Alla fine del 1990 la Federal Trade Commission (da ora Ftc), l’antitrust degli Stati Uniti, aprì un’indagine su Microsoft accusandola di aver creato un monopolio dei sistemi operativi. Una battaglia lunghissima, durò 21 anni, che contribuì a cambiare la storia dell’economia digitale americana e mondiale, e scrivere un’importante pagina dei manuali di economia della storia recente.
Martedì 26 marzo la Ftc ha detto ufficialmente di aver aperto un’indagine su Facebook dopo il caso Cambridge Analytica, dove i dati di 50 milioni di americani sono finiti illecitamente nelle mani della società: “La Ftc considera davvero preoccupanti le inchieste giornalistiche che hanno evidenziato problemi nella gestione della privacy degli utenti di Facebook”, si legge nella nota dell’antitrust. La storia di Microsoft è per forza di cose diversa. Lì l’antitrust accusava la società di Seattle di costringere i produttori di computer a vendere i loro prodotti con i sistemi operativi Microsoft già istallati. Ma un’indagine dell'autorità americana è una cosa seria. Microsoft lo sa bene, perché la cambiò per sempre.
Cosa successe a Microsoft durante l'indagine della Fct
La società di Bill Gates nel 2011, quando l’inchiesta finì dopo aver vinto in appello, aveva passato più della metà della propria vita sotto indagine. L'indagine partì dalle cosiddette vendite "tie-in", che legavano l'acquisto dei sistemi operativi a quello dei software software. Per esempio: comprare Microsoft Windows per poter usare Microsoft Word. Rischiò anche di essere divisa in due, quando alle accuse si aggiunse quella di aver causato il fallimento di alcune società come il motore di ricerca Netscape, facendo istallare nei computer il suo Explorer.
Microsoft fu costretta durante tutto il periodo dell’indagine ad avere un atteggiamento meno aggressivo sul mercato. Secondo alcuni fu questa causa ad aver indotto il suo fondatore, Bill Gates, a lasciare il ruolo di amministratore delegato. Gli successe Steve Ballmer, oggi ricordato da molti, forse ingiustamente, solo per aver irriso l'iPhone perché non era dotato di tastiera ("Chi lo userebbe mai?", disse). Fatto sta che mentre in quel periodo Microsoft sembrò piantata sui suoi piedi mentre le sue concorrenti crescevano: Apple, poi Samsung e Google di fatto ne ruppero il monopolio. Microsoft continua ad avere una posizione di predominio con Windows, ma oggi abbiamo diversi dispositivi come smartphone e tablet, dove Microsoft è tutt’altro che in una posizione dominante.
L’inchiesta (non solo Ballmer) per alcuni commentatori impedì di fatto a Microsoft di partecipare ai grandi cambiamenti tecnologici (e di consumi) della prima decade del 2000: il cambiamento che porterà gli utenti dalla centralità dei computer desktop al mobile, agli smartphone. Ma quello che forse è più importante è che la sua cultura aziendale cambiò irrimediabilmente, come fa notare Qz.com. Una startup sfrontata sul mercato diventò un’azienda timida, poco attenta e lenta, che ha cominciato a rivivere momenti di fortuna solo negli ultimi anni sotto l’amministrazione di Satya Nadella.
“Da quando la Fct ha aperto l’inchiesta, furono costretti a diventare molto più cauti e molto meno aggressivi”, commentò nel 2011 al Seattle Times il professore dell’Mit di Boston Micheal Cusumano: “Avevano paura. Se hai un’indagine dell’antitrust addosso, che sia quella americana o quella europea (Microsoft ha avuto una causa per gli stessi motivi in Europa, ndr), sei meno percettivo dei cambiamenti che ti succedono intorno. Non sei più pronto ad accoglierli”, anche per timore che la posizione durante l’indagine si aggravi. La stessa azienda nel comunicato con cui commentava la fine dell’indagine, da cui ne uscì pulita, ammise che “Questa esperienza ci ha cambiati profondamente, ha formato la nostra nuova visione sulle responsabilità che abbiamo verso le altre aziende”.
"La situazione di Facebook è peggiore"
“La lezione di Microsoft sembra suggerire che non è sufficiente vincere una causa con l’antitrust per distruggere un’azienda”, commenta Qz.com. Facebook, se possibile, è in una situazione ancora più complicata. Lo scandalo Cambridge Analytica non riguarda solo il mercato, ma la tenuta delle istituzioni democratiche: “Il problema oggi non è il monopolio di Facebook”, spiega ad Agi Paolo Cellini, professore di Marketing digitale all’Università Luiss di Roma: “Che Facebook sia un monopolio non è una notizia per nessuno. Ma a Facebook è contestato di non avere controllo sui dati personali di miliardi di utenti. Se questo ha consentito ad un candidato politico di avere dei vantaggi nella corsa elettorale, è chiaro che sono state tradite le regole del gioco democratico. E di conseguenza sono tutte le istituzioni ad aver messo la lente su Facebook. Ed è difficile che possa uscirne vincitrice”.
Cosa potrà accadere? “Che a Facebook verrà impedito di raccogliere tutti i dati che oggi può raccogliere. Questionari sulle inclinazioni politiche, sulle preferenze, tutto ciò che se finisse nelle mani sbagliate potrebbe portare ad una nuova Cambridge Analytica. Ma sono sicuro che non esisterà più un caso come questo. Facebook avrà delle regole”.
Da capire quali. Le regole sull’acquisizione dei dati e la profilazione degli utenti potrebbe essere il primo degli interventi che le istituzioni imporranno a Facebook. Poi c'è l'ipotesi spezzatino, spacchettare Facebook per limitarne l'accumulo illimitato di dati. O ancora un’altra opzione potrebbe essere quella di impedire che l’azienda continui con la sua politica espansiva nell’acquisizione di altre aziende, come ha fatto con Instagram o WhatsApp. Tutte società che condividono con la casa madre i dati dei propri utenti.
Ma Facebook rimane una società che nel 2017 è stata capace di generare 40 miliardi di utili. Ha una capitalizzazione di mercato di 440 miliardi. Ma l’ultimo mese è stato il peggiore degli ultimi 5 anni. Le sue azioni sono passate da 185 dollari ai 155 di queste ore. Negli ultimi 10 giorni ha bruciato circa 100 miliardi. Tantissimi soldi. Facebook è ancora un gigante. E lo resterà ancora per i prossimi anni.