È stato uno dei sequestri più consistenti nella storia italiana delle criptovalute. Nei giorni scorsi l’equivalente di 15 milioni di euro in bitcoin sono stati fisicamente spostati dalla piattaforma di cambio italiana di criptovalute BitGrail su un nuovo indirizzo, in attuazione del provvedimento dello scorso maggio del tribunale di Firenze, che disponeva il blocco della piattaforma, il sequestro del suo patrimonio, e la nomina di un curatore e custode dello stesso.
Il sequestro dei bitcoin
Così il 5 giugno, senza clamore, sono stati mossi - come ha notato AGI a partire dalla stessa analisi della blockchain, il registro distribuito delle transazioni bitcoin, e dalle segnalazioni online o via chat fatte nelle scorse ore da vari utenti dell’exchange - ben 2295.077523 bitcoin (BTC). Che hanno lasciato l’indirizzo di BitGrail per dirigersi su un altro wallet (portafoglio) creato appositamente per l’autorità giudiziaria dal curatore, Tommaso Ariani, e dal coadiutore tecnico, Paolo Dal Checco, incaricati dalla sezione quinta fallimentare (Presidente Patrizia Pompei) del Tribunale di Firenze di sequestrare in via cautelare l’ingente quantità di bitcoin. Le chiavi – come da prassi in questi casi - sono state depositate in un luogo terzo e sicuro e chi ha operato il sequestro non ne tiene copia né ha la possibilità di ricostruirle.
“È stato creato un wallet (portafoglio) bitcoin la cui proprietà è del tribunale, e nell’atto di creazione del wallet sono state prese misure per evitare che chi ha partecipato potesse usare, visionare o ricostruire a posteriori le chiavi, che sono state depositate in un luogo sicuro intestato al tribunale – lo stesso posto in cui vengono tenuti lingotti d’oro od opere di valore”, commenta ad AGI Paolo Dal Checco, esperto in perizie informatiche forensi anche in ambito di valute digitali, che preferisce non parlare del sequestro ma ha accettato di spiegare questo aspetto tecnico. “Abbiamo ricondotto un sequestro digitale di criptomonete alle modalità di un sequestro fisico di contante o preziosi, per il quale l'autorità giudiziaria possiede metodi consolidati di conservazione e controllo”.
A breve è probabile che saranno spostati dal portafoglio dell’exchange a quello gestito dai curatori anche 4 milioni della criptovaluta Nano (XBR), equivalenti oggi a circa 13 milioni di euro, ma molti di più al tempo del furto subito da BitGrail, poiché la quotazione era più elevata.
La storia di BitGrail
BitGrail è infatti una piattaforma di cambio di criptovalute aperta a Firenze nell’aprile 2017 dal programmatore 32enne Francesco Firano. Il servizio permetteva di scambiare varie criptovalute, bitcoin, ethereum, litecoin e anche un token digitale meno noto e diffuso, i Nano (XBR), sviluppati negli Stati Uniti e per i quali la piattaforma fiorentina era diventata uno degli snodi principali.
“Al momento di picco avevamo il 60 per cento dei Nano in circolazione depositati su BitGrail; eravamo stati i primi a scoprire questa criptovaluta”, commenta ad AGI Firano. All’inizio valeva poco. Poi tra novembre e dicembre c’era stata l’esplosione del suo prezzo. Ma a febbraio qualcosa non torna. Firano si reca alla postale e denuncia un attacco informatico che avrebbe prodotto un furto di 17 milioni di Nano dalla sua piattaforma. All’epoca equivalevano a circa 160 milioni di euro.
“Solo le Nano sono state oggetto del furto, che si è svolto sotto forma di prelievi ripetuti che sembravano legittimi”. Per Firano il problema, la vulnerabilità da cui avrebbe mosso l’attacco, sarebbe nel software del portafoglio ufficiale sviluppato per la criptomoneta. All’epoca BitGrail aveva 220mila utenti; di questi – calcola Firano – 57mila sarebbero stati coinvolti dalle perdite dei Nano trafugati. Le attività dell’exchange a quel punto si fermano.
Nel mentre gli sviluppatori di Nano, a febbraio, rispondono che il problema, la falla che avrebbe permesso il furto, non riguarderebbe la criptovaluta ma sarebbe legata al software di BitGrail. Aggiungono di aver rifiutato la proposta di Firano di ripianare le perdite degli utenti con una modifica al registro delle transazioni di Nano. E infine lo accusano di aver sviato la comunità sull’effettiva solvibilità di BitGrail.
Ad aprile l’exchange propone sul suo sito un piano di rientro per le vittime del furto, annunciando una imminente riapertura. Nello stesso periodo lo studio legale BonelliErede, che rappresenta circa tremila creditori di BitGrail, annuncia di aver presentato un’istanza di fallimento nei confronti della piattaforma.
Si arriva così a inizio maggio quando BitGrail prova a riaprire i battenti, ma il suo ritorno dura poche ore, dato che il Tribunale di Firenze interviene disponendo il sequestro, poiché la riapertura rappresenterebbe “il pericolo di depauperamento del patrimonio della fallenda e possibile dispersione dei mezzi di prova per l’accertamento delle cause e delle responsabilità alla base dell’ammanco di Nano”.
“Si tratta di un provvedimento cautelare”, commenta Firano, che attualmente ha congelati sia i fondi aziendali che quelli personali. “Il tribunale vuole capire se c’è rischio di fallimento. Spero ci possa essere un’istruttoria in cui potermi difendere dalla controparte”. Per ora i 15 milioni di euro in bitcoin restano sequestrati.