“È ora che l'Europa acceleri sul 5G”. Il ceo di Ericsson Börje Ekholm si è presentato alla conferenza Viva Tech di Parigi e ha detto quello che pensa da tempo. Solo che adesso, a poche ore dall'ordine con cui Donald Trump ha bandito Huawei dagli Stati Uniti, la stessa frase acquisisce più peso. Perché, nonostante le dichiarazioni ufficiali caute (“La nostra strategia rimane la stessa”, ha detto a Bloomberg), le restrizioni di Huawei aprono spazi per Ericsson.
L'Europa si dia una mossa
“Non possiamo permetterci che i nostri imprenditori e le nostre imprese evolvano e innovino su un'infrastruttura vecchia e obsoleta”. Perdere il treno del 5G non vuol dire mancare lo sviluppo di una tecnologia ma perdere un ascensore che porta interi settori al piano superiore. Per questo, spiega Ekholm, “il 5G deve essere visto come una infrastruttura nazionale critica, tanto vitale quanto i treni, i porti o gli aeroporti”.
Se gli Stati Uniti e la Cina lo hanno capito che si tratta della “spina dorsale per la digitalizzazione della società”, l'Europa non sembra altrettanto reattiva. Come non lo è stata in passato. Il ceo di Ericsson ha ricordato che, anche nel caso del 4G, l'Europa si è mossa in ritardo rispetto a Usa e Cina, perdendo “tre o quattro anni”. Non è stato un caso che le imprese capaci di trarre il massimo vantaggio dalle reti di quarta generazione, come Alibaba, Netflix e Tencent, non siano europee.
I test non rallentino lo sviluppo
“Sicurezza” è una parola attorno alla quale potrebbero ruotare fortune e sfortune di Huawei ed Ericsson. Al di là delle affermazioni istituzionali (“La sicurezza è ovviamente importante”) ha notato che un eccesso di test post-sviluppo avrebbero pochi svantaggi e molte controindicazioni. “Rischiano di creare un falso senso di sicurezza, anche perché non esistono garanzie al 100%. Ad esempio – ha spiegato il ceo - abbiamo il lancio di funzionalità ogni due settimane. Quindi, se stiamo affrontando i test, il risultato è solo ritardare l'introduzione di nuove funzionalità”.
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Da una parte, quindi, non sarebbero così utili perché c'è una continua trasformazione delle reti. È un po' come analizzare se va tutto bene da una foto. L'immagine è lì, ma lo scenario è già cambiato dal momento dello scatto. Dall'altra, rallentano l'evoluzione in un momento in cui serve galoppare. Ekholm non cita Huawei, ma i cenni non mancano. Il gruppo svedese sa che, in questo momento, il tema sicurezza può essere un vantaggio: “Data la complessità dell'architettura, la sicurezza del 5G non dipenderà solo dalle apparecchiature di rete”. Dipenderà anche “dalle decisioni che l'operatore prenderà”, che sarà anche orientata dalla “domanda di sicurezza”. In altre parole: la sicurezza “dipenderà anche dalle soluzioni di sicurezza implementate e dai parametri operativi della rete decisi dagli operatori”. Tradotto: anche se non ci saranno divieti da parte degli Stati, gli operatori potrebbero comunque preferire, anche in base alle esigenze dei clienti, vincoli che evitino qualsiasi ombre.
Effetto Huawei
In un'intervista Bloomberg a margine di Viva Tech, Ekholm ha detto che “l'ordine esecutivo degli Stati Uniti è appena arrivato”, che “le conseguenze sono ancora da analizzare” e che “la strategia di Ericsson non cambia”. Troppo presto per parlare di un effetto Huawei, anche perché non si tratta di un impatto diretto. Per due ragioni. Primo: i Paesi europei, dalla Francia alla Germania, dall'Italia alla Gran Bretagna, per ora non sono allineati a Washington. Secondo: sul 5G Huawei non è presente negli Stati Uniti. Ma è chiaro che un bando americano potrebbe avere ripercussioni su tutte le attività del gruppo. Visto che il mercato non è fatto a compartimenti stagni, Ericsson e Nokia sono pronte ad approfittare delle defaillance altrui. Lo dicono la logica e la borsa: da inizio anno il titolo di Ericsson ha guadagnato il 17,5%. Il 2,6% da quando Trump ha annunciato di bandire Huawei.
L'asta non sia solo cassa
Ekholm non si è fermato agli appelli generici. Ha toccato un paio di punti. Primo: “Lo spettro del 5G deve essere reso disponibile in modo coordinato e a prezzi ragionevoli”. Le aste per gli operatori sono in corso, ma si procede in modo frammentato, con procedure e tempi diversi da Paese a Paese. E spesso con prezzi che lievitano. “Oggi" ha affermato il ceo di Ericsson "un'asta è considerata un successo se aumenta la cifra incassata dal Stato, mentre dovremmo considerare tutti gli altri benefici che si otterrebbero dal rapido sviluppo delle infrastruttura per le telecomunicazioni”.
L'Italia (che è una delle nazione in cui l'assegnazione dello spettro è più avanzata), ha brindato ai 6,5 miliardi di euro incassati, ben oltre i 4 miliardi che la Legge di Bilancio aveva fissato come limite minimo. Le società interessate hanno messo sul piatto oltre 2 miliardi per i lotti della banda 700 Mhz, 4,3 per quella 3700 Mhz e 163,7 milioni per quella 26 Ghz. Il Financial Times, in un'analisi di gennaio, aveva proprio citato il caso italiano per indicare un rischio: prezzi esosi rischiano di pesare troppo sui bilanci degli operatori, già alle prese con margini ridotti dalla feroce concorrenza, e sugli investimenti futuri. Il ceo di Orange, Stéphane Richard, aveva detto le stesse cose di Ekholm, con vocabolario più netto: l'asta sarebbe stata “una tragedia” per le Tlc italiane.