Da qui al 2050 la domanda di petrolio al mondo aumenterà e questa crescita sarà trainata più dalla petrolchimica che dalle automobili. Lo afferma l’Associazione Internazionale dell’Energia (IEA) in un report dal titolo The Future of Petrochemicals. Il rapporto propone uno scenario da qui a trent’anni ed è incentrato sulla petrolchimica (produzione di plastiche e fertilizzanti, ma anche di gomme sintetiche per pneumatici, detersivi, abbigliamento, apparecchi digitali e medici), un settore che secondo l’IEA è una chiave di volta per capire gli sviluppi del comparto energetico, che è anche strettamente legato a delicati equilibri geopolitici.
Il rapporto dell’IEA mostra che nel 2017 il settore petrolchimico incideva per il 12% sulla domanda totale di petrolio a livello globale. Secondo l’Agenzia, nel 2030 la percentuale destinata al settore petrolchimico arriverà al 14% e poi al 16% nel 2050, mentre la percentuale di petrolio richiesta per i carburanti dei veicoli quali automobili private (non camion o veicoli industriali) scenderà dal 27% di oggi al 22% del 2050, passando per il 26% del 2030.
Questo calo dell’impatto del settore dell’automobile va in controtendenza con l’aumento notevole della flotta di auto, che secondo l’IEA raddoppieranno da qui al 2050. Un risultato che, come vedremo, non deve sorprendere: all’orizzonte ci sono le auto elettriche e ibride, oltre che la diffusione dei biocarburanti.
A livello geografico, secondo IEA sarà il Medio Oriente la regione che trainerà la crescita del settore petrolchimico: molti paesi produttori di petrolio stanno diversificando le proprie industrie spostandosi proprio sulle raffinerie e sul settore petrolchimico, in modo da poter accogliere questi cambiamenti nella mobilità. Stesso discorso vale per la Cina e anche per gli Stati Uniti (almeno fino al 2030). Infine, l’IEA indica anche l’India e altre economie emergenti dell’Asia come paesi nei quali è attesa una crescita per ciò che riguarda la richiesta di materie chimiche quali plastiche e fertilizzanti prodotte dal petrolio.
La crescita della domanda di petrolio
Secondo i dati forniti dal World Oil Outlook dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) nel 2017 la domanda globale di petrolio era quantificata a 97,2 mb/d (milioni di barili al giorno), mentre la British Petroleum (BP), nella sua Statistical Review of Energy 2018, ci fornisce il numero di barili consumati, che si attesta intorno ai 98 mb/d. Secondo il report mensile sul mercato globale del petrolio edito dall’OPEC (nella versione più aggiornata dell’11 ottobre 2018) per l’anno in corso si stima una domanda di 98.79 mb/d, una crescita di 1,5 mb/d rispetto al 2017.
Per la domanda del 2019 l’OPEC si aspetta il superamento della barriera dei 100 mb/d. La crescita attesa per il 2040 dovrebbe portare a una domanda di 111.7 i milioni di barili al giorno, per un aumento, rispetto a oggi, di 14,5 mb/d.
Nel mondo gli Stati Uniti sono il principale consumatore mondiale di petrolio: un quinto del consumo mondiale, infatti, è a stelle e strisce (20,2%). A livello continentale è l’Asia (compresi paesi del Pacifico) a trainare i consumi, con il 35% abbondante di petrolio utilizzato. Di questo 35%, più di un terzo è a carico della Cina. L’Europa - senza la Russia - consuma il 15% del petrolio mondiale. L’Italia, dal canto suo, consuma 1,2 mb/d (1,3% mondiale).
Il Medio Oriente è la regione leader della produzione: più del 34% del petrolio mondiale, nel 2017, è stato prodotto qui. A livello nazionale, il record spetta agli USA (14,1% del petrolio globale), seguiti dall’Arabia Saudita (12,9%) e dalla Russia (12,2%). Danimarca, Italia e Romania sono i principali paesi produttori dell’Unione Europea. Europa che, nella sua interezza, produce meno del 4% del petrolio al mondo. Nigeria (2,1%), Angola (1,8%) e Algeria (1,7%) sono i principali produttori africani davanti alla Libia (0,9%). Libia che, tra 2006 e 2016, segna un calo della produzione del 13,5%, mentre tra 2016 e 2017 ha fatto al contrario registrare il più alto incremento mondiale di produzione, passando dai 426 mila barili al giorno del 2016 agli 865 mila barili giornalieri del 2017 (+102,9% tra il 2016 e 2017).
