che il percorso si dispiegava, però, appariva chiaro che tra i due competitori, Mittal (alleatosi con Marcegaglia in quest’operazione attraverso la società Am Investco) era quello che sembrava avere più chance di potercela fare. I sindacati, che hanno incontrato entrambi prima che la gara di aggiudicazione si concludesse, raccontano infatti che nei colloqui i manager di Mittal erano quelle che mostravano più padronanza della materia. Più visione di prospettiva.
E poiché entrambi puntavano al rilancio dell’Ilva, per un certo periodo la differenza tra i due la fece la visione dell’azienda. Jindal, alleato di Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Del Vecchio sotto le insegne di Acciaitalia, puntava in prospettiva alla decarbonizzazione. Togliere cioè se non interamente, almeno in buona parte, il coke dalla produzione dell’acciaio e abbassare così l’impatto dell’inquinamento. “Ma la decarbonizzazione non si può fare in un impianto così grande come quello di Taranto, c’è un problema di costi e manca il gas nelle quantità necessarie” ribatteva Arcelor Mittal. Che, in alternativa, rilanciò la sua innovazione tecnologica basata sulla “cattura” del carbonio.
Sfida a due
Si arriva così al rush finale, primi di giugno 2017. I piani ambientali delle due cordate sono stati portati ad un buon livello grazie alle integrazioni e alle modifiche fatte dai tecnici incaricati dal ministero dell’Ambiente di visionare preliminarmente i due piani. Si tratta, a questo punto, di decidere chi dei due avrà la meglio. E alla fine Am Investco stacca Acciaitalia. Vince la gara perchè offre di più come prezzo d’acquisto, 1,8 miliardi contro 1,2 del concorrente, e perché nell’insieme commissari Ilva e Governo ritengono che la proposta di Am Investco offra più prospettive rispetto ad Acciaitalia. Sul piatto, tra prezzo di acquisto e investimenti, ci sono quasi 4 miliardi.
Il verdetto della gara non è però accolto serenamente, né sportivamente. Acciaitalia tenta un rilancio in extremis, portando la sua offerta sul prezzo a 1,850 miliardi. Ma non ci sarà nulla da fare. I rilanci non sono possibili, dice l’Avvocatura dello Stato all’ex ministro Carlo Calenda che aveva chiesto lumi sul punto. Si profila, allora, la possibilità di un ricorso da parte degli sconfitti ma, alla fine, non se ne farà niente. Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Del Vecchio si ritirano dalla battaglia e ciascuno torna ai propri interessi. Molti mesi dopo la gara, quasi come un puzzle che si scompone e si ricompone diversamente, Jindal si rifocalizzerà sullo stabilimento, anch’esso siderurgico, di Aferfi a Piombino, Cassa Depositi e Prestiti verrà data come possibile alleata di Am Investco visto che la cordata originaria deve modificarsi e Marcegaglia è in uscita, mentre Arvedi potrebbe essere colui che prende in carica l’impianto ex Magona, sempre a Piombino, che Mittal deve cedere per venire incontro alle richieste della Ue.
Aspettando Bruxelles
Già, l’Unione Europea. Vinta la gara, battuta la concorrenza, sottoscritto il contratto con i commissari, per Am Investco la partita Ilva non é chiusa. Il cammino in salita viene anzi proprio adesso. Perché c’è da fare l’accordo con i sindacati sui posti di lavoro - sindacati che non vogliono per niente sentire parlare di esuberi e se ne profilano almeno 4mila su 14mila addetti totali di gruppo - e c’è da ottenere il via libera di Bruxelles. E su quest’ultimo versante, comincia un’altra fase complicata. Perchè tutti coloro che non avevano visto di buon occhio la vittoria di Mittal alla gara (e tra questi il governatore della Puglia, Michele Emiliano, più favorevole ad Acciaitalia per via della decarbonizzazione, tema sul quale lo stesso Emiliano combatte da tempo una sua battaglia), dicono che Mittal non supererà l’esame dell’Antitrust europeo. Troppo grande, già ai limiti massimi di concentrazione. Bruxelles, si obietta, non può accendere il semaforo verde verso chi può creare un monopolio siderurgico. E invece le cose andranno ben diversamente.
Mittal non solo ottiene a maggio scorso il via libera dell’Antitrust europeo, ma negozia con Bruxelles anche una serie di dismissioni per stare nelle regole europee della concorrenza e del mercato e accetta di dismettere diversi impianti in Europa con relativa capacità produttiva. Dismissione che non vuol dire chiusura ma cessione ad altri soggetti di quegli impianti. E infatti per l’ex Magona di Piombino si parla di Arvedi come subentrante. Non c’è nessuna cura dimagrante nel perimetro Ilva perché il Governo nel contratto ha posto una condizione precisa: se Bruxelles ti dirà che devi scendere di produzione se vuoi anche l’Ilva, potrai toccare tutti i tuoi stabilimenti in Europa all’infuori di quelli dell’Ilva stessa.
Lo scontro sugli esuberi
Il via libera di Bruxelles ribalta anche un’altra convinzione che si era fatta strada nel dopo gara. Ovvero che sarebbe stato più facile per Mittal chiudere l’accordo con i sindacati che avere il placet dal commissario europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager. Invece non é andata così. Perchè l’ok europeo è stato ottenuto già da due mesi mentre la partita con i sindacati è ancora aperta. Permangono, infatti, le distanze sul personale da assumere in Am Investco. Diecimila unità ha detto per lungo tempo Mittal, ricordando gli obblighi del contratto firmato. Ne servono di più, hanno ribattuto i sindacati, e soprattutto tra assunzioni, ricollocazioni, esodi agevolati e incentivati e ammortizzatori sociali non ci devono essere esuberi. Tutti i 14mila addetti devono avere una copertura. Ora pare che nella proposta migliorativa, negoziata con i commissari, che Mittal si accinge a presentare al ministro Luigi Di Maio, ci sia un passo avanti sull’occupazione. Oltrechè sul risanamento ambientale.
Mittal pronta a rilanciare
Ma Mittal, tuttavia, non può dire che l’accordo con i sindacati è per il gruppo una specie di ultima curva. No, perchè prima c’è da sciogliere il nodo dell’Anac, l’Autorità Anticorruzione, la quale, rispondendo a Di Maio, ha confermato come la gara per Ilva sia stata segnata da “criticità” su alcuni aspetti. Ma se si vuole annullare la gara - argomenta l’Autorita Anticorruzione - non é l’Anac che deve decidere bensì il governo. Che per ora, stando a quanto detto da Di Maio alla Camera, non parla nè di chiusura dell’Ilva, né di rifare la gara, ma si aspetta invece una proposta fortemente migliorativa di Mittal su ambiente e occupazione. Lo snodo è qui, e quindi se Mittal presenterà una proposta convincente per Di Maio, si presume che la gara non sarà annullata e che, finita la proroga al 15 settembre concessa dal ministro ai commissari (Mittal sarebbe potuto entrare in fabbrica già ai primi di luglio), l’investitore anglo-indiano potrà assumere la guida dell’Ilva. Ma un’Ilva che continua a produrre non piace affatto al mondo ambientalista di Taranto che ne chiede invece la chiusura. Senza se e senza ma. E infatti una serie di sigle dicono: attenderemo un segnale entro lunedì 23 luglio, se non ci sarà, costituirà la conferma del “tradimento del mandato elettorale ricevuto”.