Non è certo una novità per Warren Buffett, che ha investito l’80% del suo tempo in lettura e riflessione, per Barack Obama che ha sempre dedicato almeno un’ora al giorno allo studio e per Bill Gates che per tutta la sua carriera ha letto almeno un libro a settimana.
Ma in un periodo storico caratterizzato da una rapida demonetizzazione e dalla temutissima ‘rivoluzione robotica’, la conoscenza è oggi la moneta di scambio più forte in questo momento. E tutti se ne dovrebbero preoccupare. Lo assicura un’analisi di Quartz, secondo cui “trascorriamo la maggior parte del tempo ad accumulare denaro, spendere soldi e a preoccuparci delle nostre finanze, sostenendo di non avere tempo per imparare qualcosa di nuovo. Ma ciò che sta accadendo è un profondo cambiamento nel rapporto tra denaro e conoscenza”.
In piena demonetizzazione
Parte di questo cambiamento è dovuto a quello che Peter Diamandis, ingegnere, medico e imprenditore statunitense, definisce “demonetizzazione rapida” durante la quale le nuove tecnologie stanno “rendendo molto più a buon mercato - o addirittura gratis - prodotti ed esperienze una volta costose”.
E’ questo ad esempio il caso delle auto a guida autonoma che potranno eliminare una delle più pesanti voci di spesa: l’auto. E’ così anche per “la realtà virtuale che farà crollare i prezzi dei biglietti dei concerti. E per finire, l’intelligenza artificiale darà un contributo importante alla ricerca medica tagliando i costi della spesa e orientando la sanità verso la prevenzione più che verso la cura”.
Cosa c’entra con la formazione
In questo quadro socio-economico, spiega Quartz, coloro che si dedicano anche in modo totalizzante alla carriera ma non trovano il tempo di imparare nuove cose costruiscono il nuovo “gruppo a rischio”. Quale? Quello di rimanere sul fondo della piramide della competizione globale e di vedere volare via il loro posto di lavoro. Proprio come è accaduto a colletti blu nel decennio 2000-2010 quando l’85% dei posti di lavoro nel settore manifatturiero è stato occupato dai robot.
Perché?
Queste persone vengono ‘spremute’ di più e pagate meno, mentre coloro che occupano il vertice della scala hanno maggiori opportunità e ricevono una retribuzione più alta della precedente. Il problema - osserva il sito - non è dovuto alla mancanza di occupazione, ma di lavoratori con le competenze giuste per riempire quei posti di lavoro rimasti vacanti o nati da poco secondo le nuove necessità del mondo del lavoro.
A questo punto “è chiaro come la conoscenza e la formazione stiano diventando un’importante valuta”. In altre parole, “la formazione è il nuovo denaro. Come i soldi, funge da oggetto di scambio, ma diversamente dal denaro non perde mai valore. E può essere convertito in molte cose, tra cui un alto livello di benessere ”. Chi investe sulle proprie competenze raggiunge in fretta gli obiettivi, estende il proprio vocabolario, e riesce a vivere più esistenze nell’arco temporale di una sola vita.
Nessuna scusa
“Non essere pigro, non cercare scuse, semplicemente fallo”, osserva Quartz. “Nessuno di noi può permettersi di non imparare. La formazione non è più un lusso, è una necessità.
La formazione in Italia
Per alcune categorie - medici, giornalisti, avvocati, dottori commercialisti - la formazione professionale continua è obbligatoria. Per altri no. Secondo gli ultimi dati Istat, relativi al 2015, il 60,2% delle imprese attive in Italia con almeno 10 addetti ha svolto attività di formazione professionale (+5% rispetto al 2010).
L'andamento positivo è determinato dall'incremento di aziende che hanno realizzato corsi di formazione nell'area ambiente-sicurezza sul lavoro, mentre per gli altri corsi la quota di imprese si è ridotta lievemente (dal 33,7% del 2010 al 32,3% nel 2015).
Quasi 3 milioni e mezzo di lavoratori hanno partecipato a corsi di formazione (45,8% del totale degli addetti, di cui 47,8% uomini e 42,5% donne). Le grandi imprese (con 250 addetti ed oltre) sono le più attive nella formazione (90%) mentre per quelle più piccole si conferma, seppur con un parziale recupero rispetto al 2010, una minore propensione. La formazione è più diffusa nelle imprese del settore dei servizi finanziari (circa il 94% di imprese ha attivato programmi di formazione).