Il 22 agosto, il satellite ADM-Aeolus dell’Agenzia spaziale europea (Esa) è stato lanciato in orbita con successo dalla base di Kourou, nella Guyana francese. Il progetto è il quinto tra le missioni principali della serie Earth Explorer dell’Esa, che studiano le componenti atmosferiche e l’impatto dell’essere umano sull’ambiente.
Aeolus – la cui missione è costata in tutto circa 500 milioni di euro – ha l’obiettivo di migliorare le previsioni meteorologiche, grazie a una mappatura dei venti a livello globale. Girerà intorno alla Terra per i prossimi tre anni a 320 chilometri di altitudine: una distanza relativamente bassa rispetto a quella degli oltre 1.800 satelliti che sorvolano attualmente il nostro pianeta, anche ad altezze di decine di migliaia di chilometri.
Il progetto ha avuto una gestazione lunga e complicata, soprattutto per la realizzazione dello strumento principale a bordo del satellite: un dispositivo lidar (Light Detection and Ranging) che consente di stabilire quanto è distante un oggetto, la sua velocità e la sua composizione chimica grazie all’emissione di un impulso laser. In pratica, il funzionamento di un lidar è simile a quello di un radar, solo che il primo usa la luce ultravioletta invece delle onde radio
La sfida tecnologica di Aeolus stava nel riuscire a mettere una tecnologia simile sopra a un satellite e di assicurarsi che funzionasse a lungo nello Spazio: per vincerla, sono serviti oltre quindici anni di ricerche. Visti i continui rinvii del lancio, in diversi avevano cominciato a pensare che la sua realizzazione fosse addirittura «impossibile», come ha spiegato alla BBC Josef Aschbacher, direttore del Centro Esa per l’Osservazione della Terra.
Ma ora Aeolus è finalmente in orbita, e punta verso la Terra un lidar chiamato Aladin (Atmospheric LAser Doppler INstrument), realizzato in Italia da Leonardo e costituito principalmente da tre componenti.
Il primo è appunto un sistema laser che dirige una serie di impulsi ultravioletti – con una lunghezza d’onda di 350 nanometri – verso gli atomi che compongono l’atmosfera a 30 chilometri di quota dal livello del mare.
Nella collisione tra impulsi e particelle, milioni di fotoni vengono rimbalzati e raccolti da un telescopio a bordo del satellite, che inclinato di 35 gradi rispetto al piano dell’orbita riceve la luce perpendicolarmente alla sua direzione di marcia e la veicola a una terza componente, il ricevitore. Quest’ultimo confronta la frequenza delle onde ultraviolette riflesse con quella delle onde emesse dal laser, con l’ausilio di due analizzatori ottici.
I dati – che inizieranno ad arrivare a gennaio 2019 – consentiranno per la prima volta una misurazione diretta dei venti. Fino ad oggi, infatti, le tecniche per conoscere forza e direzione di questi fenomeni meteorologici hanno fatto per lo più ricorso a misurazioni indirette, per esempio analizzando il movimento delle nubi con aerei e palloni sonda, oppure osservando le onde marine.
Aeolus permetterà quindi di creare una mappatura dettagliata delle masse d’aria che attraversano l’atmosfera (con circa 120 profili ogni ora), fornendo ai meteorologi informazioni più precise per previsioni del tempo più affidabili
Alcuni esperti ritengono che il nuovo satellite migliorerà le percentuali di accuratezza dei bollettini meteo del 15 per cento nelle zone dei tropici, e del 2-4 per cento in quelle extra-tropici.
Questa innovazione può aiutarci anche a comprendere meglio lo sviluppo dei cambiamenti climatici, ma è importante sottolineare che l’utilizzo di Aeolus riguarda principalmente il campo della meteorologia, e non della climatologia.
