Ci sono almeno due aspetti interessanti nella decisione dell’Antitrust tedesca di porre dei seri limiti alla raccolta di dati degli utenti da parte di Facebook. La prima riguarda il fatto che per la prima volta un’autorità garante ha definito in maniera piuttosto precisa perché un’azione che riguarda la concorrenza del mercato è anche una questione di tutela dei dati personali. La seconda è che se Facebook dovesse perdere l’appello, dovrebbe cambiare il modo in cui raccoglie e processa i dati degli utenti, tedeschi almeno all’inizio, perché la sentenza potrebbe essere l’apripista di una serie di conseguenze almeno in tutta Europa.
Il 7 febbraio la General Federal Cartel Office (FCO) di Berlino ha chiesto a Facebook di non combinare più i dati degli utenti raccolti delle sue diverse piattaforme senza il consenso degli utenti. Una decisione che colpisce al cuore il modello di business che la società ha sviluppato negli ultimi anni con le acquisizioni fatte di app concorrenti, sintetizzato in maniera molto chiara dallo stesso Mark Zuckerberg: “Vendiamo pubblicità”, come disse al Congresso lo scorso aprile.
Questo modello si basa sul monitoraggio costante del miliardo di utenti circa di Facebook, i due miliardi di Whatsapp e Instagram, da dove la società raccoglie informazioni su di noi, sui nostri gusti, sulle nostre preferenze attraverso le app, le web app, gli smartphone, profilano quali siti vediamo, cosa condividiamo, cosa commentiamo, quali app abbiamo, dove acquistiamo, cosa preferiamo o vorremmo avere, ma anche dove siamo, vicino quali locali, bar, ristoranti, negozi potenzialmente interessati a noi (o di nostro potenziale interesse, se cambiamo prospettiva).
Tutte queste informazioni già per ogni singola app darebbero a ognuna un’enorme potenza di fuoco sul mercato pubblicitario. Ma aumenta esponenzialmente se si mettono insieme le informazioni di ogni singola app di casa Facebook. E aumenterebbe ancora di più se Zuckerberg dovesse riuscire nell’integrazione delle app di messaggistica di Facebook Whatsapp e Instagram annunciata a fine gennaio .
Ognuno di noi ha avuto esperienza più o meno diretta di questo scambio di dati tra le piattaforme. A molti sarà capitato, per esempio, che chattando su Whatsapp con una persona, poco dopo Facebook te ne suggerisce l’amicizia. O che una conversazione su un tema specifico su Messenger, mettiamo sulla maternità, o un corso di equitazione, diventi su Facebook una pubblicità.
Ecco, è questo ecosistema di informazioni sulla nostra vita che l’autorità tedesca garante del mercato è intenzionata a fermare. Facebook ha fatto appello, ma se dovessero entrare in vigore le norme dell’antitrust tedesca, la società si potrebbe trovare di fronte un’enorme limitazione al suo business.
E un inconveniente: dovrebbe anche chiedere in maniera chiara e comprensibile agli utenti la possibilità di minare i propri dati personali, oppure invitare ad abbandonare la app, cosa che attualmente non fa. Certo, fanno notare alcuni, potrebbe ‘aggirare’ questo nascondendo alcune operazioni di raccolta dati e di tracciamento della navigazione, ma in Europa andrebbe incontro al rischio di infrangere le regole della Gdpr, la normativa sulla privacy entrata in vigore lo scorso maggio e che prevede multe per chi la viola.
Facebook si è difesa dice tracciamento integrato delle navigazioni sia finalizzato a migliorare l’esperienza degli utenti. Non solo quello delle sue app. Il social tramite strumenti come Facebook Business Tool traccia anche le nostre navigazioni sui siti che non possiede direttamente attraverso i tasti like e share. E questa enorme quantità di dati le ha consentito sia di acquisire un'enorme potere sul mercato, che rappresentare una minaccia alla sfera privata delle persone.
Qui c’è il punto di incontro tra antitrust e privacy che per molti commentatori potrebbe fare scuola, in Europa e nel mondo. Lina Kahn, esperta di Antitrust alla Columbia Law School, in un’intervista all’edizione americana di Wired ha spiegato che la tesi dell’antitrust tedesca è che “il dominio di Facebook è ciò che le consente di imporre agli utenti termini contrattuali e di trattamento dei loro dati che permette alla società di rintracciarli ovunque”.
Un po’ come se, non potendo fare a meno di un servizio diventato essenziale per le comunicazioni, lo svago, magari il lavoro, siamo indotti ad accettarne tutte le ‘richieste’ a priori. “Quando c’è mancanza di alternative, gli utenti che accettano il servizio non sono davvero consenzienti”, quindi liberi di scegliere. “Il consenso è una finzione”, quindi Facebook non può chiederci di accettare tutto, anche la raccolta di dati integrata, se vogliamo usare i servizi.
Facebook nella sua risposta all’antitrust ha detto che le alternative a Facebook ci sono, citando Twitter, Youtube e Snapchat . Ma l’estensione della sua rete di servizi per l’autorità tedesca è troppo più forte di qualsiasi concorrenza: solo in Germania alla fine dello scorso anno aveva una quota del mercato social dell’80%. Con una posizione così forte delle nel mercato online, qualsiasi consenso al trattamento dei dati personali “non può essere considerato volontario”, argomenta la commissione.
La FCO tedesca sostiene inoltre che Facebook ha utilizzato la sua vasta raccolta di dati per consolidare la sua posizione dominante sul mercato, creando un sorta di caleidoscopio di informazioni su di noi raccolte tra siti e app diversi in cui le persone non hanno altra scelta che usarlo consentendogli di rintracciarlo. Cosa che “rende ancora il network ancora più dominante, e la violazione della privacy più aggressiva”.
Se Facebook dovesse perdere l’appello, la Germania diventerà il più grande esperimento per capire se è necessaria al funzionamento dei social media quella che viene chiamata ‘l’economia della sorveglianza’. Altre nazioni potrebbero chiedere di avere la stessa opzione. Per usare una metafora dell’esperto di antitrust Maurice Stucke, “Questa sentenza potrebbe essere una sorta di nave rompi-ghiaggio: lei traccia la strada per guidare il percorso delle altre navi”.