I numeri della plastica
La domanda di plastica - il materiale petrolchimico che guida questa crescita del settore nell’aumento di domanda di petrolio - ha stabilmente superato quella di altri materiali come alluminio, acciaio e cemento ed è raddoppiata rispetto all’inizio del millennio. Secondo i dati di Plastics Europe, nel 2016 sono state prodotte nel mondo 335 milioni di tonnellate di plastica (322 nel 2015).
La metà è prodotta in Asia. Come paese, la Cina è il principale produttore mondiale di (29%), seguito a distanza da Europa (19%) e paesi del NAFTA (USA, Canada e Messico, insieme al 18%).
Non solo: a livello pro capite, Stati Uniti ed economie avanzate quali Unione Europea e Giappone utilizzano 20 volte più plastica rispetto ad economie emergenti. In Europa, Corea del Sud e Giappone il riciclo sta diventando via via sempre più diffuso ed efficiente e contemporaneamente sono state attuate campagne e iniziative per sensibilizzare sull’uso della plastica, in particolare quella usa e getta, come le cannucce. Tuttavia, spiega l’IEA, visti gli enormi spazi di mercato offerti proprio dai paesi con economie emergenti il consumo di plastica continuerà ad aumentare nonostante le più restrittive politiche sull’uso quotidiano attuate dall’Unione Europea e da Corea e Giappone. Inoltre, l’IEA riconosce che l’aumento dell’impatto della petrolchimica e in particolare della plastica è anche dovuto al ruolo che la plastica ha anche nello sviluppo di tecnologie legate all’energia rinnovabile e all’efficienza energetica. La petrolchimica è infatti coinvolta nella produzione di pannelli solari, turbine eoliche, batterie, isolanti termici e veicoli elettrici.
La diffusione di carburanti non derivanti da greggio
Nonostante la crescita maggiore nel settore della petrolchimica, il trasporto di persone e cose rimane comunque il principale settore di impiego del petrolio e dei suoi derivati. In questo ambito però dagli anni Novanta sono emerse nuove tecnologie per la produzione di carburanti a partire dalla lavorazione di alcuni tipi di piante o altre fonti biologiche, come i grassi animali. Scopo principale di questi carburanti, i biofuels, è quello di fornire energia - in questo caso per i trasporti - ma generando un impatto ambientale più contenuto rispetto a quello conseguente dai classici derivati del petrolio. Inoltre, sviluppare carburanti da residui agricoli e forestali e da scarti urbani e industriali può essere un esempio virtuoso di riduzione dello spreco e di attuazione di esempi di economia circolare.
I biocarburanti hanno una produzione strettamente legata allo sfruttamento delle biomasse e al recupero di oli vegetali o grassi animali esausti. Questo tipo di alimentazione richiede una filiera produttiva decisamente più complessa rispetto ad altre forme alternative di approvvigionamento energetico come il solare o l’eolico. Servono infatti fornitori di materie prime, luoghi e metodi di stoccaggio, tecnologie che sappiano trasformare le biomasse e naturalmente anche una catena di distribuzione efficiente per portarle ai consumatori. Oggi, afferma il rapporto Global Status Report 2018 di REN21, le tecnologie necessarie per produrre biocarburanti esistono e sono anche già piuttosto disponibili sul piano commerciale, ma università, centri di ricerca e governi puntano ad allargare la diffusione e la competitività sul mercato con lo scopo di incentivare la diffusione dei biocarburanti.
Il processo da biomassa a carburante è complesso poiché richiede diversi passaggi, processi e materiali di partenza. Nel caso del bioetanolo, la biomassa vegetale viene convertita in diversi prodotti intermedi i quali, attraverso la fermentazione alcolica, consentono poi di ottenere l’etanolo necessario per il biocombustibile. Se i materiali di partenza sono oli vegetali, grassi da cucina e grassi animali, i processi e le trasformazioni consentiranno di ottenere biodiesel, un carburante che per altro non dovrebbe richiedere alcun intervento sui motori che lo utilizzano. Il biodiesel ha diversi vantaggi sul piano ambientale: non è tossico, è biodegradabile in un mese, è sicuro da maneggiare e da trasportare ed è mescolabile con il diesel classico.
Come attesta il Global Status Report 2018 di REN21, il network mondiale sulle energie rinnovabili, l’80% dei cosiddetti biocarburanti è prodotto da tre soli attori: Stati Uniti, Brasile e Europa. Si tratta di un settore piccolo, seppure in crescita: nel 2017 la crescita sull’anno precedente è stata complessivamente del 2,5%. Nel complesso la produzione mondiale dello scorso anno si è attestata a 143 miliardi di litri prodotti tra etanolo, biodiesel e oli vegetali trattati, che corrisponde all’incirca alla quantità di petrolio che viene consumata a livello mondiale in una decina di giorni (per tutti gli utilizzi).
