La Bce non è preoccupata solo dalla volatilità dell'euro "che è fonte di incertezza", ma anche dalle politiche Usa. Il messaggio di Mario Draghi è indirizzato, senza mai citarla, all'amministrazione americana.
E proprio mentre proferisce queste parole l'euro vola sopra quota 1,25 ai massimi da tre anni. "Diversi membri del Consiglio direttivo hanno espresso preoccupazioni che vanno al di là del semplice tasso di cambio e che riguardano lo stato generale delle relazioni internazionali in questo momento", sottolinea Draghi, riferendosi ai rapporti con gli Stati Uniti.
"C'è preoccupazione - aggiunge - e c'è una preoccupazione ulteriore. Se tutto ciò dovesse portare a una stretta di politica monetaria indesiderata e che non è giustificata, allora dovremmo ripensare alla nostra strategia". Il rialzo della moneta infatti può frenare il ritorno dell'inflazione vicina al 2%, obiettivo della banca centrale. In questo senso, afferma Draghi, i prezzi non mostrano una tendenza al rialzo sostenuta.
Per Mnuchin il dollaro debole "è una buona cosa"
Senza fare nomi, Draghi critica il recente intervento del segretario Usa al Tesoro, Steve Mnuchin, il quale ha sostenuto che un dollaro debole è una "buona cosa" per gli Usa. Più nel dettaglio, il presidente Bce nel corso della conferenza stampa a Francoforte, ha fatto due volte riferimento a un accordo tra le principali economie globali, Stati Uniti inclusi, definito lo scorso ottobre, in cui si era stabilito di non sollevare l'argomento dei tassi di cambio.
Una parte della recente volatilità sul mercato dei cambi, aggiunge Draghi, è stata causata "dall'uso di un certo linguaggio... Che non riflette quanto avevamo concordato". E a correggere il tiro, da Davos, è proprio il presidente degli Stati Uniti. "Voglio vedere un dollaro forte", ha dichiarato Trump alla Cnbc, sostenendo che Mnuchin "è stato interpretato fuori dal contesto". Caso chiuso? Occorreranno mesi per capirlo.