La guerra commerciale tra Cina e Usa rappresenta una pesante minaccia per la globalizzazione e l'ordine mondiale. Lo scrive sul Financial Times Gideon Rachman, il capo dei commentatori di politica estera del giornale britannico. "La Cina e Gli Stati Uniti - scrive Rachmen - sono entrambi insoddisfatti dell'attuale ordine mondiale" anche se "la natura della loro infelicità è molto diversa".
Il problema, come lo concepisce Donald Trump, è che l'attuale sistema economico mondiale opera enormemente a svantaggio dell'America. Il presidente degli Stati Uniti si lamenta del fatto il "globalismo" abbia aiutato la Cina a crescere a spese dell'America, minando la prosperità degli stessi Stati Uniti e la sua preminenza globale. È questa la visione che è alla base della sua drastica decisione di aumentare le tariffe Usa sulle esportazioni cinesi.
Per il presidente cinese Xi Jinping, invece il problema si presenta in termini opposti. Xi è ben consapevole che la globalizzazione è stata una leva fondamentale per l'ascesa della Cina negli ultimi 40 anni ed è quindi determinato a preservare l'attuale modello commerciale. Tuttavia per la Cina il problema dell'attuale ordine mondiale è rappresentato dal predominio politico e strategico dell'America, che Xi vuole scalzare nella regione Asia-Pacifico, mentre molti nazionalisti cinesi, vicini allo stesso Xi, pià ambiziosamente, puntano a far diventare la Cina la prima potenza dominante mondiale.
Due superpotenze speculari
In sostanza Xi vuole cambiare l'ordine strategico mondiale e per farlo ha bisogno di mantenere l'attuale ordine economico, mentre Trump vuole preservare l'ordine strategico e per farlo ha bisogno di cambiare l'attuale ordine economico. America e Cina sono dunque due potenze speculari: Washington è per lo status quo in geopolitica ed è revisionista in politica economica, mentre Pechino è revisionista in geopolitica e per lo status quo in politica economica.
Entrambi i paesi convergono invece sulla globalizzazione, cioè concordano sul fatto che il sistema attuale funzioni meglio per la Cina che per gli Stati Uniti. E questa opinione trova ora un ampio consenso in America, al di là del partito repubblicano. Chuck Schumer, il leader dei democratici al Senato ha twittato il suo sostegno alle politiche conflittuali dell'amministrazione Trump sul commercio con la Cina.
Sia a Washington che a Pechino, tuttavia, vi sono divisioni tra i moderati che vogliono che l'attuale guerra commerciale si concluda con un accordo e i protezionisti più radicali che propendono invece per una rottura duratura delle relazioni commerciali internazionali. I protezionisti radicali dell'amministrazione Trump ritengono che il modello politico ed economico cinese sia fondamentalmente ostile agli interessi degli Stati Uniti. E vogliono "ricostruire" l'economia americana al riparo del muro tariffario.
Per i sostenitori di questo punto di vista, un accordo di compromesso che preservi l'essenza dell'attuale sistema mondiale di scambi globali rappresenterebbe una sconfitta. A Pechino invece, i falchi vedono la disputa commerciale come un'opportunità per rendere la Cina meno dipendente dalla tecnologia straniera. Questi nazionalisti considerano anche la posizione dell'amministrazione Trump sul commercio come una prova della debolezza americana.
La trappola di Tucidide
La risposta corretta, secondo loro, sarebbe per Pechino riuscire a creare un nuovo ordine mondiale incentrato sulla Cina. Gli atteggiamenti sempre più bellicosi dei nazionalisti di entrambe le sponde, secondo il commentatore del Ft, sarebbero l'esemplificazione della cosiddetta "trappola di Tucidide", un'espressione resa famosa da Graham Allison, un professore di Harvard, secondo il quale il grande storico greco attribuiva lo scoppio della guerra fra Atene e Sparta nel V secolo avanti Cristo alla crescita della potenza ateniese, e alla paura che tale crescita ingenerò nella rivale Sparta.
Oggi come ai tempi di Tucidide i rapporti internazionali vengono pensati per lo più come giochi a somma zero: se una potenza dominante ma in declino si trova a dover fare i conti con una potenza emergente, inevitabilmente - proprio come successe a Sparta - avrà paura e ciò finirà per scatenare la guerra. Tuttavia l'attuale conflitto Usa-Cina è una guerra commerciale, non una guerra militare. E in materia di commercio, sono gli Stati Uniti che stanno cercando di rovesciare l'attuale ordine economico.
Ciò rappresenta per Xi una difficile scelta tattica. La Cina dovrebbe fare concessioni dolorose e persino umilianti per preservare l'essenza del sistema economico che ha facilitato la sua ascesa? I cinesi sono molto attenti al precedente del Plaza Accord del 1985, nel quale, sottoposto alle intense pressioni Usa, Tokyo accettò di rivalutare la propria valuta. Molti in Cina ritengono che, a posteriori, il Plaza Accord rappresentasse un tentativo americano di successo per contrastare l'ascesa del Giappone.
L'amministrazione Trump, secondo il Ft, affronta una variante dello stesso dilemma. L'America dovrebbe puntare a esercitare la massima pressione, con l'obiettivo di raggiungere finalmente un "grande affare" che corregga i difetti del sistema attuale? O una vittoria parziale nella guerra commerciale sarebbe effettivamente una sconfitta se non riuscisse a fermare l'ascesa della Cina? Per temperamento e interesse politico, Trump gioca probabilmente ancora la parte del dealmaker. Continua inoltre ad apprezzare la sua amicizia con Xi, lodando la "bella lettera" che ha ricevuto dal presidente cinese.
Tuttavia una stretta relazione tra i leader non garantisce che il conflitto possa essere evitato. Nella crisi di luglio che precedette lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, il Kaiser Guglielmo di Germania e lo Zar Nicola di Russia si scambiarono numerose note amichevoli e telegrammi. Ma ciò non ha impedito ai loro due paesi di entrare in conflitto. Allo stesso modo, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ora rischia di degenerare fino a sfuggire al controllo dei leader dei due paesi.