Gli ultimi dati di REN21 a disposizione si riferiscono al 2017 e mostrano un aumento della produzione di tutte le tipologie di biocarburanti. Per l’etanolo l’aumento è stato del 3,8%, con gli Stati Uniti a guidare la produzione con 60 miliardi di litri l’anno, frutto di un’annata particolarmente buona dal punto di vista del raccolto. Il 90% di questa produzione è stata destinata al mercato interno. Per il biodiesel la crescita si è assestata attorno all’1%, con gli Stati Uniti in prima posizione assoluta anche in questo caso.
Ma si tratta di un settore meno concentrato rispetto all’etanolo e la quota americana è solamente del 16%, seguita da quelle brasiliana (11%), tedesca (9%), argentina (9%) e indonesiana (7%). Per quanto riguarda gli oli di origine animale o vegetale trattati con processi di idrogenazione (HVO/HEFA) la produzione è concentrata in quattro paesi: Finlandia, Paesi Bassi, Singapore e Stati Uniti. L’aumento di produzione nel 2017 è stimato attorno al 10%, passando dai 5,9 miliardi di litri del 2016 a 6,5 miliardi di litri. Per la crescita di produzione in questo settore si devono sottolineare due fattore determinanti: l’andamento dei raccolti e la disponibilità di terreno da coltivare per alcuni biocarburanti di origine vegetale, e lo scenario di dazi internazionali che hanno effetti sul commercio soprattutto del biodiesel.
Diffusione di trasporti alimentati da energia rinnovabili
A determinare sostanzialmente la domanda di petrolio per il settore dei trasporti saranno sempre più la regolamentazione e gli obiettivi della politica. Per quanto riguarda l’Europa, per esempio, nel settore dei trasporti il quadro di riferimento è fornito dalla Direttiva 2009/28/CE che fissa al 10% di trasporto basato su energie rinnovabili l’obiettivo da raggiungere entro il 2020. Al 2016 la situazione non appare omogenea, con alcuni esempi di grandi virtuosità, come la Svezia, e altri, come Paesi Bassi e Germania, che sembrano rimasti indietro.
L’Italia ha mostrato un aumento della propria quota di trasporto da rinnovabili e ha raggiunto nel 2016 il 7,2%.
Negli ultimi anni ha giocato un ruolo anche la diffusione delle automobili elettriche, argomento di cui abbiamo ampiamente scritto nel 2017, con tecnologie che rendono sempre più competitive le prestazioni. Secondo il Global Status Report di REN21, complessivamente le energie rinnovabili contano solamente per il 2,9% dell’energia impiegata per il trasporto, a cui si affianca un 1,4% di veicoli mossi dall’energia elettrica. Qui va però sottolineato che solo una parte, il 26%, dell’elettricità consumata dai veicoli è di origine rinnovabile.
Sul fronte della flotta di auto elettriche, il Transport Outlook 2017 dell’OCSE, prevede un aumento rapidissimo della diffusione dei veicoli elettrici per il trasporto privato, arrivando a toccare 150 milioni nel 2040.
Previsione più ottimistica è quella fornita dall’OPEC. Secondo il loro World Oil Outlook 2018, la flotta di auto elettriche del 2040 potrebbe scollinare quota 320 milioni, senza per questo cambiare di molto il rapporto con i 2 miliardi e mezzo di auto che si muoveranno allora per le strade del mondo.
Nello stesso rapporto si ricava una fotografia dei veicoli commerciali. Un settore, quello del trasporto merci su gomma, che è ancora quasi tutto da costruire sul fronte dell’elettrico. Secondo gli esperti del documento OPEC, nel 2040 circoleranno 442 milioni di veicoli commerciali di varie dimensioni, ma solo il 4% sarà elettrico. Combinando insieme i dati su auto e veicoli commerciali, la quota elettrica della flotta potrebbe raggiungere quota 13%. Si supererebbe così a livello globale solamente nel 2040 l’obiettivo che l’Europa si è data per il 2020. Nel frattempo, sul fronte della domanda e delle destinazioni d’uso del petrolio un peso determinante sarà quello immediato delle scelte politiche dei due grandi paesi consumatori, Stati Uniti e Cina, e le politiche ambientali dei paesi cosiddetti emergenti, come per esempio un potenziale nuovo Brasile di Bolsonaro.
Articolo realizzato in collaborazione con Eni