C’è un articolo che ha tenuto banco sul mondo dell’innovazione lo scorso mese, e la cui eco è arrivata fino alle sale, agli stand del Web Summit di Lisbona. L’era delle startup è finita, sintetizzata il titolo del pezzo apparso su TechCrunch, da molti considerata la bibbia della digital economy, magazine online con sede a San Francisco e che dal 2005 racconta al mondo le nuove frontiere dell’innovazione.
Poteva passare come una provocazione. Ma a scriverlo è Jon Evans, giornalista (e ingegnere) piuttosto navigato e autorevole, che ha avuto l’abilità di percepire un sentimento diffuso e raccogliere alcune inquietudini in un articolo che ha avuto un’eco enorme. La sua tesi è: i giganti della digital economy (Google, Facebook, Amazon, Microsoft, Apple) hanno raggiunto dimensioni tali che sono in grado di soffocare le opportunità di crescita delle nuove startup, assorbendole con operazioni di acquisizione, o impedendone lo sviluppo facendo leva proprio sulla loro posizione di dominanza del mercato.
Non solo, Evans elenca una serie di tecnologie che promettono di essere le prossime grandi rivoluzioni, dall’intelligenza artificiale alla Blockchain all’Internet delle cose. Ma sarebbero a suo avviso tecnologie troppo poco accessibili per le startup, diversamente da quanto lo sono state il web e le app per gli smartphone nella prima ondata di digitale a cavallo tra la fine degli anni Novanta e il 2010.
“Alphabet, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft sono diventate le cinque aziende più capitalizzate al mondo. Il futuro appartiene a loro”.
Startup, game over insomma, come suggerisce un altro articolo che sostiene una tesi analoga pubblicato qualche settimana fa su The Guardian.
L'era delle startup è finita? Cosa dicono i dati
Ma è davvero così? Non c’è davvero molto altro da inventare, innovare, non c’è più alcuna possibilità di far crescere un’azienda in questo settore? Le startup sono aziende che o cercano di innovare mercati già esistenti con nuove tecnologie o modelli di business (Uber per il trasporto su gomma nelle città) o che inventano nuovi mercati e dimostrano di saper crescere (Facebook e la sua piattaforma di connessione tra le persone).
Da quando parliamo di startup il mercato degli investimenti in queste aziende è cresciuto costantemente negli anni: l’Europa nel 2016 ha battuto il suo record di sempre con 4,3 miliardi, la Cina anche con 31 miliardi, gli Usa invece hanno registrato una flessione del 12% con 69 miliardi. Quest’anno gli analisti si aspettano un nuovo record, con 7 miliardi in Europa, 43 in Cina, 53 negli Usa, che registreranno una nuova flessione.
I dati ci dicono quindi che il mercato degli investimenti negli Usa sta percorrendo una strada diversa rispetto al resto del mondo. Certo, rimangono il punto di riferimento globale di questo settore, e patria eletta e forse inalienabile dell’innovazione. Ma se i trend dovessero essere confermati, nei prossimi due, tre anni la Cina supererà gli investimenti in innovazione degli Usa. Ed è frutto di una strategia politica precisa che impegna direttamente il governo di Pechino.
Cosa succede in Cina. Il caso Ofo Bike, da poco in Italia
La Cina è un buon contraltare della tesi della bibbia statunitense delle startup e della sua tesi sulla fine dell’era delle startup. Un caso lo racconta bene. Ofo, la startup pechinese che ha creato un servizio di bike sharing che consente all’utente di lasciare la bici ovunque voglia, senza necessità di recarsi ai totem sparsi in città. Ofo è nata nel 2014. Nell’università di Pechino. Oggi è presente in 20 città, anche in Europa, e in Italia a Milano.
Il suo cofondatore Zhang Yanqi, 30 anni, sul palco del Web Summit si è riservato quest’anno un posto di assoluto rilievo. La sua startup è già un caso mondiale: è l’azienda che sta crescendo di più al mondo, complice un round di investimento da oltre un miliardo di dollari sottoscritto da giganti come Alibaba e Didi Chuxing: “Noi abbiamo creato un prodotto guardando alle esigenze del cliente, e abbiamo cercato di soddisfarlo al meglio, credo che gli investitori guardino soprattutto a questo”, ha detto sul palco del Web Summit.
L'era delle startup è finita? Cosa dicono gli esperti
Ma quello di Ofo è solo un caso tra centinaia di startup che crescono e aprono nuovi mercati, ne cambiano altri. E raccolgono miliardi di investimenti nel mondo. “Se guardiamo i dati e i trend di oggi, solo se guardiamo i numeri ci accorgiamo che è davvero fuori luogo parlare di fine delle startup. Avremo sempre bisogno di innovazione, si chiuderà un modo di farla ma se ne aprirà un altro”. Paolo Cellini, professore di marketing digitale all’università Luiss di Roma, ha attraversato da manager e da studioso gli ultimi 30 anni di innovazione. “Questa tesi sembra dimenticare che le startup sono un modello di innovazione, non una parola usa e getta. È basato su un feroce approccio darwinista, dove nove ne muoiono e una ce la fa. Ma è il senso di questo mondo che chiamiamo startup, piaccia o meno”. Insomma, noi siamo abituati a considerare ‘startup’ una parola, sembra suggerire Cellini. Ma è invece un modo di fare impresa. “Chiamiamole pure in un altro modo, il loro approccio al mercato rimane”.
