La finestra di opportunità per evitare gli effetti più disastrosi dei mutamenti climatici si sta chiudendo rapidamente; al momento infatti il riscaldamento globale è di 1,1°C rispetto ai livelli preindustriali e tutte le regioni del mondo sono già alle prese con fenomeni climatici sempre più distruttivi. A seguito dell’ultimo rapporto dell’International Panel on Climate Change (IPCC), il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha affermato che la situazione attuale rappresenta un codice rosso per l’umanità.
A inizio novembre a Glasgow, Regno Unito, si è tenuto il 26° incontro della Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). È opinione comune che si tratti dell’evento più importante sulla questione del cambiamento climatico dalla firma dell’Accordo di Parigi nel 2015. La rilevanza risiede nell’approccio bottom-up alla mitigazione del clima, in linea con l’Accordo di Parigi. In base alle stime, i piani nazionali (NDC) presentati nel 2015 comporteranno probabilmente un riscaldamento di circa 3,2 gradi entro fine secolo, un dato molto superiore agli obiettivi dell’Accordo di Parigi che prevede di mantenere l’aumento della temperatura ben al di sotto di 2 gradi e preferibilmente di limitarlo a 1,5 gradi rispetto al livello preindustriale.
In ogni caso, l’Accordo di Parigi comprende un “meccanismo al rialzo” (“ratchet mechanism”) quinquennale, pensato per la revisione in positivo delle ambizioni nel tempo. In effetti, prima della COP26, i governi sono stati chiamati a presentare nuovi e più ambiziosi NDC, e la maggior parte lo ha fatto. Tuttavia, gli impegni per il 2030 rivisti risultano inadeguati e si prevede condurranno a un riscaldamento di 2,4 gradi entro fine secolo. Per limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C occorrerà ridurre le emissioni globali del 45 percento entro il 2030, un trend in netto contrasto con l’incremento del 14 percento stimato sulla base degli NDC rivisti (v. grafico 1).
Al di là degli obiettivi per il 2030, molti Paesi si sono impegnati ad azzerare le emissioni nette o a raggiungere la neutralità carbonica verso la metà del secolo (la maggior parte entro il 2050, alcuni - Cina compresa - entro il 2060 e, nel caso dell’India, entro il 2070). Durante la COP26, la IEA ha pubblicato un’analisi da cui emerge che, in caso di raggiungimento di tutti gli NDC, gli impegni per l’azzeramento delle emissioni nette/la neutralità carbonica e gli impegni di altro genere presi a Glasgow o in precedenza, il riscaldamento globale potrebbe limitarsi a 1,8°C (v. grafico 2). È la prima volta che gli impegni nazionali fanno scendere le stime di emissioni sotto i 2°C, ma occorre tener presente che molti degli obiettivi a lungo termine non sono supportati dalle politiche e dalle misure esistenti.
Il Glasgow Climate Pact
Pertanto, in molti casi le autorità guardavano a Glasgow come a un’occasione per indurre, o almeno incoraggiare, i vari Paesi a rivedere gli obiettivi di mitigazione nell’immediato, senza aspettare altri cinque anni. Il documento finale della COP26, il Glasgow Climate Pact (GCP), invita “le Parti a rivedere e rafforzare gli obiettivi al 2030 nei contributi determinati a livello nazionale al fine di allinearsi al target di aumento della temperatura fissato dall’Accordo di Parigi entro la fine del 2022, senza dimenticare le differenze a livello nazionale” . Inoltre, il Patto prevede che il segretariato proceda a un aggiornamento annuale della relazione di sintesi che valuta l’impatto cumulativo degli NDC. Le due misure rafforzeranno ulteriormente il meccanismo al rialzo.
In base all’Accordo di Parigi, la revisione degli NDC sarebbe avvenuta tra cinque anni e nel 2023 si sarebbe provveduto a una valutazione intermedia dei progressi tramite la redazione di un bilancio globale. La predisposizione di tale bilancio è iniziata e il GCP “accoglie con favore l’avvio della valutazione globale e si augura che il processo sia onnicomprensivo, inclusivo e coerente”. A Glasgow è stato annunciato che la COP28 si terrà nel novembre 2023 negli Emirati Arabi Uniti e avrà un impatto significativo sull’esito della valutazione intermedia.
Sebbene le Parti abbiano adottato il patto all’unanimità, una delle principali sfide nel 2022 riguarderà l’eventuale ulteriore revisione degli NDC e ad oggi non è affatto chiaro quanti Paesi provvederanno all’aggiornamento. Il giorno dopo la Conferenza, il governo australiano ha dichiarato che: “l’obiettivo al 2030 dell’Australia è fisso” , mentre i media hanno riportato una dichiarazione del ministro neozelandese per il cambiamento climatico secondo cui tale disposizione riguardava solo i Paesi con “target inadeguati”, e non era il caso della Nuova Zelanda. In ogni caso, in seno al Parlamento europeo, il dibattito sull’esito della conferenza di Glasgow ha portato alla formulazione di richieste all’UE di adottare target di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030 più ambiziosi.
La COP26 è stata anche un’opportunità fondamentale per fissare obiettivi più ambiziosi in materia di finanza climatica, adattamento ai mutamenti climatici e “perdite e danni” derivanti dal clima, nonché per definire le regole di attuazione dell’Accordo di Parigi. Alla luce dell’impatto sempre più forte del cambiamento climatico in tutto il mondo, l’urgenza di reperire finanziamenti internazionali e promuovere la cooperazione volta a gestire gli effetti dei mutamenti climatici e accrescere la resilienza agli stessi non è mai stata più grande. Ciò vale in particolar modo per i Paesi in via di sviluppo e le regioni più vulnerabili.