La prima studia l’atmosfera terrestre e i suoi parametri – come temperatura, umidità, vento e nuvolosità – nel breve periodo e su scala locale, per prevedere ad esempio quale tempo ci sarà nei prossimi giorni. La seconda invece analizza questi parametri da un punto di vista diverso: si concentra su intervalli di tempo più lunghi – per esempio decenni o secoli – per descrivere su scala globale le caratteristiche passate del clima e prevederne lo sviluppo futuro.
In breve: studiare il meteo serve a capire se domani pioverà; studiare il clima se gli inverni di oggi sono più freddi di quelli dell’inizio del secolo.
Un confronto storico
Sono 1886 i satelliti che girano attualmente attorno al nostro Pianeta, secondo le informazioni raccolte dal Satellite Database della Union of Concerned Scientists. Nuovi satelliti vengono lanciati ogni anno - nei primi quattro mesi del 2018 sono stati 118 - e altri vengono decommissionati o cessano le proprie attività, di solito distruggendosi al rientro controllato in atmosfera.
Scorrendo sulla mappa soprastante confrontiamo gli anni ‘60 rispetto a oggi. In mezzo secolo il numero di paesi che ha lanciato in orbita almeno un satellite è cresciuto in maniera esponenziale, dai pochi degli inizi ai 64 attuali, con gli Stati Uniti che da soli ne hanno quasi la metà (859).
L’Italia ne possiede 10, di cui quattro in capo a collaborazioni internazionali con Francia, Belgio, Spagna, Grecia e Cina. Oltre a questi, l’Italia partecipa a quelli Europei, come i Meteosat dell’Agenzia Spaziale Europea e della European Meteorological Satellite Organisation (EUMETSAT).
A cosa servono i satelliti
A seconda degli strumenti che portano a bordo e della progettazione, i satelliti possono svolgere diversi compiti, spesso più di uno contemporaneamente. I principali sono sono legati alle telecomunicazioni (segnali televisivi, telefonici, ecc.) e alla navigazione (GPS), ma l’osservazione della Terra, che comprende anche i dati meteorologici, rappresentano una delle fette più consistenti.
Un’altra importante categoria di satelliti sono i dimostratori tecnologici, utilizzati in particolare per verificare se le idee dietro alle tecnologie possono effettivamente funzionare in ambiente ostile come lo spazio. Attualmente ce ne sono in orbita 221, tra dimostratori puri e non, e a questa flotta si è appena andato ad aggiungere Aeolus, che dovrà dimostrare di poter studiare in modo accurato i venti terrestri.
Uno degli obiettivi dei satelliti di nuova generazione è fornire previsioni meteo accurate in tempi sempre più brevi. Nel 2016 la NASA ha lanciato il Cyclone Global Navigation Satellite System (CYGNSS) per monitorare la traiettoria e l’intensità dei cicloni tropicali quasi in tempo reale.
EUMETSAT, attiva dal 1986, fornisce dati meteo a un consorzio internazionale europeo più la Turchia e sviluppa satelliti in collaborazione con ESA, come la terza generazione di Meteosat, che verrà lanciata nel 2021. Lo scopo è fornire dati per le previsioni sempre più precise e utili per le allerte, con impatti determinanti sulla mobilità aerea, navale e terrestre, ma anche con un ruolo chiave per l’agricoltura. In questo campo, i satelliti sono stati inizialmente utilizzati soprattutto per stimare le rese delle colture nei campi, permettendo di minimizzare i rischi di carestia e organizzare gli aiuti in caso di perdite di raccolto in una regione.
Oggi si parla sempre più di agricoltura di precisione, dove i dati meteo satellitari vengono integrati con quelli al suolo, per programmare meglio l’irrigazione, la distribuzione dei fertilizzanti e i piani di trattamento antiparassitari. Così si riducono sia i costi che l’impatto ambientale. I satelliti osservano anche le foreste, misurandone l’estensione e la loro capacità di assorbire carbonio, una caratteristica importante per il contrasto al cambiamento climatico.
Articolo realizzato in collaborazione con Eni
Fonti: RAI Scuola EUMETSAT