“La Silicon Valley non è più il centro di tutto, se ne stanno accorgendo”
Chi lavora con le startup in Italia non crede a questa tesi. L’unanimità più che suggerire una voglia di non credere all’inevitabile, o di difendere il proprio lavoro, sembra invece marcare la distanza tra due mondi. “Forse è la centralità della Silicon Valley oggi ad essere messa in discussione. È stata sempre l’epicentro di tutto, adesso lo è meno” commenta Gianluca Dettori, imprenditore e fondatore della società di venture capital Dpixel. “Io penso che la tecnologia continuerà a creare nuovi mercati, che imprenditori continueranno a trovare soluzioni a problemi che oggi non sappiamo nemmeno di avere”. E continua: “È vero che il mercato Internet è sempre più polarizzato su alcuni mega operatori, e forse Techcrunch si scorda di citare alcune 'startup' cinesi tipo Alibaba e Tencent solo per citarne un paio che sono colossi impressionanti, non Silicon Valley”.
Augusto Coppola, direttore del programma di accelerazione di Luiss Enlabs, confessa invece che “si tratta di un punto di vista su cui, nel mio piccolo, ragionavo da tempo” ma “la cosa che, sembra sfugga a TechCrunch è che esiste uno spazio immenso legato alle asimmetrie dei sistemi paese”. Ovvero? “Ad esempio l'Italia non solo non è la Silicon Valley, ma ad occhio e croce direi che in Europa non c'è nulla che sia neanche NYC. In sostanza, quindi, esiste uno spazio per aziende giovani ed agili che partono da risolvere problemi locali, che sfuggono ai radar USA, ma che possono avere un impatto su scala internazionale”.
“Le startup non sono il digitale, ma uno strumento per migliorare l’esistente”
Stessa opinione per Andrea Di Camillo, managing partner di P101: “L’era delle start up non è finita e non finirà mai. E ci mancherebbe pure. A volte assumono l’area del fenomeno lyfestile a volte crea distorsioni nella nostre percezioni, ma è comunque l’economia ad aver sempre bisogno di nuovi attori e nuove tecnologie da sfruttare per le aziende". E il presidente di Roma startup Gianmarco Carnovale ad esempio bolla come “Cassandre” questo genere di tesi. Il motivo? “I fatti dimostrano che il “modello startup” è fatto di processi fissi ed altri in continua evoluzione, e che si applica ad ogni settore economico o sociale. Le startup migliorano l’esistente - non il digitale, il software, il web - ma tutto l’esistente, passando attraverso onde settoriali, semplicemente mettendo in contatto persone di talento dotate di visione e disposte a mettersi in gioco, con capitale di rischio”. E conclude: “Le startup non sono una moda, sono un modo diverso di fare impresa, più democratico e basato sulla condivisione del valore tra molti soggetti. Sono un modo che è arrivato per rimanere”.
L'era delle startup è finita? Cosa dice l'Europa
Quanto invece alla tesi che è la posizione di ‘monopolio’ sul mercato di queste aziende a poter impedire o soffocare la nascita e lo sviluppo di nuove imprese innovative, il tema è sicuramente sentito. A fare un esempio, è stato forse il senso più politico di tutto il Web Summit di Lisbona quest’anno, con il numero uno dell’antitrust europeo Margrethe Vestager a bacchettare per due volte in due giorni i giganti del tech americano che sfruttano il loro potere per azzerare la concorrenza: “Ogni volta che vado negli Usa sono felice di essere Europea” ha detto Vestager sul palco di Lisbona, “I giganti del tech devono imparare che il libero mercato con i loro monopoli non è più libero, e l’Europa lo impedirà”. Ancora una volta quindi, sembra una prospettiva ‘locale’ quella della fine delle startup, che si gioca su una serie di piani ancora apertissimi: il mercato, la politica, i paesi di riferimento. E sembriamo lontanissimi dal mettere il cappello ‘fine’ ad alcunché.
Il professore del politecnico di Torino Marco Cantamessa e presidente dell’incubatore universitario i3P è d’accordo sul fatto che questo è il vero tema: “TechCrunch ha ragione dove nota come gli ‘Over the top player’ costituiscano dei monopoli radicati. “Possiedono i dati” ed è particolarmente problematico perché, nella prossima ondata di innovazione, basata su Big Data, la futura “materia prima”, e Intelligenza Artificiale, la futura “fabbrica” che usa questi dati, il monopolio rischia di diventare impossibile da scalzare (e questo senza contare il tema dell’influenza dei social network sui processi sociali e politici). Ma questo è uno dei classici casi dove gli Stati possono e devono entrare con forza nei settori economici con le armi della regolazione, imponendo misure anche drastiche (purché ragionate) laddove sia necessario. Altro che webtax”.
“La Silicon Valley non è più l’ombelico della terra”
C’è poi un’altro aspetto: la sensazione da ‘fine del mondo’ che sembra promanare da quella tesi, che pure racconta un po’ lo spirito del tempo. Almeno in Silicon Valley: “È sempre difficile predire il futuro. La verità è che il modello industriale dell’innovazione attraverso le startup è in fase espansiva e non recessiva” ha commentato il presidente di Italia Startup Marco Bicocchi Pichi. “Gli scenari su cui sviluppare il futuro possibile devono considerare bisogni più ampi - acqua, cibo, salute, ambiente. L’articolo mio vedere ha una vista limitata, oso dire provinciale, di quelle che fanno chiamare agli americani un campionato World Series anche se è solo il campionato USA”.
Insomma, sembra suggerire Bicocchi Pichi, il mondo di AGAF (Amazon, Google, Apple, Facebook) è già sfidato da BAT (Baidu, Alibaba, Tencent) e c’è ancora spazio dalle tecnologie di ieri per “creare unicorni domani ma non solo. I settori industriali che possono essere “disrupted” da startup non sono finiti e la concorrenza delle startup globali sta iniziando solo ora. The game is not over. Il mondo ha appena iniziato a giocare e la Silicon Valley non è più l’ombelico della Terra”.