Un elemento essenziale per il GCP è stato il riconoscimento del contributo della scienza e, in particolare, l’autorità ha “accolto con favore” la costituzione del Gruppo di lavoro I dell’IPCC e “preso visione con seria preoccupazione” delle conclusioni tratte da quest’ultimo. Il GCP ha anche riconosciuto che l’impatto di un riscaldamento di 1,5 gradi sarebbe molto inferiore a quello di un rialzo delle temperature di 2 gradi, e pertanto le Parti “devono impegnarsi” a portare avanti le iniziative volte a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Nel 2022 l’IPCC pubblicherà i risultati dei Gruppi di lavoro II (su impatto, adattamento e vulnerabilità) e III (sulle opzioni di mitigazione), nonché un rapporto di sintesi del lavoro di tutti e tre i gruppi. Tali informazioni probabilmente influiranno sull’approccio di opinione pubblica e autorità politiche alla COP27 che si terrà in Egitto a novembre 2022.
Al di là dei negoziati formali nell’ambito della COP, la presidenza ha organizzato giornate a tema in cui sono state annunciate e/o discusse iniziative settoriali strategiche volte ad accrescere il profilo, la portata e l’adesione. Sebbene i temi trattati non fossero sempre nuovi o unici, la discussione è stata accolta con favore poiché contribuisce a dare ulteriore slancio all’attività di mitigazione tramite l’aumento dei finanziamenti, l’invito a Stati e settore privato a definire target e piani d’azione e la promozione della cooperazione e del confronto peer to peer. A catalizzare l’attenzione nel corso del summit sono stati: la Glasgow leaders declaration on forest and land [dichiarazione dei leader intervenuti a Glasgow su aree forestali e suolo], con cui 130 Paesi si sono impegnati ad arrestare e invertire il processo di distruzione delle foreste entro il 2030; il lancio formale del Global Methane Pledge [impegno globale in relazione al metano], con cui i Paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di metano del 30 percento entro il 2030; e il lancio della Glasgow Financial Alliance for Net-Zero (GFANZ), una collaborazione finanziaria per l’azzeramento delle emissioni nette con cui i rappresentanti di 450 aziende di 45 Paesi hanno destinato 130.000 miliardi di dollari alla transizione a “net zero” al fine di azzerare le emissioni nette entro il 2050 e raggiungere un traguardo intermedio al 2030.
La “prima volta” dei combustibili fossili
Il persistente ricorso ai combustibili fossili è stato sottolineato tanto nei negoziati formali quanto in quelli informali. In termini di iniziative di settore, la presidenza ha posto l’accento sull’uso del carbone, si pensi alla Global coal to clean power transition’ [transizione globale dal carbone all’energia pulita] e all’annuncio dell’adesione di nuovi Paesi alla Powering Past Coal Alliance [cooperazione per l’abbandono del carbone], con la quale i membri si impegnano a elaborare piani per eliminare gradualmente il carbone dal mix energetico. Inoltre, i governi di Danimarca e Costa Rica hanno lanciato una nuova iniziativa, la Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA), con cui i Paesi membri, tra cui Francia, Svezia, Irlanda e Groenlandia, cercano di promuovere una transizione controllata e giusta da petrolio e gas a energie più pulite.
Il tema dei combustibili fossili ha anche dato luogo ad alcune tensioni nelle fasi finali della conferenza, quando all’ultimo momento il governo indiano ha contestato la bozza del testo finale in cui si chiedeva di “accelerare l’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili inefficienti”. A seguito di negoziati, la dicitura “eliminazione graduale” è stata sostituita con “riduzione graduale”. L’insistenza sul cambiamento dell’ultimo minuto ha messo in agitazione alcuni paesi, ma simili modifiche linguistiche hanno un impatto limitato sulle parti non direttamente coinvolte nei negoziati ed la prima volta che nella dichiarazione finale di una COP è presente un riferimento esplicito alla riduzione dell’uso di combustibili fossili.
Nonostante la grande attesa e le dichiarazioni del periodo precedente era chiaro che i risultati della COP26 non sarebbero bastati a garantire emissioni globali in linea con l’Accordo di Parigi e l’obiettivo della Presidenza di “mantenere in vita il target di 1,5 gradi”, ribadito più e più volte, era il massimo risultato auspicabile. Malgrado i progressi su diversi fronti, la rilevanza effettiva degli impegni assunti sarà determinabile solo in presenza di ulteriori passi avanti nei prossimi dodici mesi. Pertanto, in riferimento alla mitigazione del cambiamento climatico, sarà essenziale vedere quanti Paesi rivedranno e rafforzeranno i rispettivi NDC in vista della COP27 e se tali aggiornamenti si tradurranno in un avvicinamento significativo di emissioni globali e target dell’Accordo di Parigi.
* Consulente in politica energetica e ricercatore senior presso Chatham House, uno dei più accreditati think tank a livello mondiale.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre 2021 di WE World Energy. WE World Energy è il magazine internazionale sul mondo dell'energia pubblicato da Eni - diretto da Mario Sechi - che con il suo portato di esperienza e scientificità si è guadagnato una posizione di grande rilievo nel panorama internazionale dei media di settore.