Altro che da solo, come dice lui. La rocambolesca fuga di Carlos Ghosn dal Giappone invece è stata "estremamente" ben pianificata, e ci sono voluti sicuramente complici, tempo e soldi. Parola di Christophe Naudin, celebre crimonologo.
In un'intervista ad Afp, Naudine - che peraltro è direttore della compagnia di addestramento piloti Visiom Aviation, e quindi conosciuto come specialista di sicurezza aerea e di "usurpazione di identita'" e falsi documenti - offre una ricostruzione di quella che è stata definita la fuga del secolo. Peraltro, spiega, "ci sono persone che sanno come eseguire questo tipo di operazioni, che sono abbastanza banali per i servizi di sicurezza che poi si dedicano all'attività privata". "Una delle cose più complicate è stato portarlo via da casa sua" aggiunge. Per andare all'aeroporto Kansai di Osaka, dove ad attenderlo c'era un volo per Istanbul e poi da Istanbul a Beirut, il viaggio deve essere stato fatto in auto perché prendere il treno è troppo rischioso, avrebbe potuto essere riconosciuto. Il volo, poi, è stato effettuato con un business jet, non un jet privato: "E questo è importante - fa presente Naudin - perché significa che l'equipaggio non sa chi trasporta. I piloti hanno la lista, naturalmente, ma in realtà non la guardano".
"È inoltre necessario un piano di volo studiato per sorvolare paesi che non sono amici del Giappone. Quindi, se l'aereo ha un problema tecnico e deve atterrare in caso di emergenza, il rischio di estradizione deve essere deve essere basso nel paese in cui dovesse appunto atterrare. In questo caso: Corea del Sud, Cina, Russia, e poi entriamo in aree dove invece viene negoziata", spiega Naudin.
Facendo una ricostruzione, dice, le cose sono andate così: "Carlos Ghosn ha un nome latino e diversi passaporti" quindi, aggiunge, "se avessi organizzato io la fuga avrei portato in Giappone un uomo che assomiglia al signor Ghosn diversi giorni prima, con uno dei suoi passaporti". Ghosn ne possedeva tre, libanese francese e brasiliano, ma in questo caso sarebbe dovuto essere un passaporto non sequestrato dai giapponesi, e timbrato quindi con la data d'ingresso nel paese.
"Il passaporto viene poi consegnato alla squadra mentre l'uomo troverà più tardi un modo per lasciare il Giappone, dicendo per esempio che ha perso i suoi documenti o qualcos'altro", ipotizza il crimonologo. Una volta all'aeroporto, Naudin ricorda che "quando si viaggia in business jet, la gente aspetta in una lounge. Un responsabile del volo, un subappaltatore della compagnia aerea (in questo caso il vettore turco MNG Jet), prende i passaporti e li presenta alla polizia di frontiera con il GenDec". Questa "Dichiarazione generale" comprende l'elenco dell'equipaggio e, spillato dietro di esso, il "manifesto", cioè l'elenco dei passeggeri.
Il passaporto presentato ha un numero diverso da quelli registrati dalle autorità giapponesi (tra quelli sequestrati a Ghosn). L'agente di polizia controlla il numero del passaporto, il timbro d'ingresso, ma l'alfabeto latino e la fonetica del nome sono difficili da verificare. C'è un software per aiutare, ma la traslitterazione in Katakana (i caratteri usati in giapponese per scrivere nomi stranieri) è imprecisa. "Sono convinto che il poliziotto sia stato ingannato" dice Naudin. "Poi, quando arriva a Istanbul, è un semplice passeggero in transito, passa normalmente, cambia aereo. Non c'è una vera e propria clandestinita'". Il resto è cronaca di questi giorni.