Dieci anni fa la app di Facebook non esisteva, ma Facebook sì. L’Apple store, il primo store di app non native iOS, sarebbe nato da lì a qualche mese (compirà 10 anni l’8 luglio), ma gli utenti di Facebook erano circa 100 milioni e la rivoluzione del mobile era un’occasione da non perdere per una piattaforma come quella fondata da Mark Zuckerberg.
Per questo, stando a quanto ha scritto oggi il New York Times in un’inchiesta a sei mani, aveva stretto degli accordi con 60 produttori di smartphone - tra cui Apple, Samsung e BlackBarry - per rendere disponibili ai possessori di device mobile le funzioni del social: postare foto, aggiornare gli status, condividere foto. Ma il costo di questo accordo, si scopre oggi, era la privacy dei suoi utenti. Infatti alle 60 azienda partner Facebook avrebbe dato accesso ai dati di navigazione degli iscritti, comportamenti, pagine seguite, commenti, inclusi quelli dei loro amici, e senza autorizzazione esplicita.
Questa possibilità sarebbe stata data anche dopo il 2015, l’anno in cui, come abbiamo appreso dopo lo scandalo Cambridge Analytica, Facebook avrebbe deciso di cambiare la sua politica permissiva di accesso ai dati degli utenti agli sviluppatori che volevano creare giochi, applicazioni da legare al social network.
Facebook spiega inoltre che sarebbero serviti solo a riprodurre le funzioni - dai messaggi ai like - sui diversi smartphone. E che i partner avrebbero firmato degli accordi che stringevano l'uso di queste al solo scopo di migliorare l’esperienza di Facebook: "I partner non potevano integrare le funzioni Facebook di un utente con i loro dispositivi senza il nostro permesso […] Diversamente da quanto sostenuto dal New York Times, le informazioni degli amici, come le foto, erano solo accessibili sui dispositivi quando gli utenti decidevano di condividere i loro dati con quegli amici. Non siamo a conoscenza di abusi da parte di queste aziende".
Il problema dei dati e il ruolo di Apple
Ora, noi possiamo anche fidarci di aziende come Facebook e anche delle sessanta con cui Facebook ha condiviso i nostri dati per una decina d’anni, compresa Apple. Ma il problema resta che c’è ancora un’enorme quantità di nostri dati fuori controllo.
E solo qualche settimana fa, in occasione dello scandalo Cambridge Analytica, Tim Cook, amministratore delegato di Apple, una delle sessanta società con cui Facebook ha stretto questo accordo, disse attaccando Zuckerberg:
“Vi sto parlando dalla Silicon Valley, due alcune delle aziende più di successo hanno costruito il proprio business usando le informazioni personali dei propri clienti. Loro raccolgono ogni cosa possono imparare degli utenti e cercano di monetizzarlo. Pensiamo sia sbagliato e non è quello che aziende come Apple vogliono fare”.
Qualche settimana dopo Apple rilasciò un aggiornamento di iOS che riguardava la privacy, dicendo ai propri utenti che l’azienda raccoglieva solo un minimo numero di dati del nostro utilizzo dei device.
Il business trasversale dei dati
Segnando una linea di demarcazione netta tra due modi opposti di vedere il business del digitale: Apple contro Facebook insomma, e al centro un elemento di cui Cook è convinto: tutto ciò che è gratis vede te come prodotto. “Se come Apple facessimo business sui dati degli utenti, faremmo davvero un sacco di soldi”, disse Cook commentando il caso Cambridge Analytica (qui è ripercorsa un po’ tutta la storia delle loro divergenze). E alla prossima conferenza degli sviluppatori di Apple (4-8 giugno) ci si aspetta che Cook parli proprio di questioni di privacy, rimarcando le differenze tra Apple e gli altri.
Oggi però un portavoce di Apple ha detto al New York Times che l’azienda “ha fatto affidamento sull’accesso privato ai dati di Facebook per strumenti che aiutavano gli utenti a condividere le proprie foto sul social network, senza aprire l’app di Facebook, insieme ad altre cose”. Ma che non ha più questi accessi dallo scorso settembre. Quindi Apple, insieme ad altre società, un’ammissione l’ha fatta.
Alla luce dello scontro tra Zuckerberg e Cook, forse è lecito chiedersi se stringere accordi come quello che Apple (e altri 59 produttori di smartphone) hanno stretto con Facebook non sia un modo per fare lo stesso business, anche se con dati degli altri.