Articolo aggiornato alle ore 11.20 del 3 dicembre 2018.
Il Qatar ha annunciato che dal primo gennaio 2019 uscirà dall'Opec, cambiando così la configurazione del cartello che regola la politica energetica dei 15 Paesi produttori. La decisione arriva a tre giorni dal vertice in cui l'Organizzazione degli esportatori di greggio, insieme alla Russia e ad altri alleati, dovrebbe decidere un ritorno ai tagli di produzione. È proprio questo, insieme alla sorprendente decisione del Qatar, che ha determinato sui mercati un'impennata del prezzo del petrolio, salito tra il 3% e il 4%, con il Wti sopra quota 53 dollari e il Brent saldamente sopra 60 dollari.
La mossa del Qatar, annunciata a Doha dal nuovo ministro per l'Energia, Saad al-Kaabi, avviene mentre l'emirato è dal giugno scorso in aperto conflitto con quattro Stati arabi - l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e l'Egitto - i quali hanno imposto un embargo commerciale sul Qatar, accusandolo di sostenere il terrorismo. Nel comunicato che annuncia l'uscita dall'Opec, non si fa cenno a queste tensioni, anzi, il ministro Saad al-Kaabi parla di decisione "tecnica e strategica", nega che la scelta sia legata a questioni politiche o al boicottaggio economico e fa piuttosto riferimento al "desiderio del Qatar di focalizzare i suoi sforzi nello sviluppo dell'industria del gas, implementando il piano per accrescere la produzione di Gnl da 77 a 110 milioni di tonnellate l'anno".
Il Qatar, si spiega nella nota, continuerà a produrre petrolio ma si concentrerà nella produzione di gas naturale liquefatto, di cui è il primo produttore mondiale. "Non abbiamo un grande potenziale petrolifero - ha detto il ministro - siamo molto realisti. Il nostro potenziale è nel gas".
Le decisioni dell'Opec
Il vertice Opec di giovedì prossimo dovrà decidere la politica da adottare fino a primavera. Il mese di novembre è stato il peggiore degli ultimi dieci anni per i prezzi del greggio e per questo i paesi produttori con in testa Russia e Arabia Saudita starebbero valutando un taglio nell'ordine di 1-1,4 milioni di barili al giorno. Il Brent venerdì ha concluso le contrattazioni in calo di 80 centesimi sotto la soglia fatidica dei 60 dollari al barile mentre il Wti ha ceduto 52 centesimi poco sopra quota 50 dollari. Entrambi gli indici, il mese scorso, hanno perso oltre il 22% e per ritrovare un calo così forte bisogna tornare al 2008, anno della grande crisi finanziaria.
Trump si mette di traverso
All'ultimo vertice il Cartello aveva deciso di aumentare il greggio sul mercato di un milione di barili al giorno per far scendere le quotazioni che veleggiavano verso gli 80 dollari. Secondo gli analisti, se l'Opec "non deciderà di abbassare la produzione di almeno un milione di barili al giorno, gli investitori resteranno molto delusi" con un ulteriore calo delle quotazioni. Russia e Arabia Saudita, rispettivamente leader dell'Opec e dei produttori che non fanno parte del Cartello, stanno ancora valutando il da farsi. Il tutto mentre il presidente Usa, Donald Trump, sta facendo forti pressioni per mantenere i livelli invariati e agevolare così gli automobilisti americani.
Giovedì scorso il ministro dell'Energia russo Alexander Novak ha detto che "la fascia di prezzo corrente va bene sia per i produttori che per i consumatori" aggiungendo tuttavia che le compagnie russe "sono pronte a cambiare i volumi di produzione". "Non dirò - ha aggiunto Novak - la nostra posizione in anticipo perché siamo ancora in fase di valutazione. Sono sicuro che con i nostri colleghi dei paesi Opec e non Opec, troveremo una soluzione coordinata a beneficio del mercato petrolifero".
Al G20 di Buenos Aires il presidente russo Vladimir Putin e il principe saudita Mohammed Bin Salman, noto come MbS, dovrebbero aver stabilito una strategia in vista delle riunioni del 6 e 7 dicembre. Ma sulla decisione aleggia il fantasma del giornalista Jamal Khashoggi barbaramente ucciso nel consolato saudita di Istanbul lo scorso 2 ottobre. Secondo la Cia infatti l'ordine di uccidere sarebbe venuto proprio da Mbs. Molti analisti sostengono che Trump per mettere a tacere le speculazioni sul caso abbia chiesto a Riad di lasciare i livelli produttivi invariati.
Perché i prezzi sono crollati in poco più di un mese
Il crollo dei prezzi è avvenuto in poco più di un mese (prima della decisione odierna del Qatar): basti pensare che il 24 settembre il Brent aveva superato gli 80 dollari al barile (80,94 ai massimi da 4 anni). A cambiare gli scenari sono state le sanzioni Usa all'Iran scattate il 5 novembre che ha fatto prevedere a operatori, produttori e investitori un calo dell'offerta globale di greggio. In realtà tale contrazione non c'è stata, anzi, si è manifestato il fenomeno opposto.
I Paesi produttori in previsione del venir meno della quota iraniana hanno cominciato a pompare più petrolio sul mercato con la domanda che restava stabile. Basti pensare che a novembre l'Arabia Saudita ha registrato il record storico di produzione a 11,2 milioni di barili al giorno, livello mai toccato prima. A tutto ciò si è aggiunta la decisione da parte degli Stati Uniti di esentare otto paesi, tra cui l'Italia, dalle sanzioni a Teheran. L'effetto combinato di questi due fattori ha provocato il crollo delle quotazioni con le scorte statunitensi aumentate per la decima settimana consecutiva, la prima volta dal 2015.
La prudenza di Mosca
Nelle scorse settimane il ministro dell'Energia saudita Khalid al-Falih aveva dichiarato che l'Opec e i suoi alleati avrebbero ridotto di circa un milione di barili al giorno l'offerta di petrolio nel 2019 rispetto ai livelli di ottobre. A tale affermazione erano seguiti i tweet infuocati di Trump e una certa freddezza di Putin che aveva definito "bilanciato e giusto" un prezzo del petrolio attorno ai 60 dollari al barile. Più o meno i livelli attuali. La settimana scorsa fonti russe citate da Reuters affermavano che Mosca si stava convincendo della necessità di apportare i tagli per rialzare i prezzi. Le trattative portate avanti con Riad verterebbero su tempi e volumi della riduzione.